Pur di attaccare Matteo Salvini, l’ultimo demone temuto da certi uomini di Chiesa che alla presenza del demonio, quello vero, non credono più e lo dicono (padre Arturo Sosa Abascal docet), il quindicinale Civiltà Cattolica se n’è uscito con un intervento – intitolato «Mussolini, ateo devoto» – la cui tesi è mostrare il duce come «ateo devoto» ante litteram, come antenato del leader leghista quando esibisce il rosario. Tutto ciò «attaccando», ha spiegato padre Antonio Spadaro, «quell’idea di cristianesimo inteso come religione civile, anche a prescindere dai contenuti, dall’essere credente, dalla parola del Vangelo». Ci avete capito poco? Tranquilli, è normale.

Infatti quello di Mussolini come «ateo devoto» è un accostamento grossolano e arbitrario, che non fa onore alla un tempo gloriosa rivista dei gesuiti. Per capire perché occorre capire chi siano gli atei devoti, ossia figure «che ritengono indispensabile la tutela della tradizione cristiana al fine di salvaguardare i princìpi politici di libertà e democrazia della civiltà occidentale, a prescindere dalla loro eventuale fede cristiana» (Wikipedia). Si tratta insomma di difensori di una religione civile culturalmente sovrapponile a quella cristiana vera e propria, ma comunque ben distinta quanto a finalità: il credente ha nel cuore Dio, l’«ateo devoto» l’Occidente.

Bene, ma il duce fu forse «ateo devoto»? Uno sguardo anche superficiale alla sua vicenda porta a concludere di no. Da buon socialista, infatti, Mussolini conviveva senza matrimonio, neppure civile, con Rachele, sino a che non lo ritenne utile politicamente; allo stesso modo non fece battezzare i figli Vittorio ed Edda. E’ poi vero che, durante il Ventennio, il duce assunse posizioni tattiche e di strumentalizzazione della Chiesa. Ma il suo anticattolicesimo lo accompagnò praticamente sempre, tanto che storici come Renzo De Felice dubitano che, nell’ultima parte della sua vita – quando lesse La vita di Cristo del Ricciotti – possa aver sperimentato una conversione.

Lo stesso contrasto tra il vertice della Chiesa ed il fascismo – diversamente da quanto lascia intendere una certa vulgata – non conobbe che tregue episodiche, per giunta brevi e sempre armate. Tensioni anche aspre tra Stato e Vaticano scoppiarono anche nell’aprile 1929, solo tre mesi dopo i Patti Lateranensi. Proprio in occasione di questi, infatti, Mussolini non aveva nascosto agli intimi l’ambiguità di un’operazione che nulla neutralizzava del suo incessante odio contro la Chiesa: «Come avete udito, abbiamo fatto la pace con la Chiesa […] ora che la pace è fatta, si può pure riprendere la guerra!».

Si può quindi concludere che Mussolini strumentalizzò il cristianesimo ma non per difendere l’occidente, bensì a beneficio del potere e e della dottrina fascista, che cristiana non fu affatto come spiegò don Luigi Sturzo, che la definì «fondamentalmente pagana e in contrasto col cattolicesimo. Statolatria e deificazione della nazione» (La Stampa, 10 febbraio 1924). Questo per quanto riguarda il duce mentre, per quanto concerne gli altri teorici fascisti, gli specialisti osservano come «tutte le prove a nostra disposizione indicano» come questi credessero «davvero che la religione cattolica fosse un patrimonio inestricabile della civiltà romana, italiana e fascista» (Il Pensiero Storico;1,2016:128-141).

Consapevoli di effettuare una forzatura, possiamo quindi affermare che ci furono fascisti che sinceramente credevano all’importanza civile del cattolicesimo e che possono essere considerati i nonni degli «atei devoti»: ma questo non fu il caso di Mussolini, che oltre che ateo fu anticlericale e stratega, più che devoto. Sorge quindi il sospetto che l’accostamento tra il leader fascista e gli atei devoti sia solo funzionale a metter ancora una volta nel mirino lui, Matteo Salvini, reo d’incarnare un’idea di «religione civile a prescindere dai contenuti, dall’essere credente, dalla parola del Vangelo». Che ciò corrisponda al vero, non conta. Il «chi sono io per giudicare» vale per tutti, fuorché per il leader leghista.

Giuliano Guzzo