Ci sono valori intoccabili, che non è neppure concepibile mettere in discussione? In un’ottica laica, la risposta pare affermativa: basti pensare al tema della libertà, che non solo viene celebrato ma anzi è sempre più assolutizzato. E in un’ottica cattolica? Esiste uno scrigno valoriale inaccessibile? In teoria sì, in pratica no. A dar prova di tale paradosso è la scelta odierna da parte di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, di ospitare un lungo intervento a firma di un ginecologo «credente e non obiettore» il quale non solo non si sogna di criticare la legge 194/’78 – in fondo, cosa sono 6 milioni di figli eliminati prima della nascita? – ma arriva a difendere l’aborto chimico.

Attenzione, perché purtroppo non è finita. Infatti il direttore del giornale, Marco Tarquinio, a sua volta è intervenuto chiarendo che posizioni come quella di questo ginecologo confuso sono importanti perché consentono «ai lettori di ‘Avvenire’ di comprendere la complessità del dibattito sull’aborto […] possono aiutare a cogliere, se ci si sa ascoltare reciprocamente, le diverse sensibilità presenti in persone e realtà d’impegno civile ed ecclesiale di cultura cattolica». Ora, com’è possibile – lo diciamo a chi, letto Tarquinio, fosse sopravvissuto allo svenimento – che a proposito dell’aborto procurato vi siano «diverse sensibilità presenti in persone e realtà d’impegno civile ed ecclesiale di cultura cattolica»?

Non stiamo infatti parlando dell’evasione fiscale o della lotta all’immigrazione clandestina, temi sui quali, siamo certi, Avvenire non ammette «diverse sensibilità», no: stiamo parlando del diritto alla vita. Per di più, del diritto alla vita del concepito che – segnalava Madre Teresa, santa non liquidabile alla voce sovranismo – è il più povero dei poveri tra gli esseri umani. Più povero cioè del senzatetto, del disoccupato, perfino del migrante. Il concepito non ha infatti nulla di suo, neppure un brandello di pezza, niente di niente. Eppure, spiega il quotidiano dei vescovi, sull’atteggiamento da tenere davanti al figlio concepito ci sono oggi «diverse sensibilità» in casa cattolica.

Il che, beninteso, potrà purtroppo pure essere vero, ma una testata di matrice vescovile può permettersi di alimentare il caos, anziché contrastarlo rammentando un principio basilare come il non uccidere? No, perché se la logica è questa, sarebbe lecito aspettarsi, domani, pure lettere da parte di battezzati che ragionino sulla possibilità di sparare a vista ai migranti sui barconi o su quella di riaprire qualche campo di concentramento per zingari e rom. Invece siamo sicuri che Avvenire non darebbe il minimo spazio a follie del genere. Giustamente. E allora perché dar spazio al ginecologo «credente e non obiettore», anziché esortarlo alla conversione?

Certo, per agire così, per sbattere la porta in faccia all’errore e invitare l’errante alla retta via, occorre aver fede. Ed è forse proprio questo, anche se addolora dirlo, il punto dolente non del giornale dei vescovi, bensì di tutta una parte di mondo cattolico che a flirtare con la cultura dominante, come dire, ci ha preso gusto. Si dà però il caso – altra cosa che dovrebbe essere ormai nota – che come cristiani siamo chiamati a seguire Qualcuno che non ha messo tutti d’accordo, proprio per niente. Anzi, trattasi di Qualcuno che, pur di annunciare fino in fondo «la via, la verità e la vita», ha pagato con la morte di croce. E nel farlo, pensate un po’, non si è minimamente posto il problema delle «diverse sensibilità».

Giuliano Guzzo