«C’è un momento nella vita di ogni uomo in cui si dice ‘quando è troppo è troppo’. Per me questo momento è arrivato». Sono parole cariche di amarezza quelle di Lance Armstrong dopo che, quattro giorni fa, si è visto respingere l’ennesimo ricorso contro l’Usada, l’Agenzia Anti-Doping americana [1]. Ora rischia davvero grosso. Anzi, rischia tutto, e cioè la definitiva ed inappellabile revoca dei titoli conquistati in un’intera carriera. Stiamo parlando, per chi non lo sapesse, della bellezza di sette Tour de France filati, record imbattuto e verosimilmente imbattibile.
E’ giusto? A prima vista verrebbe da dire che lo è: una volta che vieni pizzicato positivo, è giusto che paghi. Però qui il caso è diverso: in sostanza si è lasciato che un atleta vincesse e stravincesse per anni senza farsi cogliere dal sospetto – che pure più di qualcuno nutriva – che potesse essere “aiutato”, salvo poi, a carriera terminata, processarlo e condannarlo. Non conveniva indagare più seriamente prima? Anche perché, dicevamo, i sospetti sulle prestazioni del fuoriclasse texano c’erano da tempo.
Basti dire che nel 2004, quando Armstrong doveva ancora vincere i suoi ultimi due Tour, uscì un libro – “L.A Confidential, i segreti di Lance Armstrong”, dei giornalisti Pierre Ballester e David Walsh – assai ricco di informazioni e pareri scettici sulle prestazioni e i numeri del texano. Un esempio tra tutti il passaggio, dal dicembre 1997 al febbraio 1998, dell’ematocrito dal 41 % a quasi il 47%. Roba folle, affermavano molti esperti. Eppure nessuno di quei sospetti pure verosimili fu approfondito fino in fondo. Morale: Armstrong corse ancora e vinse.
Oggi invece corre il rischio di diventare il più grande dopato della storia, roba che a confronto il Ben Johnson di Seul è quasi un esempio. E non credo – lo dice uno che mai ha tifato per Armstrong, anzi – sia giusto. Anzitutto, come si diceva, per il fatto che ci si è svegliati tardi quando i sospetti sull’americano, invece, c’erano da anni. Lasciando l’impressione che tutto sommato a suo tempo l’immagine di Armstrong – l’atleta-eroe che dopo il cancro tornò e sconfisse tutti – facesse comodo; al Tour, agli sponsor, al ciclismo stesso.
E poi perché questa condanna, se – come pare – non sarà oggetto di appello, farà di un singolo atleta l’ennesimo capro espiatorio di un problema, quello del doping, che chi conosce lo sport e in particolare il ciclismo sa essere molto più capillare e diffuso di quanto gli attuali controlli, per quanto evoluti, riescano a dire. Se quindi, da un lato, sarebbe sbagliato “graziare” Lance Armostrong, d’altro lato sarebbe miope non capire come il vero dopato sia un sistema nel quale ti è concesso di vincere di tutto di più – anche oltre i limiti del ragionevole e dell’umano – ma dove puoi essere annientato da un momento all’altro. Dalle stelle alle stalle, senza mezzi termini. E senza pietà.

Condivido tutto, e specialmente «Se quindi, da un lato, sarebbe sbagliato “graziare” Lance Armostrong, d’altro lato sarebbe miope non capire come il vero dopato sia un sistema nel quale ti è concesso di vincere di tutto di più».
Fai bene a specificare che non va graziato. Per l’esperienza di questi giorni con Schwazer so che, se non dici le cose esplicitamente, ti attribuiscono posizioni alla Bettino Craxi 1993: «non va punito perchè così fan tutti»
Ciao Giuliano!!
Non sapevo avessi aperto un tuo blog! Complimenti vivissimi, e’ davvero appassionante, interessante e molto competente!
Commentando questo tuo post, personalmente ti dico che a me questa storia non convince proprio per nulla.
A quell’epoca seguivo ancora un po’ di ciclismo, sport che mi appassionava e mi coinvolgeva in modo folgorante, e le imprese di Armstrong alla Boucle le ho vissute piu’ o meno tutte..
Ora, se e’ vero da una parte che puzza incredibilmente come un ciclista possa vincere il Tour 7 volte di fila, nel modo in cui li ha vinti soprattutto, e dopo essere riuscito a sconfiggere una forma di cancro che non gli dava speranze, c’e’ anche da dire che Lance Armstrong aveva dalla sua diverse caratteristiche fisiche abbastanza inusuali: sembra infatti che il suo corpo fosse in grado di produrre poco acido lattico e di smaltirlo molto velocemente.
Contiamo poi che e’ stato sottoposto a centinaia di controlli antidoping, e non e’ mai risultato positivo ad alcuno. Vero anche che l’antidoping e’ sempre arrivato dopo rispetto al doping, per cui i ricercatori dovevano, e devono tuttora, prima scoprire la molecola incriminata, esaminarla e poi catalogarla eventualmente come “dopante”. Da qui se ne deduce che “negativo” all’epoca non doveva per forza coincidere con “pulito”.
Armstrong poi, sempre dalla sua parte, aveva fatto delle precise scelte sportive: correva solo ed esclusivamente la corsa francese, per la quale si allenava 11 mesi l’anno (non come Ullrich, che regolarmente ogni inverno prendeva minimo 5 chili e doveva fare extra preparazione per perderli), e studiava in maniera maniacale con il suo team ogni singola tappa della corsa. Forse pochi sanno che provava i tracciati delle cronoscalate decine e decine di volte fino a conoscere l’asfalto in ogni suo centimetro con l’ausilio del suo team che lo teneva sempre monitorato in modo poi da studiare a tavolino la migliore tattica. Aggiungo inoltre di come sia tornato poi a correre a 37 anni arrivando comunque terzo dietro a giovanotti come Schleck e Contador, e non penso che onestamente ad un tale risultato ci si arrivi solo per e con il doping.
Non voglio dilungarmi poi sulla vicenda giudiziaria in se’, perche’ e’ a livelli della “giustizia sportiva” italiana, pero’ ci tengo a dire che adesso saltano fuori 5 “pentiti” che lo incastrano pur di salvare la faccia e la dignita’.. Non commento oltre.. A me sa tanto di operazione pubblicitaria, come a suo tempo lo fu quando Armstrong correva, non c’e’ dubbio!
Un caro saluto Giuliano, e quando tornero’ a casa per qualche giorno spero di aver modo di aver possibilita’ di berci una birra assieme!!
Caro Mattia, grazie del commento, che condivido. Fatti vivo quando torni..che ci beviamo la birra! Cari saluti, Giuliano.