
I Giochi Olimpici volgono ormai al termine e, sull’edizione di Tokyo, si può già tracciare un bilancio. Uno degli aspetti su cui i grandi media c’è da escludere si soffermeranno – anche se è interessante, per ragioni che diremo – riguarda quegli atleti che, nel trionfare, hanno pubblicamente reso omaggio a Dio. Per esempio, l’americana Tamyra Mensah-Stock, prima donna di colore a vincere l’oro nel wrestling, la quale è stata molto esplicita nell’esplicitare la sua fede: «È per grazia di Dio che riesco a fare ogni cosa. Prego che l’inferno che i miei allenatori mi hanno fatto passare, paghi: e ogni volta risponde».
Anche Athing Mu, che martedì ha vinto una medaglia d’oro negli 800 metri piani, su Twitter non ha usato giri di parole: «Grazie, Signore!». Pure la mezzofondista Raevyn Rogers, che lascia il Giappone con una medaglia di bronzo, ha voluto ringraziare il Cielo: «Ho fatto questa finale per un motivo. È tutto secondo il Suo piano». Caeleb Dressel, nuotatore Usa vincitore di ben cinque ori e già ribattezzato “uomo dei record”, ha tatuata sulla spalla direttamente un’aquila che simboleggia uno dei suoi passaggi preferiti della Bibbia: «Quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, voleranno come aquile» (Isaia 40:31).
Non ci son stati però solo gli americani a fare professione di fede. L’ha fatta anche l’indonesiana Greysia Polii, che con Apriyani Rahayu vinto la medaglia d’oro nel doppio femminile di badminton, e che comunque non ha aspettato Tokyo perché già nell’agosto 2020, sui social, scriveva: «Ringrazio Dio per una vita meravigliosa». Tornando però alle Olimpiadi, la religiosità più plateale è però stata quella degli atleti delle Fiji – medaglia d’oro del rugby a sette maschile -, i quali si sono messi a cantare in campo: «Abbiamo vinto, abbiamo vinto, per il sangue dell’Agnello, nella Parola del Signore, abbiamo vinto».
Per chiudere in bellezza ricordiamo l’azzurra Odette Giuffrida che, conquistata la medaglia di bronzo nel judo – anche se è quella del terzo gradino del podio -, non ha mancato di rendere omaggio: «Ringrazio Dio per la forza e la gioia che mi dà». Nel commentare queste parole della Giuffrida, il giornale Il Fatto Quotidiano ha sentito il bisogno di precisare che trattasi di «judoka di forte fede cattolica». Quasi a dire: va capita, è fatta così, è una che “ci crede ancora”. In effetti, e veniamo al motivo della nostra panoramica, non è così scontato che oggi ci siano ancora atleti disposti a fare pubblica professione di fede.
Sembra infatti che la sola cosa che conti, ai Giochi, siano ormai gli atleti che si dichiarano Lgbt (pare in questi giorni siano stati il doppio dell’edizione di Rio 2016), al massimo che salutano i parenti a casa, stop. E invece – ed ecco la notizia, consolante per scrive – c’è ancora chi, davanti ad un trionfo o anche per una medaglia d’argento o bronzo, trova il coraggio di alzare lo sguardo al Cielo e ringraziare pubblicamente il più grande di tutti, Colui da cui dipende non Tokyo 2020, ma ogni cosa nel cosmo. Sono omaggi che i media capiscono poco, quasi compatiscono. Eppure, a ben vedere, sono i più significativi in assoluto.
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E quelli che vincono e ringraziano Allah?
Finale dell’alto donne: l’australiana Nicola Mcdermott si prepara per ogni salto dialogando con il Cielo e sorridendo, quasi in trance. Una piccola croce al collo testimonia in Chi crede; per la cronaca arriva seconda. Anche la prima, una russa, ha al collo una croce.
Una ginnasta georgiana della ritmica aveva cucito sul body una croce rossa: per alcune popolazioni, la fede non è solo un fatto privato ma è parte integrante dell’identità nazionale.
L’ha ripubblicato su Organon.