330.000. Tante sono le sottoscrizioni raccolte, in circa tre giorni, per un referendum per la «cannabis legale». Al che i promotori dell’iniziativa si sono galvanizzati, convinti di poter arrivare entro fine mese a quota 500.000. Staremo a vedere. Ad ogni modo, è bene chiarire un equivoco: la legalizzazione verso cui si sta puntando nulla ha a che vedere col contrasto alle mafie. Sì, perché pare che l’argomento forte sia proprio questo: legalizziamo le droghe, così sottraiamo terreno alla criminalità organizzata.

Peccato che l’argomento – a prima vista tanto suggestivo – sia però debolissimo. Si tratta infatti di un pensiero che già il giudice Paolo Borsellino (1940-1992), uno che alla mafia non faceva certamente sconti, liquidava come «tesi semplicistica e peregrina», tipica di quanti hanno «fantasie sprovvedute». Non solo. Anche un altro magistrato in prima linea contro la criminalità organizzata ritiene totalmente sbagliato legalizzare la cannabis nell’illusione di fermare certi mercati.

É Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro da una vita in prima fila nella lotta alla `ndrangheta, il quale in più occasioni da un lato ha evidenziato come oltre il 90% dei tossicomani faccia uso di droghe pesanti – il cui traffico rimarrebbe nelle mani del crimine – e, dall’altro, ha spiegato come la commercializzazione legale di canapa costerebbe tre volte in più di quella illegale, che quindi resterebbe – tanto più in una fase di crisi economica come l’attuale – indiscussa signora del mercato.

Ma se neppure Gratteri apparisse attendibile, ai pro cannabis si potrebbero comunque opporre degli ostacoli invalicabili: i fatti. Quali? Quelli che sottolineano come legalizzare gli stupefacenti non neutralizzi affatto certi giri d’affari. Non solo. Pure le favolose entrate nelle casse dello Stato – che la «cannabis legale» dovrebbe garantire in modo sconfinato, una cosa che manco il deposito di Paperon de’ Paperoni – rappresentano sostanzialmente più uno slogan che una realtà.

A provarlo son le parole che su Forbes scriveva l’editorialista Mike Adams ancora nel novembre 2019. Eccole: «Si immaginava che la California avrebbe incassato 643 milioni di dollari in tasse sull’erba nel primo anno: ne ha riscossi solo circa la metà. Il mercato nero continua infatti a dominare il settore legale. Una stima recente indica che potrebbero volerci cinque anni prima che il mercato legale inizi a vendere più di quello clandestino. Questo è un enorme fallimento». Attenzione, perché non è finita.

Adams ha inoltre evidenziato che «la legalizzazione della marijuana, almeno negli Usa, non ha nemmeno portato a termine il modesto compito di ridurre il numero di arresti effettuati in questo Paese per possesso di marijuana […] è difficile sostenere che la legalizzazione della marijuana stia funzionando […] Certo, i sondaggi mostrano che la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti sostiene la legalizzazione della marijuana. Ma ciò non significa che la compreranno legalmente una volta che fosse legale».

Nel gennaio 2020, l’opinionista di Forbes è tornato alla carica scrivendo che «i sostenitori della cannabis hanno predicato per anni sull’importanza delle entrate fiscali sulla marijuana. Ma ora si lamentano che le tasse stanno facendo aumentare il prezzo dell’erba. I sostenitori della cannabis legale saranno mai soddisfatti?». La domanda è senza dubbio interessante. Ma la priorità, al momento, è far capire alla gente che sulla droga non si scherza; perché non esiste quella “leggera” e perché legalizzare un male non ne muterà mai la natura.

Giuliano Guzzo

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