I 59 missili Tomahawk lanciati nelle scorse da due portaerei al largo del Mediterraneo contro la base militare di Al Shayrat, in Siria, segnano una svolta – immediata, totale e abbastanza inquietante, direi – della Presidenza Trump. Il pensiero che per primo sorge, davanti ad un fatto del genere, è che l’inquilino della Casa Bianca, con questa mossa, abbia ceduto alle pressioni dei falchi conservatori e di quell’establishment che sperava nella vittoria della democratica Hillary Clinton, la quale da settimane sta non a caso chiedendo la testa di Assad presso tutte le cancellerie occidentali, e che così avrebbe allungato le mani anche sulla nuova presidenza.
Una seconda considerazione che viene da svolgere è che l’operazione, sia pur imponente e militarmente costosa (si parla di circa 93 milioni di dollari), da un lato fosse in qualche modo pianificata da tempo e, dall’altro, non preluda a nessun ulteriore e più massiccio e umanamente ben più dispendioso intervento. Il presunto attacco chimico di Assad – su cui non esiste, ad oggi, alcuna prova certa – sarebbe stato insomma il pretesto di Trump per guadagnarsi la fiducia di ambienti politici a lui inizialmente ostili (e che hanno nei McCain e nei Rubio i loro riferimenti) in una fase in cui il Presidente Usa è in oggettiva difficoltà per l’incapacità di portare a casa quanto promesso in campagna elettorale.
In breve, The Donald avrebbe bombardato, più ancora che per bastonare Assad o impressionare Russia e Cina, per recuperare in politica estera quella forza che, di fatto, non ha mai avuto in quella interna. Il punto – considerazione numero tre – è che si tratta di un gioco molto rischioso. Anzitutto perché se cedi una volta a certi poteri (defenestrando pure dal Consiglio di sicurezza il tuo braccio destro, quale di fatto era Steve Bannon per Trump), è molto difficile poi tornare indietro e riguadagnarti un’autonomia operativa degna di questo nome. In secondo luogo, perché è molto grave che un uomo che ha fatto della guerra alle fake news il suo distintivo, si basi su una notizia non provata (l’attacco chimico) per un’azione militare tanto massiccia e “improvvisa”.
Infine, c’è da dire che sa un lato gli Usa, è vero, non hanno procurato danni immensi alla Siria (si parla “solo” di sei vittime e pare, anche se non è certo, che i russi fossero stati avvisati dell’operazione), dall’altro hanno, di fatto, agevolato i terroristi, dato che poche ore dopo l’attacco unità dell’ISIS sembrano abbiano provato ad approfittare della situazione bombardando check point e postazioni dell’esercito siriano. Comunque la si intenda, insomma, la mossa di Trump è negativa, a meno che non sia stato un modo – ma sono ipotesi, a mio avviso, assai deboli – per scrollarsi di dosso l’etichetta filoputiniana o per anticipare, stemperandola, la furia intervista di altri Paesi. La sensazione più forte e amara resta però quella che la presidenza del cambiamento vero, quello fieramente antiglobalista, su cui molti contavano, sia già finita.
Ordinalo in libreria oppure acquistalo subito
Cerchiamo di non far passare in secondo piano che gli USA hanno attaccato militarmente uno Stato con cui non erano in guerra. E’ una cosa che a nessuno Stato al mondo sarebbe permessa, ma, parafrasando Toto (ed il presidente Massimino), c’è chi può e chi non può, gli USA può.
Non dimentichiamo poi che l’atto è stato criticato dagli esponenti delle Chiese locali come controproducente.
Indipendentemente dai motivi per cui l’ha fatto, Trump ha di fatto mostrato che seguirà la strada dei suoi predecessori, ossia farà quel che gli pare meglio per sé e per gli USA indipendentemente da leggi e convenzioni. Non basta essere contro l’aborto per essere un buon presidente.
Mi permetto di dissentire stavolta. La presidenza “anti-globalista” non avrebbe mai potuto esistere perché la sua premessa ideale è una vaga idea nella testa di tanti, ma inconsistente.
Trump non ha mai avuto il potere in mano perché nessuno è mai salito così in alto avendo così tanto potere contro. Per questo naviga a spintoni, anche commettendo errori, ma sapendo che non è possibile caricare a testa bassa fregandosene dell’opposizione, perché ti scorni. Già così, dando concessioni ai finti amici, si sta(va) indebolendo. E non dimentichiamo che a volte, specie in politica estera, prima ancora di essere in grado di decidere contro i suoi nemici, non è detto che sappia quali dei dati che riceve siano inquinati dai depistaggi degli avversari.
Naviga a vista mentre tiene in mente suoi obiettivi. La Siria per lui è un mezzo, una piccola pedina.
Non era un eroe senza macchia prima, non è finito dopo. Ha consolidato, giocando su più tavoli, un potere che è sempre precario, che ha obiettivi che non coincidono con quelli di tanti antiamericani più o meno inconsapevoli, che in queste ore esprimono delusione.