Che cosa c’è esattamente di vero nelle molte centinaia di pagine che compongono il rapporto pubblicato oggi, 20 gennaio 2022, e condotto dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl su impulso dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, riguardo ai casi di pedofilia – con quasi 500 vittime (497) – avvenuti tra l’immediato dopoguerra e il 2019 nella stessa arcidiocesi? Occorrerà qualche giorno per capirlo bene; intanto, però, possiamo soffermarci sui rilievi mossi al papa emerito Benedetto XVI, accusato d’aver coperto (o comunque non vigilato) i comportamenti di alcuni pedofili preti, quando era arcivescovo. Premessa: il papa emerito è tra quelli su cui pendono meno accuse.

Per dire, il suo successore a Monaco – l’arcivescovo Friedrich Wetter -, è accusato di «comportamenti scorretti» in 21 casi, Ratzinger in quattro, che si sarebbero consumati tra il 1977 e 1982. Non solo. Anche quei quattro casi, esaminati da vicino, non provano proprio nulla. A dimostrarlo, è proprio il caso di maggiore gravità, ovvero quello di «Peter H», sacerdote accusato di aver abusato, tra il 1973 e il 1996, di almeno 23 ragazzi di età compresa tra gli otto e i 16 anni. Il futuro pontefice, questa è l’accusa (non nuova: la lanciò il New York Times 12 anni fa), avrebbe coperto costui – il cui vero nome è Peter Hullermann – e a provarlo ci sarebbe anche della documentazione. 

In effetti, «Peter H» nel 1980 si trasferì da Essen – dove, l’anno prima, era stato accusato d’aver abusato di un bambino di 11 anni – all’arcidiocesi di Monaco, allora guidata dall’arcivescovo Joseph Ratzinger. La decisione di affrontare il caso, si dice, fu presa il 15 gennaio di quell’anno, presente il futuro pontefice – che quindi sapeva. Il punto è che quel giorno si decise solo il trasferimento, non certo l’assegnazione al sacerdote di nuovi incarichi pastorali. Una decisione, questa, che sarebbe stata presa poco tempo dopo non da Ratzinger, ma dall’allora vicario generale Gerhard Gruber il quale, in una lettera del marzo 2010, si assunse la responsabilità di ciò che definì «un grave errore».

I giornalisti Andrea Tornielli e Paolo Rodari, nel loro testo Attacco a Ratzinger (Piemme, 2010) hanno aggiunto un altro tassello a questa storia, spiegando che la gestione del caso di «Peter H» avvenne non secondo bensì «contrariamente a quanto stabilito da Ratzinger». Ecco che allora, quello che dovrebbe essere un fatto a carico dell’allora arcivescovo di Monaco diventa invece qualcosa che dimostra l’estraneità a qualsivoglia copertura. Non è tutto. Guardando le cose nel loro complesso, sarebbe molto strano che il pontefice emerito possa aver scheletri nell’armadio, rispetto al suo periodo a Monaco.

Diversamente, infatti, non si spiegherebbe come mai il suo segretario, monsignor Gänswein, non più tardi del 14 gennaio – quando cioè la pubblicazione del rapporto di Monaco era ampiamente nell’aria – possa aver dichiarato alla Bild Zeitung che Benedetto XVI desiderava «una buona, completa e fruttuosa rivalutazione di tutti i casi di abusi sessuali da parte del clero nell’interesse delle vittime e delle persone colpite». Parole cariche di serenità, anche alla luce delle 82 pagine di memoria difensiva inviate proprio da Benedetto XVI allo studio legale che ha condotto l’indagine per la Chiesa tedesca, il cui risentimento anti-ratzingeriano non fa più notizia. Inutile dire come quelle 82 pagine non siano state considerate fondate.

Si replica così uno schema accusatorio inconsistente contro un papa che, peraltro, ha affrontato il crimine dei pedofili preti con rara determinazione. L’ha riconosciuto, anni fa, persino Alberto Melloni, intellettuale progressista secondo cui dobbiamo a Ratzinger tre importanti ed innovative decisioni su come affrontare la questione della pedofilia :«Affrontare la questione a Roma, al massimo grado di responsabilità; fornire ai tribunali una collaborazione piena; prendere atto che un vescovo che non sa affrontare queste situazioni non può fare il vescovo» (Corriere della Sera, 17/2/2010, p.38). Il papa emerito è dunque stato non un alleato bensì un nemico dei mostri in talare. E chi oggi insinua altro non sa di ciò di cui parla oppure, peggio, mente sapendo di mentire.

Giuliano Guzzo

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