Continua a fare gran discutere l’idea che vi possa essere qualcosa di giusto in una forma di “sottomissione” femminile in ambito familiare: ne aveva scritto Costanza Miriano e ne ha parlato Mario Adinolfi ed entrambi, prima una dopo l’altro, sono finiti nel mirino di quanti praticano la tolleranza, sì, ma solo verso le proprie idee. Mi guardo dunque bene dall’infilarmi nella polemica limitandomi ad avanzare – se è ancora lecito averne – alcuni dubbi: non sono forse brutalmente sottomesse le donne che arrivano a prostituirsi per campare o per finire in un programma televisivo? E sono forse più libere quelle che evitano la maternità, o la rinviano, per evitare il licenziamento? E le schiave spinte dalla povertà ad affittare il proprio utero? E quelle che abortiscono perché costrette dai loro partner (non riesco a scrivere uomini) o perché lasciate sole davanti ad una sfida enorme? E le donne ipnotizzate da una cultura che le ha convinte che, per sbarazzarsi degli stereotipi femminili, debbono prendersi quelli maschili – carriera, successo, danaro – se la passano meglio? Non lo so, avanzo umilmente questi dubbi nella consapevolezza che, se solo la metà fossero fondati, altro che criticare Miriano ed Adinolfi: dovremmo ringraziarli, loro che sottolineano il dovere, non solo femminile ovviamente, di sacrificare parte della libertà per tenere in piedi la famiglia quando altri sacrificano tutta la verità solo per tenere in piedi le loro menzogne.
Sulle donne sottomesse
23 venerdì Gen 2015
Posted in cronaca

Al di la’ del commento di Guzzo, che non mi sembra irragionevole, c’e’ una cosa da dire.
San Paolo usa l’espressione “donne, siate sottomesse ai vostri mariti”. Poi dice ai mariti di amare le proprie mogli.
Sottomettere viene da “sub-missio”, stare sotto una missione. In altre parole, San Paolo sta dicendo alle donne di accettare la missione dei loro mariti che e’ quella di amarle.
E’ vero che molti cristiani, ignorando questo significato, hanno in passato trattato le loro mogli in maniera sbagliata, sciaguratamente.
Sarebbe davvero il caso, credo, che noi cristiani sapessimo il significato originale di questa ed altre espressioni; altrimenti rischiamo di essere facilmente contestati.
A dire il vero, “sottomettere” viene dal latino “submittĕre”, quindi “mettere sotto”: letteralemnte, quindi, c’è un soggetto “attivo” che “mette sotto” un soggetto “passivo”. Non mi pare esattamente la migliore parola da utilizzare per raffigurare il rapporto uomo-donna…
“Sub-mittere” ha vari significati, tra cui, oltre a sottomettere vero e proprio, anche “adeguarsi, lasciare crescere, non recidere, lasciar spuntare”.
Ribadisco che “sub-missio”, da cui sottomissione, non deve per forza avere il significato negativo che gli diamo noi in italiano. “Stare alla missione, adeguatevi” mi sembra il senso cristiano.
Che non sia sempre inteso questo, purtroppo, e’ vero.
“…sacrificare parte della libertà per tenere in piedi la famiglia”: dissento! In questa frase, Giuliano, usi l’accezione comune, sbagliata, della parola libertà intesa come “fare ciò che più aggrada”. Pericolosa diffusione di un significato sbagliato di una parola importantissima.
Quando io (con mio marito) cerco di tenere in piedi la mia famiglia, non sacrifico proprio niente della mia libertà, nemmeno un grammo: la sto invece usando, esercitando, godendo, giorno per giorno e nel senso più pieno.
Perché libertà è riconoscere ciò che è bene e sceglierlo.
Io guardo la mia famiglia, riconosco che è cosa molto buona servirla per farla crescere, e lo faccio. Quindi uso la mia libertà. Sono, come dire, attivamente libera, non solo potenzialmente.
Ogni spugnetta dei piatti che strizzo, ogni tazza di caffè che preparo, le scelte piccole e quelle grandi… sono tutti gesti di libertà.
[Ah, e non lo faccio affatto per dovere, ma per amore. Ma questo è un altro discorso.]
sola con e stretta o sola con e larga…
Ha dunque deciso che “carriera, successo e danaro” spettano solo a noi uomini uomini?
E in base a cosa?