Gli ascolti televisivi buoni anche dopo decenni, la familiarità collettiva coi personaggi da lui inventati e, ora, la virale condivisione di spezzoni delle sue pellicole, lo dimostrano: Paolo Villaggio (1932-2017), oggi scomparso, non è certo stato «solo» Fantozzi, ma Fantozzi è stato molto più di un film. Non solo perché è stato anche un libro (anzi due, editi da Rizzoli), ma perché ha segnato l’immaginario di milioni di Italiani. Così la Bianchina bianca, da anni, è per tutti l’«auto di Fantozzi», il conoscente con gli occhiali spessi il nostro «ragionier Filini» e la partita della Nazionale con birra ghiacciata – e «rutto libero» – l’estasi dell’italianità. Da sociologo, non posso quindi non rilevare come Villaggio sia stato anzitutto questo: un colto ed eccellente conoscitore dell’homo italicus, delle sue aspirazioni, dei suoi vizi e, soprattutto, della sua fiera mediocrità.
L’universo fantozziano, infatti, altro non è che un enorme e italico affresco, con un mondo lavorativo dominato da prepotenza, asservimento e piaggeria, lo snobismo di un’intellighenzia distante dalla realtà e smaniosa di imporre – dalla corazzata Potëmkin in giù – le proprie ossessioni e, dulcis in fundo, le batoste e la tenacia dell’italiano medio, del quale il ragioner Ugo è inconsapevole vessillo. Da notare come, pur risultando puntualmente sconfitto, Fantozzi sia perdente solo in apparenza. Prova ne sia come tutti coloro che lo soverchiano per fascino, lignaggio o potere – il geometra Calboni, la Contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e il Visconte Cobram –, visti da vicino, esprimano una natura macchiettistica non meno ridicola di quella del marito della Pina. La difformità antropologica sta tutta nel fatto che Fantozzi è consapevole di soccombere, mentre gli altri illusoriamente prevalgono.
Ne consegue come, benché perennemente sconfitto, sia il ragioniere interpretato da Paolo Villaggio, in realtà, il vero eroe di un mondo di nani e ballerine, il solo che nonostante le umiliazioni incassate puntualmente trova il coraggio – o l’incoscienza, dipende dai punti di vista – di rialzarsi. E credo sia proprio questo, il suo essere reduce da mille disavventure eppure mai rassegnato, ad aver reso Fantozzi amatissimo. Con un insieme di espressioni e parole – «Mariangela», «vadi», «accento svedese», «com’è umano lei», «chi ha fatto palo?» – che basta appena nominare, oggi, perché il ricordo voli al leggendario ragioniere, personaggio scarsissimo e virtuoso insieme. Egli, infatti, è uno che se da un lato finiva col fare la figura del fesso in ogni situazione, dall’altro era capace, talvolta, di gesti commoventi.
Basti pensare al fatto che sognò tutta la vita di tradire la moglie Pina con la signorina Silvani, ma neppure quando fu sul punto di riuscirvi – come quando si ritrova in un lussuoso albergo di Cortina d’Ampezzo con la collega, in Fantozzi in Paradiso (1993) – vi riuscì, tornando puntualmente a casa senza chissà quale romanticismo, salvando però il suo matrimonio. Come mai? Perché, come noto, scoprì che era stata la Pina stessa, credendolo in fin di vita, a organizzare quella scappatella pur di sapere felice il marito. Un aneddoto tra i tanti che svela, secondo me, la natura non del tutto crepuscolare e rassegnata del ragionier Ugo. Non a caso, in un’intervista di qualche tempo fa, lo stesso Villaggio ebbe sorprendentemente a dichiarare: «Nonostante le previsioni catastrofiche, io penso che il mondo non può che andare avanti migliorando».
Amareggia solo constatare – in questo ricordo di Fantozzi ma, si spera, poco fantozziano – il dislivello tra l’amore che il pubblico ha sempre riservato a Paolo Villaggio e lo spazio, negli ultimi tempi davvero marginale per non dire inesistente, dedicatogli dal mondo dello spettacolo. Come se il suo tempo fosse passato. Come se fosse il momento del nuovo. Come se quella del ragioniere fosse comicità superata, mentre invece continua a confermarsi attualissima e molto più che semplice comicità essendo, come si diceva, la traduzione cinematografica dell’Italia profonda, straordinaria perché normale, e politicamente scorretta perché semplice, genuina e diretta. E’ difficile, ora, stabilire quanto ci mancherà questo immenso artista, ma è facile prevedere che saprà farci ancora tanta, tantissima compagnia.
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Condivido l’articolo. D’altra parte sono stato da sempre un “tifoso” di Fantozzi. Peccato però per certi sarcasmi nei confronti di uomini di Chiesa e anche per aver un po’ ridicolizzato la figura di Nostro Signore. Certo era un comico, però…
D’altra parte Villaggio si è sempre proclamato orgogliosamente e testardamente ateo. Ma preghiamo per lui, che riposi in pace.
Bah… sarei leggermente più critico e con qualche perplessità circa la “grandezza” di Villaggio e dei suoi personaggi… vedremo nei prossimi decenni cosa resterà. Come é dovuto in questi casi mi accodo al “preghiamo per lui” e “R.I.P.”.
Per la prima volta da quando la seguo e la condivido non sono d’accordo con lei.
Prima di tutto non so cosa si intenda oggi per “classe media”, secondo me i personaggi di Fantozzi appartengono invece alla piccola borghesia e, all’interno di essa, a una frangia minuscola di persone schiacciate da incapacità di volare come aquile, restando utilissimi pennuti da pollaio a vita.
Ho molti anni, ma di gente paragonabile a quella descritta da Villaggio non ne ho mai conosciuta. La stessa piaggeria nei confronti dei capi non l’ho mai trovata, anzi ho sempre visto persone, anche di basso grado, saper farsi rispettare e aver la lingua puntuta.
Quel mondo descritto da Paolo Villaggio scaturisce dal suo personale e snobistico disprezzo per il suo prossimo, da cui si è sempre sentito estraneo e superbamente distaccato.
I suoi personaggi, a mio avviso, non rappresentano proprio nessuno, sono solo la caricatura di qualche debolezza umana che lui ha buffonescamente esasperato solo per sentirsene differenziato e per cavarne furbescamente una lauta fonte di guadagno.
Un buffone intelligente e ben pagato, che ha usato esseri umani al posto dei cartoni animati per raccontare favole umoristiche, questo era per me Paolo Villaggio.
E, se ora può, riposi in pace.
Villaggio ha fatto in modo che la gente ridesse delle disgrazie altrui, intendendo fra queste anche il carattere. Poiché ha fatto ridere è considerato un comico, ma soprattutto è stato un cinico.
E che cosa dire di ciò che ha scritto su friulani e sardi? La satira non è accettabile quando scade nell’offesa e nella volgarità. Riporto un breve estratto dal libro “Mi dichi. prontuario comico della lingua italiana”, pagina 42: “e i friulani, che per motivi alcolici non sono mai riusciti a esprimersi in italiano, parlano ancora una lingua fossile impressionante, hanno un alito come se al mattino avessero bevuto una tazza di merda e l’abitudine di ruttare violentemente”.
Bene, ciascuno è libero di soffermarsi con gratitudine e qualche sincera punta di sorriso sui fatti e sui personaggi che vuole. Ma trovo onestamente imbarazzante che nemmeno una parola sia stata spesa, signor Giuliano, sulla visita del Papa alle tombe di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, due figure, due cristiani, che a mio parere, hanno provato a seguire da vicino il Signore Gesù e che con la loro testimonianza incalzante, stimolano, aiutano a camminare dietro di Lui, in fedeltà al Vangelo. Grazie per la risposta, Gabriele