Ha condannato a morte milioni di persone, ma non è stato mai davvero condannato; di certo, non in misura paragonabile alle implacabili condanneche, anno dopo anno, si stratificano sulle altre esperienze totalitarie. Sto naturalmente parlando del comunismo, ideologia mortifera che un «Millennial su tre percepisce come “favorevole”», secondo i dati dell’americana Victims of Communism Memorial Foundation. Non solo. Rispetto al 2018, è stato registrato addirittura un aumento (+8%) di simpatie giovanili per il totalitarismo rosso. Per quale ragione? Ci sono diversi motivi per cui, a tre decenni dalla sua fine, ancora si fatica a condannare il comunismo.

Il primo è, banalmente, anagrafico. Tantissimi che, anche da noi, simpatizzavano per l’Urss sono ancora vivi e vegeti. Magari nel 1989, al momento del crollo del muro di Berlino, erano poco più che ventenni con la conseguenza che oggi, 30 anni dopo, sono professionisti in carriera, professori universitari, scrittori e giornalisti. Si tratta di persone che naturalmente oggi non si professano più comuniste ma che, dall’alto del loro progressismo liberal – il nuovo soprabito della sinistra -, di certo faticano a far autocritica sui loro «peccati di gioventù»: anche perché, in cuor loro, non li considerano tali ma solo simpatie politiche di una stagione andata per la quale avere, perché no, nostalgia.

Un secondo motivo per cui il comunismo non è mai stato davvero condannato è culturale, ed è dovuto ai diversi – spesso sorprendenti – punti di contatto col pensiero dominante di oggi. Ne elenco tre. Il primo è l’atesimo e l’ostilità nei confronti della religione, a partire da quella cristiana. I sovietici chiusero le scuole religiose e i monasteri, attivandosi per l’annientamento delle proprietà ecclesiastiche. I guru del laicismo odierno a tanto non arrivano e probabilmente non ne hanno manco bisogno, dato che l’ateismo pratico di massa e il declino della religione cristiana, specie in Europa, procedono da sé. Una implosione religiosa dinnanzi alla quale parecchi intellettuali fan finta di nulla. O si compiacciono. Proprio come avrebbe fatto un intellò comunista.

Un altro parallelismo tra il totalitarismo rosso e l’Occidente secolarizzato emerge nella lotta alla famiglia. I sovietici furono infatti tempestivi nel lavorare contro l’istituto familiare: il 19 ed il 20 dicembre 1917 – subito dopo la mitica Rivoluzione, dunque – furono varati due provvedimenti che oggi, peraltro, troverebbero senza dubbio posto nell’agenda progressista: il primo, sul divorzio, stabiliva che bastasse la richiesta di uno solo dei coniugi per ottenerlo, mentre il secondo decretò l’abolizione del matrimonio religioso in favore di quello civile. La ciliegina sulla torta arrivò poi nel novembre del 1920 con la legalizzazione dell’aborto procurato sulla base della semplice richiesta della donna. Non son forse tutte e tre cose oggi benedette come «diritti civili»?

Un terzo di punto di contatto tra il defunto impero sovietico e il mondo occidentale consiste nella spersonalizzazione dell’essere umano. I comunisti non avevano grande considerazione, per usare un eufemismo, dei diritti della persona che, in un’ottica collettivista, veniva ridotta a numero, ad anonimo ingranaggio del sistema, in una parola a individuo. Ebbene, l’individuo irrelato e sradicato non è forse l’epilogo cui sta portando – lo dice la parola stessa – l’individualismo? Riflettiamoci. Attenzione, però: qui non si vuole neppure alla lontana parificare la tirannia comunista con l’Occidente di oggi. Tuttavia delle analogie almeno culturali esistono, e negarle sarebbe semplicemente disonesto.

Dopo quello anagrafico e quello culturale, il terzo ed ultimo motivo per cui la condanna del comunismo è continuamente ritardata è politico e consiste nel fatto che non solo molti liberal di oggi sono i comunisti di ieri, ma anche i partiti di sinistra traggono la loro legittimazione da un antifascismo e antinazismo semplicemente ridicoli. Perché condannano dittature estinte dimenticando, quelle con cui convivono – oggi – a miliardi tra cinesi, coreani del nord e cubani. Inoltre le radici rosse di Benito Mussolini sono occultate così come il vero nome del nazismo, nazionalsocialismo. Tutte censure interessate, chiaro, che spiegano come mai, a 30 anni dal crollo del muro di Berlino, delle atrocità comuniste non si parli. E dire che esistono 100 milioni di ottime ragioni per iniziare a farlo.

Giuliano Guzzo