Accresce in modo rilevante – quasi il 25% – il rischio d’infarto, specialmente fra le donne. No, non stiamo parlando del fumo, che pure al cuore non fa affatto bene, bensì del divorzio e, precisamente, del legame accertato da una ricerca condotta dalla Duke University fra l’instabilità coniugale e, appunto, il rischio d’infarto [1]. Trattasi di una conclusione, ripresa anche da Huffingtonpost [2], che sorprende fino ad un certo punto giacché esiste già un’abbondante mole di ricerche che ha rilevato, con riferimento al divorzio – ed in particolare alle conseguenze dovute alla crisi personale e alla perdita affettiva che comporta –, correlazioni con spiacevoli realtà fra i quali maggiori rischi di ansia e depressione, aumento del rischio di abuso di alcol, più alti tassi di morte prematura, suicidio, ictus, polmonite, cirrosi epatica e, dulcis in fundo, cancro [3].
Alla luce di simili evidenze meglio neppure addentrarsi, dal momento che sono immaginabili, in quelle che sono le conseguenze dell’instabilità coniugale sui figli. Non serve essere cattolici e neppure conservatori, insomma, per rendersi conto che se il fumo – per restare al parallelo poc’anzi richiamato – uccide il divorzio non è da meno, anzi; e c’è da scommettere che velocizzarne i tempi limiterà solo parzialmente gli effetti di quella che, dati alla mano, è a tutti gli effetti una piaga sociale. Ma perché si deve dire, anzi scrivere che il fumo uccide e sugli effetti del divorzio si deve tacere? Come mai si promuovono campagne di sensibilizzazione su com’è più salutare mangiare e neppure una su come sarebbe opportuno vivere? Intendiamoci: nessuno s’illude che la piena conoscenza degli effetti dei divorzi determinerebbe, come per magia, un loro improvviso decremento.
Tuttavia, pare quanto meno incoerente, da un lato, mettere a conoscenza le persone del fatto che fumare fa male o che guidare con le cinture di sicurezza (oltre che un dovere) è conveniente, e dall’altro quasi nascondere gli effetti disastrosi che un addio, dopo un matrimonio, può determinare. Si tratta evidentemente di un silenzio – censura, verrebbe da dire – per nulla causale, conforme a quella cultura individualista che vuole insindacabili le scelte di ciascun individuo e che ha paura di dover ammettere che non è vero che, nella vita, una decisione in fondo vale l’altra; no: ce ne sono alcune particolarmente gravi. E coloro che tentano di minimizzare la gravità del divorzio promuovendone la riduzione i tempi o scrivendo testi su come “divorziare bene” o arrivando (è successo e succede) ad istituire vere e proprie feste d’addio, andrebbero definiti per quello che sono: dei grandissimi bugiardi.
[1] Cfr. Dupre M.E. – George L.K. – Liu G. – Peterson E.D. (2015) Association Between Divorce and Risks for Acute Myocardial Infarction. «Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes»; [2] Cfr. De Santis S. Infarto, chi divorzia rischia di più rispetto a chi porta la fede al dito, soprattutto le donne. La ricerca della Duke University: «Huffingtonpost.it»: 15.04.2014; [3] Cfr. «Psychological Science», 2009; «Journal of Epidemiology & Community Health», 2000; «Psychological Medicine», 1997; «Journal of Family Studies», 1995; «The Sociological Quarterly», 1990; «Social Science and Medicine», 1983.
Le raccomandazioni contro il fumo fino alla sua demonizzazione sono coerenti con l’idea di un corpo giocattolo funzionale alla ricerca del maximum di piacere. Il divorzio secondo questa idea così artificiale serve a liberare il campo da una pratica che di piacere non ne fornisce più e quindi è giusto. Infatti, si vede…! Grazie Giuliano del tuo prezioso lavoro così documentato e lucido
Ottimo auspicio quello di rendere noti gli effetti disastrosi che un addio, dopo un matrimonio, può determinare.
Sarebbe però opportuno divulgare sempre da un punto di vista scientifico anche l’altra faccia della medaglia e cioè gli effetti che producono sulla salute, compreso l’equilibrio psichico, la presenza sgradita tra i piedi di un individuo ormai insopportabile, verso cui al posto di un sentimento amoroso siano subentrati prima disistima e poi un vero e proprio odio.
Con altrettanta chiarezza si dovrebbero evidenziare anche le conseguenze che i figli trarranno nel tempo da una convivenza forzata in un ambiente che di familiare ha più nulla.
Non credo abbia senso continuare a convivere con un individuo verso cui la disistima è massima, tralasciando per carità di patria quelle situazioni in cui subentra anche la violenza. Perché se è vero che la religione cattolica auspica nei confronti del matrimonio quel “finché morte non vi separi”, è opportuno evitare che la morte non sia anticipata artificialmente per mano di uno dei coniugi.