Nei giorni scorsi, ben tre emittenti televisive americane, CBS, CMT e Hallmark Channel, si sono rifiutate di mandare in onda uno spot di appena 30 secondi a cura della Susan B. Anthony List. Che non è un’associazione Lgbt – in quel caso, la mancata messa in onda di uno spot avrebbe già visto rotolare tante teste, a seguito d’un processo lampo per omofobia -, bensì una no profit antiabortista da quasi 30 anni sulla piazza; il video rifiutato, a sua volta, non presenta contenuti violenti, a meno che non si considerino violente delle ecografie e dei neonati. Certo, si tratta di uno spot pro life e con uno scopo assai chiaro: sensibilizzare l’opinione pubblica in vista del verdetto che emetterà la Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi su una norma varata dal Mississippi nel 2018, che vietava d’interrompere la gravidanza dopo la 15 settimana pure in caso di stupro o incesto, prima d’essere bloccata da un giudice locale.

In occasione di tale pronunciamento, c’è la possibilità che la Corte possa smantellare la Roe vs Wade, storica sentenza del 1973 che aprì all’aborto legale. Ricordato che prima della nascita siamo a tutti gli effetti in presenza di un essere umano, lo spot della Susan B. Anthony List si conclude con questo interrogativo: «Non è ora che le leggi si adeguino alla scienza»? Ora, il video può non piacere, legittimamente. E le tre citate emittenti son liberissime di non volerlo mandare in onda, ci mancherebbe. Non c’è nulla di illegale in questa vicenda ma, questo sì, parecchio di istruttivo; perché se dei media si rifiutano di ospitare degli spot a pagamento, significa che hanno una loro precisa posizione sul tema, in questo caso il diritto alla vita del nascituro. Il che è da tenere bene a mente, per non stupirsi al prossimo talk show in cui un singolo pro life sarà costretto, tutto solo, a vedersela con gli altri ospiti, il conduttore, pure il cameraman. La CBS, CMT e Hallmark Channel non sono così lontane.

Giuliano Guzzo

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