Ho visto Creed II in una sala semideserta (non c’è più rispetto manco per i miti) dalla quale sono uscito grato a Stallone, più di quanto già non fossi, per questo film combattivo, adrenalinico, insomma virile. La trama è difatti molto semplice – un Rocky definitivamente ingrigito, versione nonno saggio, allena di nuovo Adonis Creed, figlio di Apollo, contro il mostruoso Viktor Drago, figlio di Ivan –, ma i valori che la pellicola, pur non impegnata, trasmette sono tradizionali che più tradizionali non si può: l’onore paterno, che Adonis vuole riscattare, la necessità di combattere per un fine nobile («sai perché combatti?», è la domanda che Balboa ripete al pupillo), e la morte, che emerge sia nel culto della memoria di Apollo, sia nei lunghi resoconti che, al cimitero, davanti alla tomba della moglie Adriana, Rocky fa della sua vita.

Ma soprattutto, è bello come il film presenta l’importanza del legame tra padre e figlio, riproponendola sotto diverse angolature, dal rapporto tra Rocky e il figlio Robert – inesistente, cosa che lacera l’ex pugile – a quello tra Viktor e il padre, quel gigantesco Ivan che, sconfitto da Balboa, è caduto in disgrazia abbandonato da tutti, esperienza che egli non vuole far rivivere al figlio. Morale della favola, in un’epoca in cui l’American Psychological Association, la più importante associazione di psicologi al mondo, ha decretato la «mascolinità tradizionale psicologicamente dannosa», Creed II è splendidamente controcorrente, dato che non presenta maschi pentiti di essere tali, sostenitori del femminismo 2.0, aspiranti transgender né “mammi” che tingono di rosa la loro genitorialità. Solo padri in grado di insegnare e figli pronti ad imparare. Uomini vecchio stampo, insomma. Tanta roba.

Giuliano Guzzo