Lo Stato federale australiano del Victoria, alcune settimane fa, ha annunciato di voler estendere l’applicazione del Respectful Relationship program, programma finalizzato a prevenire in età giovanile l’insorgere della violenza che flagella poi le famiglie in età adulta – e per il quale ha investito quasi 22 milioni di dollari – anche a bambini di tre e quattro anni. Il motivo? Per prevenire il manifestarsi di comportamenti sessisti. Proprio così: sessisti. Al punto che tra gli studiosi è sorto un dibattito sull’opportunità di una simile iniziativa.«L’importante», ha per esempio commentato Kimberley Norris, studiosa della University of Tasmania e membro dell’Australian Psychological Society, «è promuovere il rispetto per tutti, senza patologizzare i normali processi di sviluppo. Se i ragazzi vogliono giocare coi ragazzi e le ragazze con le ragazze, e i maschi vogliono giocare coi camion e le femmine con le bambole, tutto ciò non è sessista ma parte di un normale percorso di crescita». Buono a sapersi, verrebbe da commentare. Anche perché non è affatto chiaro quale legame possa esservi tra insegnamenti ai bambini in età prescolare e la prevenzione della violenza di genere.
In Provincia di Trento, per esempio, in risposta ad una specifica interrogazione sui percorsi di genere nelle scuole, l’Assessore all’Università ha spiegato che vi sarebbero «molte pubblicazioni scientifiche che spiegano come la differenziazione dei giocattoli tra maschi e femmine così come la riproposizione di modelli di comportamento stereotipati nei libri abbiano un legame con la futura suddivisione dei ruoli all’interno della società e del mondo del lavoro» (Prot. n. A038/2017/182063/2.5) Wow, molte pubblicazioni scientifiche? Per esempio? Nel citato documento vengono offerte alcune indicazioni bibliografiche che però, questo è il punto, risultano decisamente poco convincenti. Infatti vi si vi trovano due semplici pubblicazioni non di un’équipe di specialisti, ma di una singola autrice che, peraltro, non risulta aver effettuato alcuna ricerca sugli effetti a lungo termine – quindi nella società, in famiglia e nel mondo del lavoro – della lettura di libri di testo, ma che si limita a rilevare come essi seguitino, a suo dire, a diffondere un’immagine di femminilità e mascolinità sessista e anacronistica.
Viene poi indicata un’analisi su dei libri e sui contenuti degli stessi e, infine, il piatto forte: uno studio (cfr. Early Childhood Education Journal; 1999) che non solo si limita a misurare gli effetti della lettura di sei libri ad un campione di meno di ottanta bambini – senza quindi dire proprio nulla «sulla futura suddivisione dei ruoli all’interno della società e del mondo del lavoro» del campione considerato -, ma che si conclude proprio chiarendo la necessità di approfondimenti ulteriori e a lungo termine. Morale della favola: la Provincia di Trento non ha saputo, per il momento, illustrare in modo convincente su quali fondamenti scientifici poggi l’utilità di determinate iniziative scolastiche. E c’è seriamente da dubitare che il governo dello Stato del Victoria – fermo restando l’importanza di prevenire forme di violenza -, stia sponsorizzando le proprie iniziative basandosi su evidenze più solide. Non sarebbe allora il caso di lasciare in pace i bambini, almeno in età, prescolare? Intanto nel Vicentino, un bambino di nove anni, nei giorni scorsi, rientrato a casa ha chiesto: «Mamma, cos’è il sesso orale?». Una curiosità nata dopo un’ora di educazione sessuale, immaginiamo fondamentale per contrastare la violenza, le malattie sessualmente trasmissibili e il sessismo. E’ il progresso, bellezza.
Ordinalo in libreria oppure acquistalo subito su Amazon