Non appena ufficializzata l’esclusione dai Giochi olimpici del nostro Alex Schwazer, trovato positivo all’Epo, la notizia è rimbalzata ovunque generando comprensibile delusione. Un simbolo dello sport italiano che si fa trovare con le mani nella marmellata, infatti, non fa certo buona pubblicità al Paese, tanto più in una fase che vede milioni di italiani costretti a marciare come forsennati (e senza alcun “aiuto”) per arrivare a fine mese. Giusto dunque che il campione della 50 km di Pechino, che oltretutto ha subito vuotato il sacco, paghi per il suo errore. Un po’ meno giusta, anche se giustificata, è la reazione di molti compatrioti, che sul web non hanno esitato a prendere di mira Schwazer apostrofandolo nei modi peggiori.

E’ la solita Italia, quella che per una stessa persona, a seconda dei casi, è pronta a spellarsi le mani o a chiederne la testa; dal podio al patibolo, senza mezze misure. Fu così per Marco Pantani – che il 5 giugno 1999, agli occhi di molti che fino a poco prima lo adoravano, divenne il simbolo del doping – e per tanti altri. Un atteggiamento italianissimo e frequente, questo, ed anche un po’ ingenuo. Perché bisogna essere davvero ingenui, per esempio, per non sapere che a certi livelli il confine tra correttezza e doping è più sottile che mai.  Esattamente com’è da ingenui ritenere che per il solo fatto che un atleta venga trovato positivo ai controlli, costui sia un buono a nulla: il nome Eddy Merckx, anch’egli fermato dai controlli durante la sua strabiliante carriera, dice niente?

Una terza ingenuità, infine, è quella di celebrare i miti dello sport in opposizione ad atleti ritenuti imbroglioni. A questo riguardo sarebbe interessante sapere quanti di coloro che in queste ore ironizzano su Schwazer e che giustamente ritengono Carl Lewis fra i più grandi atleti di sempre sanno che quest’ultimo – come da lui stesso confermato – nel corso della carriera è stato trovato positivo e subito “graziato” per ben tre volte [1]. Beninteso: con questo non si vuole certo ridimensionare la statura atletica del «figlio del Vento» e neppure accostarla a quella del nostro marciatore, bensì far presente che quest’ultimo ha sbagliato ed è giusto che paghi, ma non è un mostro. Semmai, come abbiamo visto, sono coloro che cadono dalle nuvole di fronte a queste notizie gravi e avvilenti ma tutto sommato non così straordinarie ad essere dei mostri. Di ingenuità.

[1] http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2003/04_Aprile/23/lewis.shtml