La notizia del “divorzio” fra Miguel Bosè e Nacho Palau (virgolette opportune, essendo quello fra due uomini un “matrimonio”) è stata accompagnata a quella della «spartizione», tra i due, dei quattro figli, due coppie di gemelli acquistati tramite la procedura dell’utero in affitto. La scelta di un termine tanto cinico – di solito ci si spartisce i soldi, i guadagni, al massimo i compiti, non certo i bambini – sarà da alcuni spiegata come una gaffe giornalistica, se non come assenza di sensibilità, mentre io ci leggo presenza di buon senso: finalmente si chiamano le cose con il loro nome. Chi infatti si procura i figli tramite utero in affitto li concepisce come cose, e come cose è normale li tratti e, all’occorrenza, li spartisca: cosa c’è di strano, scusate?

E’ l’amara verità di una pratica che alcuni, mentendo, insistono con il dipingere come altruistica e benevola, tutta baci e abbracci, mentre nei fatti è ben altro. Anche se la verità peggiore, la più tremenda in assoluto, sarà quella che un giorno si dovrà pur svelare a Diego, Tadeo, Ivo e Telmo – questi i nomi dei bambini acquistati da Bosé ed ex “marito” -, e cioè che il loro essere stati venduti e comprati, quindi il loro essere prima privati di una madre e poi divisi, anzi spartiti, due in Messico con Bosè, due in Spagna con Palau, ebbene tutto questo loro soffrire è stato considerato dal mondo degli adulti, e purtroppo anche da certe leggi, come un “diritto”. Pure qui, se permettete, le virgolette sono opportune. Anzi, direi proprio che sono obbligatorie. Obbligatorie come mai prima.

Giuliano Guzzo