Dopo i laicisti crocifissofobi e i dirigenti scolastici contro le canzoncine natalizie, era chiaro come fosse solo questione di tempo. L’uscita di don Luca Favarin, sacerdote della diocesi di Padova, secondo cui «quest’anno non fare il presepio» sarebbe addirittura «il più evangelico dei segni» non deve insomma stupirci. E non c’è neppure motivo di scaldarsi, dato che a questo prete, che invoca un Natale neutro «per rispetto dei poveri» – quasi la nullatenenza fosse anticamera della santità -, ha già risposto per le rime don Camillo: «La povertà è una disgrazia, non un merito. Non basta essere poveri per essere giusti. E non è vero che i poveri abbiano solo diritti e i ricchi solo doveri: davanti a Dio tutti gli uomini hanno esclusivamente dei doveri».

Il nodo irrisolto è un altro: perché mai Gesù, fra venti giorni, dovrebbe nascere nuovamente? Perché dovrebbe dar retta ad un’umanità dove il peccato abbonda e ad una Chiesa con pastori che, a ritmi crescenti, confondono fede e filantropia, soprannaturale e sociale, cancellazione del peccato e cancellazione delle frontiere? Perché, insomma, Dio dovrebbe venire per farsi prendere in braccio come un fanciullo, e non per prenderci a calci come una furia? Beato chi ha già una risposta, perché io non la trovo. O forse sì. Se c’è, sta infatti proprio nel presepe, in quella Betlemme affollata dove non c’era posto, dove non pareva davvero il caso, eppure Gesù venne alla luce per portarne di nuova. Nel dubbio, allora, si allestiscano presepi a volontà, in attesa di quel Dono infinito e, specie oggi, immeritato.

Giuliano Guzzo