C’è odio ed odio, insulto e insulto, guerra e guerra. È lunga decenni l’ipocrisia di una sinistra che, almeno in Italia, predica male e razzola peggio. Moraleggia e bastona. Pontifica e randella. E naturalmente impartisce lezioncine di democrazia, ma solo se minoranza: in tutti gli altri casi, comanda alla grande. Il vergognoso titolone di oggi di Repubblica – «Cancellare Salvini» – costituisce insomma solo la continuazione di quella tradizione secondo cui l’avversario politico non è neppure nemico, ma direttamente mostro, belva, Hitler in potenza.

Una svista? Suvvia, non scherziamo. Nonostante tutto a Repubblica un po’ di italiano ancora lo conoscono e sanno bene che avrebbero potuto ricorrere ad un più civile «sconfiggere» o «battere» Salvini. Invece hanno optato per quel «cancellare Salvini», che non è chiaro quanto sia un titolo e quanto un invito, quanto uno slogan e quanto una istigazione. Un’ambiguità velenosa e voluta dinnanzi alla quale non è possibile non porsi una domanda: con che coraggio, cari intellò, ci parlate di clima di intolleranza? Con quale faccia agitate lo spettro del fascismo quando siete i primi a soffiare sul fuoco dello scontro?

Immaginate poi solo quale scandalo avrebbe sollevato, altrove, un titolo identico a metà; tipo «cancellare Zingaretti»,«cancellare Di Maio» o «cancellare Conte». Avremmo – anche giustamente – Mattarella imbronciato, Saviano funereo, Rula Jebreal in sciopero della fame, chef Rubio in bollitura, Gad Lerner incatenato al suo terrazzo, la maratona Mentana fino alla fine del regime. Invece per «cancellare Salvini» è diverso. Quella, pare di capire, è libertà di vomito, pardon di critica. Un doppiopesismo che non come sovranisti, ma come italiani non possiamo accettare. E non si ricorra alla storiella secondo cui questo è lo stesso linguaggio di Salvini. Balle.

Poi, anche mai fosse, ad un errore non si risponde mai con un altro errore. In una rissa non conta chi ha iniziato: lo si insegna anche ai bambini piccoli e bisognerebbe ricordarlo anche a certi piccoli giornalisti. Che seminano odio contro Salvini esattamente come ieri facevano con Berlusconi, l’altro ieri con Craxi – morto da rinnegato e oggi quasi adorato cinema – e prima ancora con De Gasperi, che da anni passa per santo laico mentre in vita veniva apostrofato da Togliatti come figura di «cattiva piccineria». Siamo insomma al solito odio «buono». Al rancore di chi si sente titolato a giudicare tutti quando farebbe meglio, anzitutto, a procurarsi uno specchio.

Giuliano Guzzo