Finalmente l’atteso film di Maximiliano Hernando Bruno, Red Land (Rosso Istria), è stato mandato in onda. Finalmente la vicenda della povera Norma Cossetto è un po’ più conosciuta. Finalmente certi crimini comunisti – solo certi, eh – sono stati sottratti a quell’omertà culturale che, per decenni, li ha aveva tenuti ben nascosti. A questo punto però c’è una domanda con la quale tutti, se siamo onesti, dobbiamo confrontarci. E’ la seguente: perché? Per quale ragione si è dovuti arrivare al 2019 per la messa in onda di un film come Red Land? Come mai solo da alcuni anni, di determinate atrocità, si è preso a parlare, scrivere e fare cinema?
La risposta ricorrente è perché il mondo della cultura è stato – e tutt’ora in larga parte è – oggetto di un dominio politicizzato. Ed è, si badi, una risposta corretta. Corretta ma incompleta. Già, perché se un certo culturame progressista ha potuto prosperare egemone per decenni è pure colpa nostra. Di noi che a fatica leggiamo quotidiani. Di noi che «la cultura che pizza». Di noi che una «conferenza culturale la sera dopo una giornata di lavoro anche no». Di noi pigroni. Di noi che ci siamo fatti finora bastare le grande case editrici – le prime artefici del conformismo -, preferendole ai grandi autori. Sottolineo tutto questo, evidentemente, non per sminuire Red Land. Al contrario, mi auguro che l’attenzione raccolta da questa pellicola sia solo l’inizio.