Weinstein, Spacey, Affleck, Hoffmann, Brizzi, Stallone: non passa quasi giorno, ormai, senza che la lista dei molestatori celebri – o presunti tali – non si arricchisca di un nome eccellente. Il che, se da un lato viene celebrato dai grandi media come esempio del coraggio ritrovato di vittime zitte troppo a lungo, dall’altro pone dei problemi significativi. Cinque, almeno. Il primo è che, se tutte si dichiarano molestate, a molti viene da pensare che poche lo siano state realmente. Il troppo, infatti, storpia o comunque puzza.

La seconda conseguenza di questo festival della denuncia tardiva – quella che giunge troppo tardi per un processo, ma non per una prima pagina -, è che, ingenerando l’idea che molte molestie non siano in realtà avvenute, rischia purtroppo di privare aprioristicamente di credito le parole di una vittima che, domani, decidesse di parlare col rischio di sentirsi rispondere dal giornalista di turno: un film già visto, grazie signora, lei è molto gentile ma non ci interessa, e poi lei non è stata violentata da uno famoso, che cosa pretende?

Un terzo, non positivo effetto di quanto sta avvenendo è poi l’iniqua parificazione mediatica – per quanto ogni abuso sia da condannare – di casi che proprio uguali non sono: o forse è corretto dare l’idea di considerare allo stesso modo la palpazione concupiscente subita da un personaggio famoso, per quanto viscido e senza scrupoli, con la violenza carnale toccata a una giovane finita nelle mani di un branco? Giuridicamente sono lecite mille disquisizioni, ma moralmente qualche dubbio, tutto ciò, lo alimenta.

Il quarto problema della molestia quotidiana cui stiamo assistendo, poi, è il definitivo trasloco della sede processuale dal tribunale alle redazione e dall’aula alla piazza, col condannato che è tale per il solo fatto di essere denunciato e con nessuna garanzia, a parte quella della gogna: eppure non risulta che denunciare delle violenze sessuali sia proibito dalla legge, anzi. La quinta ed ultima criticità che emerge in queste settimane sta, a mio avviso, in una limitante concezione di giustizia e di progresso sociale.

Sembra difatti avanzare l’idea che giusto è un mondo in cui la donna non subisca violenza o, capitasse, la denunci immediatamente. Ebbene, se da un lato ciò è sacrosanto, dall’altro è comunque deludente. Non solo perché, talvolta, pure gli uomini subiscono violenza (psicologica magari, ma pur sempre violenza), ma perché quella che dovremmo costruire non è una società nella quale semplicemente nessuno abusa dell’altro – che è il minimo sindacale -, ma dove ciascuno rispetta l’altro.

Nella dimensione di coppia, poi, auspicare l’assenza di violenza è un tragico volare basso, rispetto a quelle aspirazioni di ascolto, di amore e di stabilità che tutti, indistintamente, accomunano e che trovano oggi ben poco spazio. Se insomma si vuole davvero voltare pagina, non è tanto e solo la relazione violenta bensì la non autentica, quella da contrastare. Urge dunque vaccinarsi anzitutto dalla mentalità dell’usa e getta, dei rapporti sicuri ma non sinceri, del precariato affettivo elevato a vanto. Tutto il resto, non è abbastanza.

Giuliano Guzzo