La morte di Fabiano Antoniani, 40 anni compiuti il 9 febbraio scorso, il dj rimasto cieco e tetraplegico dal 2014, in seguito ad un incidente stradale – e recatosi in Svizzera per porre fine a quella che considerava «una lunga notte senza fine» – è al centro, come prevedibile, di un dibattito inteso, senza dubbio appassionato, ma estremamente disonesto, nel quale le imprecisioni abbondano a tutto vantaggio di una lettura emotiva e non ragionata dei fatti. Per cercare di rimettere ordine, ritengo opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali, al di là dei quali l’intera vicenda continuerà ad essere equivocata. Anzitutto, c’è da dire che Dj Fabo non era un paziente terminale. Era, certo, una persona colpita da una condizione molto grave e senza, sulla base delle conoscenze attuali, concreta prospettiva di ripresa, ma non stava morendo. Versava cioè in una situazione serissima, ma la malattia e l’accanimento terapeutico – che si concreta nella somministrazione di cure inutili, sproporzionate o addirittura controproducenti per la salute di un paziente – non c’entravano affatto col suo stato. Sostenere il contrario, molto semplicemente, significa ignorare i contorni dell’intera vicenda.
Una vicenda – secondo aspetto da considerare – che non si è conclusa con un’eutanasia ma, più precisamente, con un suicidio assistito. L’eutanasia propriamente detta, infatti, è legale solo nei tre paesi del Benelux (Paesi Bassi, Belgio e Lussembugo), mentre Dj Fabo era stato accolto per morire nella clinica Dignitas di Forck, ad una decina di chilometri da Zurigo, poiché in Svizzera il suicidio assistito è legale. Come mai i media, da bravi, preferiscono parlare di eutanasia? La risposta è semplice: perché sono molti più gli italiani favorevoli all’eutanasia che al suicidio assistito. E chi vuole condizionare l’opinione pubblica, lo sa benissimo. Un terzo aspetto da considerare è strettamente procedurale. Dignitas stessa, infatti, tiene a precisare che «per ogni singolo caso, un viaggio di questo genere, il colloquio con un medico, la redazione di una ricetta e il suicidio assistito è preceduto da un iter DIGNITAS che normalmente richiede fino a tre mesi, ma che può durare anche più a lungo. Solo dopo questa procedura preparatoria, entro tre o quattro settimane, potrà aver luogo il suicidio assistito» (Come funziona Dignitas, p.4). Ora, come sappiamo Dj Fabo è morto ieri, lunedì 27 febbraio. Ecco, anche se molti non lo fanno osservare, non si tratta di una data casuale.
Per un motivo semplice: è lo stesso giorno in cui era stato calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati, l’inizio della discussione del disegno di legge sulle direttive anticipate e sul consenso informato. Ora, possibile che una morte che richiede – secondo Dignitas – un iter di diverse settimane, sia avvenuta proprio in questa data, o forse tutto ciò risponde ad un disegno politico? Non ho elementi per avanzare sospetti di alcun tipo, né intendo farlo. Di certo la tempistica colpisce. Inclusa quella di diffusione della notizia. A chi non l’avesse notato, infatti, ricordiamo che dj Fabo è morto alle 11:40, neppure dieci minuti dopo – alle 11:48 – Marco Cappato, che lo aveva accompagnato in Svizzera, ha twittato “la notizia”, che alle 11.55 era già il titolo di apertura di tutte le grandi testate nonché quella di tutti i telegiornali. Nessun complottismo, sia chiaro, ma se qualcuno avesse cinicamente pianificato a tavolino il tutto, per dare una eco mediatica massima a questo fatto, non avrebbe potuto fare di meglio. A questo punto, uno potrebbe intelligentemente obiettare che si sta parlando di una morte per suicidio assistito, mentre il Parlamento si sta occupando di biotestamento.
Ebbene, questo qualcuno coglierebbe nel segno nell’evidenziare che o le due cose – il suicidio assistito di Fabo e il testamento biologico – sono disgiunte, oppure strettamente connesse pur sembrando distinte. L’ipotesi corretta è la seconda. Infatti, anche se formalmente il suicidio assistito in Italia è punito (smettiamola, per piacere, di mentire dicendo che in Italia una legge non c’è: esiste eccome, e sanziona quello che correttamente definisce omicidio del consenziente), introducendo il biotestamento, apripista dell’eutanasia omissiva, si mira a renderlo presto legale, magari grazie a qualche sentenza “creativa” della magistratura. Morale della favola, al di là del dolore per la morte del quarantenne italiano, quella che resta è la sensazione d’aver assistito ad un macabro teatrino allestito per condizionare l’opinione pubblica. Nascondendo alla gente molte curiose coincidenze così come il fatto che laddove si riconosce il diritto a morire, la morte si fa cultura e porta oltre l’immaginabile. Cito due esempi soltanto. Il primo è quello dell’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998, e dove il tasso di suicidi nella popolazione generale è del 49% più elevato rispetto alla media nazionale; la stessa Svizzera ha un tasso di suicidio circa doppio a quello italiano.
Il suicidio assistito può favorire una tendenza al suicidio? Così sembrerebbe, ma non ve lo raccontano: i dubbi seri, a chi fa propaganda, non interessano. Secondo esempio per riflettere. E’ la storia di Anne, un’insegnante britannica recatasi pure lei nella clinica Svizzera Dignitas per ottenere il suicidio assistito. Il motivo? Non riusciva ad adattarsi alle tecnologie e ai tempi moderni, ai computer e alle e-mail, e anche al consumismo e ai fast food. Perciò ha chiesto di morire ed è stata accontentata: ne parlava Repubblica il 7 aprile 2014. Non è una bufala. Le bufale le raccontano i promotori della cosiddetta autodeterminazione assoluta, che da una parte allestiscono teatrini di morte, e dall’altra ci fanno credere che la contrarietà al suicidio sia un valore cattolico, quando basterebbe leggersi Immanuel Kant: «Chi si toglie la vita […] si priva della sua persona. Ciò è contrario al più alto dei doveri verso se stessi, perché viene soppressa la condizione di tutti gli altri doveri» (Lezioni di etica, Laterza, Bari, 2004, pp. 170-171). Che dire? Mentono, mentono sempre. Ed hanno i media dalla loro. Ma non il buon senso, che rimane esclusiva degli apoti, quelli che non la bevono.
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ma anche se qualcuno avesse cinicamente pianificato a tavolino questo suicidio, per dare una eco mediatica massima a queste posizioni che trovo penose, non avrebbe potuto fare di meglio.
suvvia, diamo un nome a questo cinico pianificatore del proprio suicidio: chi altro se non Fabo?
che immagino dovrebbe essere sepolto in terra sconsacrata ed additato al pubblico disprezzo, come si fa qui e come la Chiesa ha crudelmente fatto per secoli.
in casi come quello di Fabo sarebbe semplicemente cristiano astenersi dal giudicare, almeno fino a che non ci trova in una situazione simile,
e poi, se Kant e` contrario al suicidio in generale – come nel mio piccolo posso esserlo anche io -, allora la legge deve imporre questa visione morale anche a chi non la condivide e con le sue scelte non danneggia nessun altro che se stesso, eventualmente?
ah, dimenticavo di essere su un sito di integralisti cattolici: cattolico, cioe` integralista.
coloro che confondono da secoli Cesare con Dio e trovano assolutamente normale che la legge rispecchi le loro opinioni personali da imporre a tutto il mondo come giuste universalmente (cattolicamente).
Per la verità, l’unico cinico organizzatore di morti altrui è Cappato, che ha approfittato di un uomo infelice e prostrato psicologicamente, condizionandolo ad orchestrare la sceneggiata della richiesta di un consenso pubblico, dell’attesa di un rapido svolgersi della procedura parlamentare (impossibile nei fatti ma ugualmente richiesto, tanto per creare il caso), del viaggio finale e del ritorno con autodenuncia. Il solito metodo di manipolazione dell’opinione pubblica per forzarla ad accettare, addirittura a richiedere, la legalizzazione dell’eutanasia, presentando casi-limite e imbastendo teatrini mediatici che confondano i termini e i piani del problema. Lo abbiamo già visto con divorzio-aborto-omosessualismo-unionicivili, sempre lo stesso format, neanche originale oramai.
Sempre lo stesso format perché purtroppo è efficace. La gente dimentica di cosa si parlava all’inizio, pertanto non lo confronta con quello a cui si è arrivati effettivamente e ogni volta abbocca.
faccio fatica a seguirLa. come puo` esserci una discussione se si comincia col negare i fatti o a presentarne una versione palesemente falsa?
Lo Stato impone un’infinità di cose anche a chi non le condivide. Di più, l’ordinamento giuridico è tutto un insieme di obblighi e divieti imposti a chi ha una visione che non condivide. Nello specifico, il c.p. punisce l’omicidio del consenziente. Eppure è una scelta che non danneggia nessuno. Solitamente chi sventa un tentativo di suicidio viene premiato dalle pubbliche amministrazioni, eppure sta negando l’autodeterminazione altrui. Non mi si risponda che il suicida non sa quello che fa e quindi è giusto salvarlo. Se secondo voi noi siamo proprietari della ns. vita lo siamo sempre e di essa possiamo farci quello che vogliamo, anche se a terzi non può piacere (e per questo tentano di salvarci) e si immaginano che la nostra incapacità di intendere e volere.
Proprietari di cosa poi? Se la vita è di nostra proprietà com’è che non la possiamo né vendere né comprare, che non possiamo dir nulla se sullo “acquisto” da parte nostra di essa, né sul fatto che ci verrà tolta. Ben strana proprietà, questa vita.
comincerei da alcuni punti che possiamo condividere;
1) l’uomo non e` padrone della propria vita.
il poeta latino Lucrezio ha definito il problema in modo tuttora insuperato per chiarezza:
La vita a nessuno è data in proprietà, a tutti in prestito.
2) le leggi impongono il rispetto di valori predominanti in una societa`, e ne impongono il rispetto anche a chi soggettivamente non li condivide.
3) legittimamente chi non condivide i valori dominanti puo` cercare di sostenere e di farne accettare degli altri, beninteso con metodi pacifici.
detto questo, l’opinione dominante nell’Italia di oggi e` chiaramente e nettamente favorevole ad una regolamentazione del morire nella quale abbia un ruolo fondamentale l’opinione di chi e` debitore della vita, per dirla come Lucrezio, e sga per restituirla.
e` questo valore fondamentale della libera determinazione del morire che si chiede che la legge riconosca adeguandosi alla volonta` prevalente e che va riconosciuto e accettato sia nei casi cosiddetti di eutanasia, sia in quelli di suicidio assistito, che rappresentano soltanto due modeste varianti della stessa questione fondamentale: chi decide del proprio vivere e del proprio morire e` soltanto il soggetto consapevole.
chi e` contrario a questo principio, lo dica pure, come avviene qui, e sviluppi i suoi argomenti come sa; ma non pretenda di mantenere una legge che non corrisponde piu` ne` al sentire comune ne` alla reale situazione di fatto, che la vede comunemente violata, per buon senso, anche se tra sotterfugi e rischi inaccettabili.
usare sotterfugi per aggirare la volonta` popolare, perche` non corrisponde a quanto si vorrebbe, e` odioso e inaccettabile.
Egregio bortocal/corpus05, più volte su questo blog abbiamo incrociato le penne. Non sono quasi mai stato d’accordo con lei ma le riconosco volentieri arguzia e cultura; stavolta però non ci siamo proprio.
Anzitutto lei parte dicendo che la vita non è di nostra proprietà, anzi è un prestito, e, aggiungo io, come tale va restituito al proprietario senza che la cosa prestata venga distrutta o usata da noi in maniera impropria, ma rispettandola. Fatto oggettivo, condivisibile da tutti. Chi pensa che la vita sia proprietà, cade in assurdità difficilmente dipanabili.
Bene, concordo in pieno. Però nel terzultimo capoverso scopro che le cose stanno tutte al contrario, ovvero chi decide della cosa prestata è solo colui che ha ottenuto il prestito e di questa cosa ne fa quello che vuole. Ma come?! La vita è una cosa prestata oppure è una nostra proprietà? Prima contraddizione.
Andiamo avanti. Mi dice che la legge impone il rispetto dei valori predominanti nella società anche a chi non li condivide. Ma se della mia vita decido io, perché la volontà della maggioranza deve imporre a me, alla mia vita qualcosa che non condivido? La volontà popolare oggi, benché propensa all’eutanasia, non è favorevole a situazione come quella della britannica Anne, descritta da Guzzo nell’articolo. Ed io cosa devo fare? Accettare la violenza della maggioranza sulla mia vita, solo perché loro la pensano in maniera diversa? Ma non era che “chi decide del proprio vivere e del proprio morire e` soltanto il soggetto consapevole”? Seconda contraddizione.
“chi e` contrario a questo principio, lo dica pure, come avviene qui, e sviluppi i suoi argomenti come sa; ma non pretenda di mantenere una legge che non corrisponde piu` ne` al sentire comune ne` alla reale situazione di fatto”.
Beh, grazie, almeno la possibilità di dissentire. A dire il vero non ci speravo dopo aver rilevato quanto nel capoverso qua sopra. Insomma, corpus05: la vita è mia proprietà oppure no, se non condivido mi devo adeguare anche se gli altri hanno argomenti assurdi (perché li hanno, lo pensa anche lei, la vita è un prestito, no?) per giustificare l’eutanasia.
Veramente, c’ho capito poco. La prendo come una boutade d’una sera d’inverno.
Saluti
bortocal ha scritto:
“additato al pubblico disprezzo, come si fa qui […]”
Come si fa qui!? Mi indica in quale passaggio dell’articolo di Guzzo, dj Fabo viene “additato al pubblico disprezzo”?
“In casi come quello di Fabo sarebbe semplicemente cristiano astenersi dal giudicare […]”
Infatti, Guzzo non ha giudicato Fabo, ma il comportamento di Cappato. Mi sa tanto che l’articolo lei l’ha letto con poca attenzione.
“ah, dimenticavo di essere su un sito di integralisti cattolici: cattolico, cioe` integralista.”
Guardi che nessuno la obbliga a frequentare questo blog integralista e oscurantista.
Salve,
mi sa che abbiamo idee davvero tanto diverse, però magari il mio punto di vista le può comunque essere arricchente.
Si rende conto di quanto rigida, violenta, pericolosa rischia di essere la sua visione dicotomica di bene e male? Ritenere di sapere secondo un modello assoluto, immutabile, generalizzabile a tutti, cosa è bene e cosa è male distrugge il dialogo, la differenza, la complessità, costringendo in un mondo bidimensionale e che fa presto ad assumere tratti antidemocratici se non dittatoriali.
Il che non significa per forza cadere nel relativismo ma porsi nei confronti della vita in un’ottica di continuo ascolto, ricerca e dialogo.
Anche se si decidesse di prendere come unica guida morale la Bibbia, due millenni di analisi, interpretazioni, filosofie su di essa dovrebbero indicare abbastanza chiaramente come una linea netta e rigida di cosa è il bene e il male non ci sia stata data e come la stessa Chiesa si approcci ai testi sacri in una prospettiva di continua ricerca.
Scendendo nello specifico, l’idea di impedire il male andando a proibire a livello di legge qualsiasi contatto con il male, pur plausibile in linea di principio, assume connotazioni cupe se pensata in un’ottica sistematica e rigida: ovviamente ciò che faccio e ciò che sono ha un impatto anche sugli altri, però questo non può incarcerare la mia libertà: Impediamo l’uso d’alcool per tutti perché una persona ubriaca potrebbe molestare una ragazza? Censuriamo ogni libro o film che propone scene cruente perché giovani o fragili menti potrebbero esserne traumatizzate?
Inoltre sottolineo come quello che può essere male per lei non per forza è ritenuto tale da altri, quindi se in alcuni casi è necessario e giusto prendere posizione e legiferare (Sul furto, o sull’omicidio ad esempio), in altri casi è importante garantire libertà sulle scelte dei singoli.
L’idea del prevenire l’effetto farfalla è inoltre davvero inapplicabile sia di fatto (si è visto come le pratiche proibizioniste siano o inefficaci o controproducenti) sia per concetto (l’effetto farfalla per sua natura è imprevedibile). Rispetto agli Snuff movies poi, non sono un esperto, ma credo proprio che se ne è stata resa illegale la detenzione non sia principalmente perché potrebbero turbare e dunque condizionare gli animi degli spettatori, ma perché è una pratica che foraggia e lucra sulla violenza inflitta alle persone.
Saluti
mi spiace deludere le Sue speranze, ma ho tre figli, tre nipoti per parte di sorella e quattro nipotini; forse sono troppo patriarcale per i Suoi gusti? 🙂
per fortuna mi sembra che i miei tre figli abbiano idee abbastanza chiare sul bene e sul male, e nello stesso tempo, soprattutto, non li confondano con criteri assoluti.
mi risulta che il fondatore del cristianesimo ci ha chiesto di non giudicare sempre
Luca, 6, 41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?
e a chi voleva lapidare l’adultera che cosa disse Jeshu?
chi e` senza peccato scagli la prima pietra.
Lei e` senza peccato solo perche` e` uncattolicoapostolicoromano?
Lei non sente di essere peccatore piu` di coloro che giudica quando si permette di definire un Suo fratello “figlio del demonio”?
Lei non e` cristiano: il cristianesimo insegna che TUTTI gli uomini sono figli di Dio.
e questo posso dirlo anche io che non sono cristiano, almeno non certamente nel senso in cui dice di esserlo Lei…
non vorrei che trovasse contraddizione in me: il mio e` un giudizio storico, non morale.
oggettivamente Lei non condivide i valori fondanti del cristianesimo.
resta da capire perche` abusa del loro nome.
capira` quindi perche` faccio fatica ad accettare il Suo invito a convertirmi al vangelo; sono io piuttosto che La invito a rileggerselo e a covertirsi, visto che per Lei quei testi affascinanti sono di origine divina; ma a me basterebe soltanto una rilettura umana per capirli per quello che effettivamente dicono.
sono pienamente d accordo con te
grazie! 🙂
Le persone come te sono la rovina dell’umanità
Mi chiedo solo una cosa. Perché lo Stato dovrebbe aiutare ad ”uccidersi”? Una scelta individuale, da me non condivisa, non può essere avallata come giusta per chiunque. Concordo con te e con Kant. Isabella
Sicuramente è un discorso complicato perchè credo non ci siano etica, morale, religione, buonsenso o alcuna regola che possa imporre un obbligo di vita ad una persona che per x motivi ha scelto di morire.
Chi sceglie la morte in autonomia, semplicemente si suicida, chi non ha questa possibilità perchè ad esempio tetraplegico altro non può fare che affidarsi a queste cliniche, ma è comunque sempre una scelta delle persona.
Io credo che la scelta di morire sia e debba essere solo personale, senza dare adito ad istituzioni, moralisti, politici e predicatori di poter scegliere per noi.
Se poi come il caso Englaro non c’è la facoltà di intendere o di volere del diretto interessato allora è un altro discorso.
Perfetto!
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La cecità dei fanatici cattolici (e dei fanatici in genere) non conosce pudore, morale, umanità… si sono impossessati di Gesù come ladri che entrano in casa nostra e pretendono di esserne i padroni. Gente malata che odia la categoria degli psicologi e psichiatri in quanto professionisti che possono certificare la loro malattia mentale. Che Dio vi benedica e che vi salvi dal vostro orrore interiore.
Da ormai diversi anni (caso Englaro e Welby) mi interessa la questione fine vita, testamento biologico con annessi e connessi. Tutte le discussioni che sento in merito, o quasi tutte, vedono protagonisti politici, religiosi o bioeticisti incapaci di uscire dal loro schema, di dialogare e di trovare un confine fra libertà personale di rifiutare interventi esterni di sostegno alla vita ed intervento esterno a favore della vita, da parte dello Stato attraverso i medici; un confine fra libertà personale di chiedere interventi esterni per porre fine alla propria vita e diritto dello Stato a negarli. Io credo che questo confine ci debba essere e ci sia. Ormai la medicina può tenerci in vita anche se noi non possiamo più comunicare con l’esterno; occorre stabilire un modo per essere ancora liberi in queste condizioni. Dopo uno, due anni di stato vegetativo non ci si può più attendere, ragionevolmente, un risveglio; per cui da quel momento in poi deve essere riconosciuta la volontà del soggetto e la sua libertà. Allora la mia proposta è questa: il confine di cui parlavo prima è il proprio corpo umano. A ciascuno deve essere possibile rifiutare ogni intervento esterno di terapie, medicinali ma anche respirazione, idratazione e alimentazione, sia dichiarandolo di persona (se si è ancora in condizione di comunicare) sia mettendolo per iscritto in un formale testamento biologico di cui tenere conto (nel caso non sia più in condizione di comunicare con l’esterno). In altre parole chi entra dentro ciascuno di noi (cioè supera il confine del nostro corpo) con qualsiasi oggetto o sostanza, per qualsiasi motivo (a parte gli interventi di pronto soccorso che devono continuare ad essere fatti perchè il fattore tempo è determinante per la salvezza di chiunque e deve sempre essere presumibile l’adoperarsi per la vita, non per la morte), deve chiederci il permesso. Nel caso che si sia entrati per intervento di pronto soccorso o per precedenti interventi, una volta stabilizzato, il soggetto deve avere riconosciuto il diritto di vedersi sospesa la respirazione, l’idratazione e l’alimentazione, sia per esplicita richiesta (se cosciente) sia per dichiarazione nel testamento biologico (se non più cosciente). Per quanto riguarda invece la richiesta del soggetto di ricevere sostanze o trattamenti esterni che gli provochino attivamente la morte, il confine (il proprio corpo) vale ugualmente: egli non può pretendere che nessuno gli entri dall’esterno per dargli la morte, perchè questo tipo di diritti non valgono al di fuori del suo corpo: egli non può disporre di interventi esterni dello Stato o di altri per morire. Questa mi pare una soluzione ragionevole a molti casi, forse a tutti (fra l’altro anche DJ Fabo, che respirava grazie ad un respiratore esterno, avrebbe già ora avuto il diritto di essere sedato e di farsi sospendere la respirazione, come fece Welby). Ma da una parte i cattolici non ammettono di sospendere alimentazione ed idratazione, mentre dall’altra i laici non ammettono che quello a ricevere attivamente la morte dall’esterno non debba essere considerato un diritto. Mi interessa molto leggere vostre considerazioni, possibilmente argomentate e non di trincea: di trincee ne abbiamo già a sufficienza.
Saluti. Max
Considerazioni interessanti, però ho due rilievi critici:
a) Tu poni come principio il non intervento sul nostro corpo senza nostro consenso, subito dopo però ti contraddici facendo un’eccezione nei confronti degli interventi di pronto soccorso. Questi, a tuo avviso, possono essere fatti anche senza consenso, perché in tal caso (e solo in questo caso) è la tutela della vita a prevalere. Ora, cosa si fa nel caso in cui un tale, ricoverato in pronto soccorso, abbia lasciato scritto nel suo testamento biologico che NON vuole essere rianimato, prospettiva neppure balzana visto che il caso Englaro partì proprio da una rianimazione “andata male”? Se vale il non intervento senza consenso allora non va rianimato; se però vale la tutela della vita, allora cade la vincolatività delle DAT non solo nel momento della rianimazione, ma anche dopo. Qui il fattore tempo è poco rilevante: nel caso di Eluana Englaro verosimilmente il tempo era già “scaduto”, ossia le probabilità di ritorno alla “vita normale” erano già scarse quando si tentò la rianimazione.
b) Mi sembra di capire che tu ritenga le DAT vincolanti per il medico, una volta in cui il soggetto che le ha sottoscritte non sia più cosciente. Qui il problema è delicato: infatti nelle DAT si configura una volontà congetturale, ipotetica, legata all’accadimento di determinate condizioni. Pertanto, essendo ipotetica, il passaggio alla realtà (ovvero all’applicazione concreta) di questa volontà dev’essere una sua verifica, ossia occorrerebbe che, una volta presentatesi le condizioni richieste, venga chiesto al paziente se intende confermarle. Così non è però perché le DAT varrebbero quando il paziente non è più cosciente. Si pretende quindi illogicamente di spacciare una volontà ipotetica come reale. Di peggio: la volontà è l’estrinsecazione della libertà e la libertà si realizza nel fatto concreto, di fronte all’alternativa. Nel caso delle DAT non c’è nessun fatto concreto, ma solo una congettura. Quindi l’automatico trasferimento della volontà da un fatto all’altro provoca quello che le DAT vogliono evitare: l’ingabbiamento della libertà in una determinata situazione che NON è quella che il soggetto sta realmente vivendo.
Ciao Michele, grazie per il tuo commento.
A) Non sto parlando della rianimazione al pronto soccorso. Il testamento biologico dovrebbe contenere, a mio parere, le disposizioni della persona che si trovasse in uno stato di non comunicazione con la realtà ragionevolmente definitivo. Questo, a quanto ne so, accade dopo 1 o 2 anni di permanenza in stato vegetativo, quando la percentuale dei risvegli mi risulta cadere a cifre minime. Anche la Casa dei Risvegli di Bologna, dopo un periodo iniziale di terapia intensa volto a favorire il ritorno alla coscienza dei pazienti, rinuncia a proseguire se il risveglio non si verifica perchè, ragionevolmente, non ce lo si può più aspettare. E’ da questo punto che, a mio parere, dovrebbe essere riconosciuto a chi lo avesse dichiarato nel testamento biologico il diritto di rifiutare respirazione, idratazione ed alimentazione. E’ chiaro che il lavoro del pronto soccorso non deve essere intralciato da dichiarazioni di Tizio o di Caio e nessuna dichiarazione scritta deve mettere in condizione i medici e gli infermieri di indugiare rispetto a tutti gli atti medici che hanno il fine di salvare quella vita umana.
B) Se io faccio un testamento per lasciare le mie eredità a Tizio, so che se un minuto dopo muoio quelle mie eredità passano a lui. Se cambio idea sono libero di cambiare testamento ma so che se non faccio in tempo perchè muoio andando dal notaio il mio patrimonio andrà comunque a Tizio. Allo stesso modo il testamento biologico, oltre a non dover essere obbligatorio richiede che uno sia cosciente che se cade un minuto dopo in stato vegetativo, passato il termine di uno o due anni di attesa del possibile risveglio il testamento andrà applicato. E’ ovvio che non sarà più possibile comunicare un eventuale cambiamento di opinione, ma il testamento biologico è un atto libero, non obbligatorio. Anche chi si fa ibernare potrebbe cambiare idea e preferir morire anzi che risvegliarsi dopo 200 anni in un mondo troppo diverso da quello a cui era abituato, senza conoscere nessuno. Ma è libero di non farsi ibernare. La responsabilità di accettare il rischio di cambiare idea è legata ad un atto libero: per cui non vedo il senso della tua distinzione fra volontà ipotetica e verificata. D’altra parte se, con volontà ipotetica, io prenoto una stanza per una settimana in un hotel sulle Dolomiti e verso una caparra, e poi quando mi trovo nel posto resto deluso perchè lo trovo non di mio gradimento e ci ripenso applicando una volontà verificata, la caparra la perdo. No?
Ciao Massimo, ti rispondo secondo l’ordine dei punti:
a) Il punto è che se viene posto come principio che per intervenire sul mio corpo serve il mio consenso allora non si capisce perché nella rianimazione al pronto soccorso questo non debba valere. Insomma, se io posso decidere, tramite DAT, a quali trattamenti devo essere sottoposto quando non sono cosciente, non c’è ragione per escludere dal novero dei trattamenti la rianimazione, soprattutto se so, al momento della sottoscrizione delle DAT, che un esito eventuale della rianimazione è lo SVP. Perché non posso decidere se venirci sottoposto o meno, visto che comunque posso decidere se protrarre oppure no lo SVP, possibile effetto della rianimazione? Mi sembra l’eccezione al divieto di intervenire senza consenso in questo caso (e solo in questo caso) più una pezza messa lì perché si temono (giustamente!) conseguenze inaccettabili di abbandono terapeutico che un’eccezione effettivamente fondata.
b) In realtà parlare di “testamento biologico” per le DAT finisce per imbrogliarne il senso e per assimilarlo al testamento propriamente detto. Però, a mio avviso, non si può istituire un paragone tra i due: le DAT si applicano quando il soggetto è ancora vivo, non post mortem; e neppure la morte è un’ipotetica condizione (quando dico ipotetica o congetturale intendo dire che le DAT sono delle formulazioni teoriche, e come ogni teoria vanno verificate) ma è una realtà che arriva per tutti. In sostanza, per il testamento non si tratta di trasportare di peso una situazione formulata in astratto ad una situazione concreta, com’è per le DAT. Per questo parlavo di ingabbiamento della libertà: perché la libertà di scelta, per sua natura, vale quando è posta di fronte al fatto concreto; se la trasferisco di peso in un’altra situazione la sto annientando.
Anche l’esempio della stanza non mi sembra che colga il punto: in questo caso tu ti sottoponi (liberamente) ad un’obbligazione con un albergatore, ma nel caso delle DAT stai obbligando te stesso. E se la delusione è frutto di una truffa o di una pubblicità ingannevole puoi ottenere un risarcimento; nel caso delle DAT, ahimè, non potrà succedere.
Michele,
ecco le risposte.
A) Lo Stato, quando interviene, deve intervenire per tutelare la vita del singolo. Nel caso del pronto soccorso o del tentativo di salvare uno che vuole suicidarsi lo Stato attraverso i medici e i carabinieri o la polizia interviene senza perdere tempo a verificare la disponibilità ad essere salvato del traumatizzato o dell’aspirante suicida, perchè: 1) nel primo caso (pronto soccorso) questo ritardo applicato sistematicamente a tutte le persone soccorse porterebbe ad essere meno efficaci nei soccorsi verso la stragrande maggioranza delle persone che il soccorso lo accettano volentieri; 2) nel secondo caso (tentato suicidio) ugualmente lo Stato non deve perdere tempo rendendo meno efficace l’intervento percxhè deve essere presumibile la momentanea incapacità di intendere e volere dell’aspirante suicida e deve essere presumibile la possibilità di risolvere il motivo che lo ha indotto a cercare il suicidio. Spesso chi tenta il suicidio in modo pubblico non ha davvero intenzione di farlo: cerca, più o meno consapevolmente il modo di essere oggetto di attenzione perchè è solo. Chi vuole davvero togliersi la vita lo fa in privato e senza dare nell’occhio, cioè senza rischiare di venir interrotto nel suo intento. Comunque deve valere il principio che se uno vuole togliersi la vita ma qualcuno se ne accorge (Stato o privato cittadino), questo qualcuno ha il diritto di cercare di impedirlo. Mi pare che questo non confligga affatto con il poter dichiarare, quando si è nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, che se un giorno ci si troverà ad essere definitivamente impossibilitato a comunicare con gli altri dopo un periodo trascorso in stato vegetativo (da uno a due anni a seconda del progressivo sfumare dell’aspettativa di risveglio) si vuole rinunciare ad ogni intervento esterno volto al mantenimento in vita. Se mi viene riconosciuta quando sono nel pieno possesso delle mie facoltà la possibilità di non alimentarmi e di non idratarmi, non si capisce perchè questa possibilità non mi debba più essere riconosciuta quando non posso più manifestarla perchè non comunico più. Quando fu scritta la nostra Costituzione il problema del rispetto delle volontà personali in stato vegetativo non esisteva, perchè non esistevano gli stati vegetativi. Oggi essi esistono perchè la medicina si è progressivamente evoluta, per cui credo che affrontare questi problemi con criteri di 70 anni fa sia inadeguato.
B) Proprio per l’inadeguatezza dei criteri di 70 anni fa è tempo di riconoscere che la persona esiste anche quando non può più comunicare ed esiste la sua libertà, che egli intende per come la sua cultura e la sua sensibilità l’hanno fatta maturare. Quindi trovo un po’ sofistici i distinguo che fai fra libertà astratta e concreta. Perchè, in alternativa, l’uomo che non può più comunicare ma è vivo sarebbe privato di ogni libertà, che passerebbe allo Stato. Questa prospettiva non mi piace affatto. Riguardo poi all’esempio della stanza che trovi non pertinente, ti sei dimenticato di considerare il fatto che la delusione sia solo responsabilità mia, che non ho valutato bene le informazioni che ho preso quando ho prenotato. Se recedo la caparra la perdo; ma, pur sapendo che avrei potuto perderla sono stato libero di averla pagata.
Ti chiedo poi una cosa: anni fa ho discusso a lungo con una persona (non mi ricordo come si chiamasse) in questo stesso forum e su questi stessi temi. Mi pare che le sue argomentazioni fossero molto simili alle tue. Sei per caso tu quella persona, per quanto tu ti ricordi?
Sì, penso di essere proprio io quello con cui discutesti un paio d’anni fa, credo.
A) Mi sembra che la tua sia un’applicazione un po’ libera dei principi che intendi difendere. Prima scrivi che lo Stato non può intervenire su di me senza il mio consenso, però nel caso di un tentativo di suicidio o di una rianimazione legittimi l’intervento statale sulla base di un interesse collettivo che schiaccerebbe anche quello personale (benché quest’ultimo non leda diritti altrui), anche se il soggetto ha lasciato scritto che non vuole essere rianimato, oppure di una presunzione (tutta da dimostrare) che chi vuole suicidarsi non intende in realtà farlo. Se la rianimazione non va a buon fine e cado in SVP per 1-2 anni è ancora lo Stato ad avere l’ultima parola, dopodiché ripassa a me, come era prima dell’incidente. Però se non sottoscrivo le DAT l’ultima parola è ancora dello Stato. A me pare che il rischio che tu paventi nel punto b) quando affermi che “l’uomo che non può più comunicare ma è vivo sarebbe privato di ogni libertà, che passerebbe allo Stato” sia realmente presente anche nella tua prospettiva, dove lo Stato viene fatto entrare un po’ come tappabuchi laddove si teme che un’applicazione ampia ma coerente del principio di non intervento sul corpo del soggetto si spinga troppo in là.
B) Credo che qua il problema sia sulla natura della libertà di scelta. Ora, nel caso delle DAT quello che io posso fare è solo immaginare come sarà la mia situazione in SVP, farmi un’idea. Se io mi vincolo (e mi vincolo con me stesso) sottoscrivendo delle DAT la libertà di scelta la sto mettendo tra parentesi, non è più possibile tornare indietro. Certamente un uomo in SVP è privato della libertà, purtroppo questa è la condizione di tale stato, ma in questo caso estendere automaticamente una volontà presunta di tempo prima non è diverso che far sì che questa libertà la eserciti lo Stato: siamo sempre lì, è un’altra volontà che si impone in una situazione a lei estranea.
Beh, se ti hanno promesso una suite e ti ritrovi in un sottoscala lì la colpa non è tua, e appunto fai bene a chiedere la restituzione. Con le DAT è peggio: è come entrare in una nebbia dove nessuno c’è mai stato e pensare di trovare agevolmente la via d’uscita.
A) Lo Stato non può intervenire DENTRO di me senza il mio consenso. Questo è un principio assodato, mi pare, che ci permette di avere una INVIOLABILITA’ ed una libertà personale. Ci sono eccezioni, naturalmente. Lo Stato può rendere obbligatorie certe vaccinazioni, intervenendo quindi DENTRO di me, ma lo fa perchè è di interesse pubblico il non offrire ad eventuali epidemie punti di attacco sulla collettività. Lo Stato quindi interviene DENTRO di me, o SU di me, se c’è un motivo di prevalente interesse sociale o di ordine pubblico, per cui limita la mia libertà. Ma questa è un’eccezione al principio. Ho cercato di spiegarti che nel caso di pronto soccorso o tentato suicidio è giusto presupporre l’intenzione del singolo a farsi soccorrere o la sua momentanea incapacità di intendere o volere quando tenta di uccidersi. Perchè se prima di intervenire, SISTEMATICAMENTE, in queste due condizioni lo Stato prevedesse un protocollo volto ad accertare le intenzioni del singolo perderebbe efficacia l’azione salvifica anche a scapito della stragrande maggioranza degli altri singoli che effettivamente vogliono essere salvati o non vogliono davvero uccidersi. Sei tu forse al corrente di persone che non vogliono essere curate in caso di improvviso incidente o trauma? Io no, nei media non mi pare se ne parli. Si parla piuttosto di come ci si sentirebbe a vivere in stato vegetativo per anni ed anni, senza speranza di risveglio. Questo mi pare un problema decisamente più sentito di quello di chi non vuole farsi curare dal pronto soccorso in caso di incidente o trauma. Per cui cerchiamo di non considerare scenari che forse non esistono nemmeno. Queste dell’intervento dello Stato, quindi, sono eccezioni al principio dell’inviolabilità della persona. L’intervento salvifico dello Stato sul singolo è ugualmente un principio basilare, che può avere eccezioni. Si tratta di decidere quindi alla luce di nuove condizioni di vita vegetativa che ai tempi della stesura della Costituzione non esistevano, se e quali debbano essere. Si può certamente valutare quale debba essere il tempo fra l’ingresso in stato vegetativo e il momento in cui si possa rifiutare ogni intervento esterno: io ho ipotizzato 1 o 2 anni perchè so che dopo 2 anni di risvegli non se ne registrano quasi. Tant’è vero che la stessa Casa dei Risvegli De Nigris, votata ai risvegli, dopo un anno di permanenza dei pazienti li trasferisce ad altra struttura e dedica le sue terapie a chi ha maggior possibilità di risvegliarsi. E’ tempo di riconoscere a chi si trova in stato vegetativo la possibilità di far valere le decisioni su se stesso volte al rifiuto di interventi esterni.
B) Si tratta di vedere quale fra queste due libertà debba prevalere: quella dello Stato a tenermi in vita, senza sapere cosa io provi effettivamente in stato vegetativo, oppure la mia a rifiutare interventi esterni, senza sapere se invece in quella situazione, una volta che mi ci sono trovato, io vorrei comunque vivere. Se diamo prevalenza alla prima togliamo al singolo ogni espressione di volontà ed autodeterminazione senza che vi sia un motivo di particolare interesse pubblico o ordine pubblico. Se diamo prevalenza al secondo riconosciamo l’inviolabilità, la libertà e la responsabilità personale del singolo. D’altra parte, c’è gente che si fa ibernare. E chi lo dice che un giorno, se verrà risvegliata, non si pentirà diaver passato secoli nell’attesa di affrontare una vita completamente diversa fra gente che non conosce, col punto interrogativo sulla effettiva possibilità di guarigione? Non è forse anche questo un esempio di libertà ipotetica contrapposta a libertà verificata? Ma lo si permette, perchè si riconosce che lo Stato non ha motivo di interesse pubblico o ordine pubblico per impedirlo. Ti ricordo nuovamente che l’esempio della stanza prevede la possibilità che essa risponda perfettamente alle informazioni che io ho preso prenotandola. Poi, una volta lì, posso rendermi conto che avrei dovuto io approfondirle ad esempio riguardo all’orientamento della stanza, alla rumorosità della campana della chiesetta adiacente che suona ogni 15 minuti, alla presenza di tapparelle, scuroni o tende, alla presenza del bidet, al tipo di pane servitò, alla presenza o meno della sauna, della palestra, alla distanza dal centro del paese o a qualsiasi altro accidente mi fosse sfuggito in sede di prenotazione. Dunque fa parte della vita di tutti i giorni il fatto di esercitare prima una libertà ipotetica, poi una libertà verificata. Ma non per questo non siamo liberi. Se non fosse così, se la libertà dovesse essere sempre e solo verificata, non faremmo mai una scelta.
A) Dalla tua risposta mi sembra di capire che giustifichi l’interesse pubblico prevalente sull’interesse individuale sulla base del danno alla collettività (es. mancata vaccinazione che può causare un’epidemia). Bene, ma quale danno può venire alla collettività da chi tenta il suicidio o da chi ha lasciato scritto di voler rifiutare la rianimazione (visto che sa che un esito possibile è lo SVP)? Sono scelte che non influiscono su terzi. Tu a questo punto sei costretto a compiere due operazioni per restringere un campo (quello dell’autodeterminazione) che ti rendi conto di aver allargato troppo:
1) Presumere che chi si suicida lo faccia perché incapace di intendere e volere, il che è veramente un’assunzione molto ma molto forte: chi lo fa può certo essere scoraggiato o afflitto o spaventato (ma non lo è anche chi sottoscrive le DAT per il timore che lo SVP sia una condizione in cui mai vorrebbe vivere? Perché di timore si tratta non di esperienza provata e consolidata), ma ci vuole ben altro per poter parlare di incapacità, anzi solitamente il suicida ha ben ponderato le sue condizioni esistenziali prima di prendere questa decisione.
2) Presumere che l’accertamento previo delle intenzioni del soggetto incosciente che viene portato al pronto soccorso diventi senz’altro un intralcio alle cure per tutti gli altri. In realtà si tratta di rischi assai remoti: sarebbe sufficiente consultare le DAT disponibili su un registro elettronico per tutto il S.S.N. e verificare immediatamente se la persona aveva richiesto o meno la rianimazione; se non ha lasciato DAT, si procede con la rianimazione. Invece, nel caso di colui che, agonizzante dopo un evidente tentativo di suicidio, viene portato in pronto soccorso, rimane ben poco da presumere: abbiamo una volontà messa in opera in modo inequivocabile.
Io mi chiedo perché nelle DAT potrò rifiutare dei trattamenti se sono in SVP, ma non potrò rifiutare il tentativo di rianimazione che mi condurrà allo stato vegetativo. Mi sembra assurdo che lo Stato mi lasci decidere per l’eutanasia passiva in SVP, ma non mi lasci scegliere se sottopormi al trattamento che dello stato vegetativo è antecedente logico e cronologico, sulla base per giunta di un interesse pubblico alquanto fumoso. Non credo che qui c’entri tanto la costituzione o il codice penale o altro: anche settant’anni fa c’erano i casi pietosi, le agonie prolungate (e a quel tempo senza palliativi), le disabilità gravi o le malattie neurodegenerative. Si tratta di capire i principi che ci permettono di venire a capo delle varie e disparate situazioni in cui ci possiamo trovare.
B) Se ci si muove dentro una concezione volontaristica, allora il conflitto tra le due volontà si risolve a favore della più forte, come anche tu alla fin fine riconosci, quando introduci un interesse pubblico prevalente su quello privato, anche quando quest’ultimo non lede (se non per remotissima ipotesi) quello di terzi. Ed infatti cos’è l’autodeterminazione se non il ritaglio per tramite di legge, e quindi di un atto dell’autorità statale, di una zona in cui il soggetto può fare sì quello che vuole ma della quale zona i confini sono delimitati dal potere pubblico senza che l’individuo possa dire alcunché? È bene ricordarsi che invocare più libertà significa richiedere più leggi: l’autodeterminazione individuale è sempre derivata, ovvero è eterodeterminazione.
Ammetto che parlare di volontà ipotetica non ha aiutato a chiarire i miei argomenti. Rimane però l’ineliminabile differenza tra una volontà attuale (che è quella che si esprime nel consenso informato dato dal paziente) ed una volontà antecedente e astratta. Tant’è che anche il ddl sulle DAT si accorge del problema prevedendo la figura del fiduciario che ha il compito di “attualizzare” la volontà del paziente incosciente nel dialogo con il medico. Questo perché le DAT hanno bisogno di essere applicate nella situazione concreta, vuoi perché incomplete o non chiare o contraddittorie oppure superate dal progresso scientifico o per il semplice fatto perché nessun testo parla da sé: anche l’interpretazione letterale è solo una delle possibili interpretazioni e non è affatto detto che sia quella corretta. Ma, dato che ci si trova in un orizzonte volontaristico (dove la volontà è preminente, a prescindere dal contenuto che essa assume), prevedere un interprete significa trasferire ad un altro ed alla sua volontà quella che prima era la mia volontà. Con l’ovvio pericolo che piuttosto che riportare fedelmente la mia volontà, proietti la sua, magari inconsciamente, sulla mia.
Senza contare inoltre che al paziente che dà il proprio consenso informato ad un trattamento è sempre possibile, in qualsiasi momento, ritirarlo. Per chi è incosciente ovviamente no. Lo stesso vale per la sospensione di un trattamento: il paziente può sempre riattivarlo. Ma se vogliamo evitare una fin troppo evidente disparità di trattamento in qualche modo la possibilità succitata la dobbiamo riconoscere anche al paziente non più in grado di intendere e volere. La riconosciamo al fiduciario, come sembrerebbe scontato? Se così è però l’assorbimento della volontà del paziente incosciente che ha sottoscritto le DAT in quella del fiduciario sarebbe completo.
Veramente a me sembra che si stia scherzando col fuoco.
Seconda risposta a Michele, perchè la prima non è stata pubblicata, forse per un mio errore.
A) No, Michele. Non mi pare affatto di aver allargato troppo i cordoni dell’autodeterminazione. Lo Stato ha il compito di tutelare prima la vita umana e poi la libertà umana e quando interviene lo deve fare in questa direzione, non nella direzione opposta. Nessun singolo ha il diritto di invertire d’importanza questi due principi, anche se questo non comporta un danno alla collettività. Se c’è uno che sta per buttarsi sotto un treno o da un ponte io intervengo perchè presumo che in quel momento non sia lucido: c’è gente che ora ringrazia chi lo ha salvato da un tentato suicidio; chi vuole suicidarsi lo faccia cercando di non venir disturbato, se non vuole esserlo. Se c’è uno che resta senza conoscenza in seguito ad un incidente io lo soccorro, perchè presumo che voglia vivere. Se vuoi affrontare l’ipotesi di creare un Albo degli aspiranti suicidi ne possiamo parlare, ma non mi pare che ve ne sia l’urgenza sociale nè la richiesta. Se vuoi affrontare l’ipotesi di creare un Albo di quelli che non vogliono farsi soccorrere in caso di incidente … idem. Ti chiedo nuovamente se conosci qualcuno che si iscriverebbe … Se io sono cosciente posso certamente rifiutare il ricovero in pronto soccorso o anche le trasfusioni (pensa ai testimoni di Geova), posso rifiutare alimentazione, respirazione ed idratazione. Lo Stato si ferma davanti a questa mia libertà e non interviene, se è espressa con consapevolezza da un individuo riconosciuto capace di intendere e volere. Questo perchè lo Stato non ci considera cellule appartenenti a se stesso ma individui. Io chiedo che la stessa cosa sia riconosciuta anche per chi ormai non è più capace di comunicare, in base a ciò che liberamente ha dichiarato quando lo era. Questo non può che essere il confine. Ti faccio poi notare che lo stato vegetativo è certamente una conseguenza cronologica del tentativo di rianimazione del pronto soccorso, perchè accade dopo di esso. Ma non è affatto una conseguenza logica, perchè lo scopo del tentativo di rianimazione è opposto e perchè nella maggior parte dei casi la rianimazione ha buon esito. Lo stato vegetativo corrisponde al caso di inefficacia di una terapia vitale; chi ne ha bisogno e vuole vivere (perchè voleva vivere fino ad un attimo prima del trauma che gli ha tolto conoscenza) accetta la terapia. Poi, se questa non funziona, egli è sempre una persona libera che deve poter rifiutare interventi esterni così come li poteva rifiutare quando poteva comunicare.
B) L’autodeterminazione della persona non nasce affatto per gentile concessione dello Stato. Lo Stato riconosce la libertà (inviolabile) della singola persona, ma pone dei limiti per salvaguardare quella altrui, quella della collettività e il rispetto dei principi di riferimento dello Stato stesso. Quando la libertà del singolo non confligge con questi casi deve potersi esprimere. Nel testamento biologico una sola cosa va scritta con chiarezza: il rifiuto di tutti gli interventi esterni, anche vitali. Su questo c’è poco da interpretare. Il tutore ha il solo compito di verificare che questa volontà sia applicata. Se il testamento biologico dovesse contenere altre indicazioni, specificare quale intervento accettare e quale no, non mi interessa discuterne perchè non sono competente. Io mi limito all’indicazione di un rifiuto TOTALE di interventi esterni, come accettazione INTEGRALE della propria condizione vitale. Chi è in stato vegetativo a qualcuno dovrà pure affidarsi (tutore o Stato che sia), ma solo per far rispettare le sue proprie volontà di rifiutare OGNI intervento. Quindi non vedo che problema ci sia.
Ciao Massimo,
penso che quello che dovevamo dirci ce lo siamo detti, quindi non proseguirò oltre nella discussione.
Mi limito solo ad osservare che, relativamente al punto B), le DAT non riguardano solo lo stato vegetativo ma anche altri stati dove il soggetto non è attualmente capace di intendere e volere. Ovviamente il problema non si restringe solo a alimentazione, idratazione e ventilazione artificiali ma ha uno spettro assai più ampio.
Per quanto riguarda l’interpretazione, è un problema che si pone per qualsiasi tipo di testo, letterario, legislativo, ecc. E correttamente si prevede che un fiduciario faccia le veci del paziente incosciente. Io, ad es., posso scrivere che non voglio trattamenti invasivi, eccetto il sondino nasogastrico perché voglio vivere fino alla mia “morte naturale”, ma poi nel concreto cosa significa? Se ho un’infezione per cui si deve procedere ad un intervento chirurgico salvavita, come ci comportiamo? Senza contare che le DAT saranno sicuramente incomplete, non chiare, non aggiornate. Se ormai da decenni i giuristi hanno capito che ogni testo legislativo (che dovrebbe essere rigoroso nel disciplinare univocamente i casi di cui si occupa) richiede sempre interpretazione, vuoi che non accada con le DAT, scritte da non specialisti?
Mi sa che ci prepareremo a ricorsi su ricorsi in tribunale.
Michele, come ti ho già scritto non intervengo sulle articolazioni complesse che un testamento biologico potrebbe avere perchè non ne ho le competenze. Dico solo che limitarlo a dichiarare che dopo uno o due anni passati in stato vegetativo si RIFIUTA OGNI INTERVENTO ESTERNO DI QUALSIASI TIPO (tranne la sedazione finale) non darebbe seguito ad alcun problema di interpretazione. Ciao e grazie per la chiaccherata.
Tutte ottime ragioni perché casi simili siano gestiti dal SSN e regolati da logiche diverse da quelle del mercato.
L’ha ribloggato su EUROITALIA news.
@ max.
la coda breve dei commenti fissata in questo blog mi impedisce di darLe una risposta diretta, ma spero che questa Le arrivi ugualmente:
qui sopra trovo scritto:
“se qualcuno avesse cinicamente pianificato a tavolino il tutto, per dare una eco mediatica massima a questo fatto, non avrebbe potuto fare di meglio”.
siccome chi ha deciso e pianificato la propria morte e` Fabo, credo che questo giudizio debba essere strettamente riferito a lui.
non e` cosi`?
No, il riferimento è chiaramente a Marco Cappato.
le due posizioni non sono separabili; Cappato ha semplicemente eseguito le volonta` di Fabo che era impossibilitato a darvi seguitopersonalmente.
chi dice che Cappato ha speculato sul caso di Fabo, dice necessariamente che anche Fabo ha speculato politicamente sulle proprie condizioni.
anche per esperienze personali molto dolorose andrei molto cauto nell’accusare di speculazione chi aiuta a morire senza dolore qualcuno che magari gli e` anche molto caro.
corpus05,
il suo discorso ha senso, visto che Fabo ha accettato di posticipare il suicidio fino al periodo di discussione della legge. Ma vuol mettere la situazione psicologica di Fabo e quella di Cappato? Inoltre quest’ultimo gli avrà spiegato che la legge in discussione si occupava di altro rispetto al suo caso?
I radicali hanno chiesto che fosse permesso l’aborto in certi casi strappalacrime. Ora che viene abusato come metodo contraccettivo e come metodo di selezione (eliminazione dei Down) li ha mai sentiti dire che si è andati troppo oltre, che non volevano questo? Io no.
Con l’eutanasia sarà uguale. Ho visto ieri un filmato su youtube (segnalato da Mario Adinolfi) che parlava degli abusi che ci sono in Belgio. Un signore diceva: o mia madre aveva una grave malattia e non me l’hanno detto oppure…di cosa è morta? Se sei malato ed un medico giudica che la tua vita è indegna sei fritto.
Mi scusi, lei dice, “Anzitutto, c’è da dire che Dj Fabo non era un paziente terminale dilaniato dalle sofferenze fisiche.”…
Si sbaglia proprio.. queste sono le parole di chi ha avuto modo di parlare con lui e la madre…
“Ci sono giorni in cui lo vedo soffrire 24 ore su 24 ed è uno strazio.”. Io non so di quali dolori soffra un tetraplegico. Chiedo a Fabo di spiegarmeli. “Sono scosse, reazioni nervose dolorosissime sulle gambe e sulle braccia, alcuni giorni non mi danno tregua.”. “Non posso neppure dargli nulla, nessun antidolorifico. Si può solo aspettare che passi.”, aggiunge Carmen.
Mi perdoni se glielo dico, ma prima di scrivere certe cose, si documenti…
Abbia pazienza, io posso anche perdonarla ma non ho mai scritto che la condizione di Fabo fosse priva di dolore o che fosse una passeggiata. Ho scritto che non era un malato terminale, e tale non era: punto. E’ un dato di fatto incontestabile. Quanto poi al fatto che non sia stato il dolore in quanto tale a spingere Fabo verso il suo gesto estremo, è stato confermato da Angelo Mainini, il medico fisiatra che l’ha seguito per due anni: «La scienza medica fa progressi impensabili per migliorare e allungare la vita, ma nessuno è stato in grado di dare a Fabo la motivazione sufficiente a continuare ad amare la sua […] In decenni a contatto diretto con pazienti come Fabo vediamo che il problema è avere o non avere qualcosa per cui valga la pena vivere». Chiaro? «Avere o non avere qualcosa per cui valga la pena vivere». Questo è, il resto sono solo tentativi di distorcere una realtà (assai drammatica, non lo nego di certo) ma molto diversa da come la vendono i media.
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Non trovo l’articolo citato sul sito di “Repubblica”, forse non è disponibile online… ho trovato questo in http://www.direttanews.it/2014/04/07/la-storia-di-anne-non-si-adatta-alla-modernita-in-svizzera-per-suicidio-assistito/ che questo del “Telegraph” http://www.telegraph.co.uk/news/health/news/10748699/I-cannot-adapt-to-modern-times-said-teacher-who-ended-life-at-Dignitas.html
Se qualcuno trova quello di Repubblica faccia un fischio, grazie.
Se qualcuno avesse cinicamente pianificato il tutto, cinismo per cinismo, avrebbe fatto in modo che la morte avvenisse nel tardo pomeriggio così da avere il tempo di far preparare le prime pagine anche dei quotidiani di carta. Ma quanto cinismo in questo articolo.
Paola, notizia ANSA (ma anche altri l’hanno data)
‘ ”Ovviamente non c’è stata nessuna istigazione al suicidio di Fabo. Anzi abbiamo ottenuto di dissuaderlo per qualche settimana in più, facendogli venire la forza e la voglia di lottare per i diritti di tutti. L’aiuto, si quello l’ho dato su sua richiesta”. Così Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni,’
Ha capito? La data l’ha proposta Cappato ed ovviamente non era casuale. Lo dica a lui che era meglio nel tardo pomeriggio.
Eh già, infatti al giorno d’oggi non c’è internet che diffonde le notizie in tempo reale, né ci sono i tg delle 12-12.30-13… Serve aspettare la carta stampata. Ma usare la logica un po’, no?
«…In decenni a contatto diretto con pazienti come Fabo vediamo che il problema è avere o non avere qualcosa per cui valga la pena vivere». Chiaro? «Avere o non avere qualcosa per cui valga la pena vivere». Questo è… E le pare poco caro Guzzo?
Anche se ai cattolici integralisti pare impossibile ci sia chi non vive nessuna fede o non crede ci sia un “dopo”, questa realtà esiste e rappresenta oggi una considerevole fetta di umanità. Se così non fosse, non si spiegherebbero le scelte e i comportamenti che chiunque può osservare intorno a sé.
È evidente allora che il punto di vista di questi soggetti non concorda con quello degli integralisti cattolici. Fabiano, quarant’anni appena compiuti, rimasto cieco e tetraplegico a seguito di un grave incidente stradale, ma non malato terminale, avrebbe potuto vivere decenni in quelle condizioni. Ma per Fabiano ormai la vita non aveva più senso. Non riusciva più a fare le cose che faceva prima, a esercitare quell’attività creativa che dava significato alla sua esistenza. Non gli interessava più vivere, perché considerava non più vita il suo stato. E come lui, tante persone ragionano allo stesso modo.
Si è sempre detto che la fede non si può imporre, che è un dono della Grazia. Pare invece che ancora oggi in questo ridicolo paese non soltanto si voglia imporla, ma si pretende che tutti ragionino da cattolici integralisti.
Non resta quindi, almeno per il momento, che ringraziare la Svizzera.
Se il senso della vita è a discrezione del soggetto, allora anche sventare un tentativo di suicidio è atto di violenza privata. Chi si suicida non vede più un senso alla propria vita. Perché allora il “salvataggio” non viene sanzionato per quello che è, ovvero negazione del diritto di decidere sulla propria vita? Quando risponderete a questa domanda si può parlare di eutanasia.
Mi risponderete che la vita è di mia proprietà? Ebbene è una sciocchezza: la vita non si può acquistare né vendere, non ne posso acquistare due o scambiarla con un’altra, l’ho ricevuta senza che mi sia stato chiesto ed ugualmente mi verrà tolta senza che la mia volontà possa farci nulla.
Quindi, anziché fare sentimentalismo ragioniamo sui fatti, laicamente.
P.S. Il suicidio assistito non è previsto, ad esempio, nei Paesi scandinavi. Giusto per informazione agli italioti abituati ai discorsi da bar paesano: lassù non ci sono cattolici integralisti né Vaticano.
Se sei convinto, come pare, che la tua vita non ti appartenga fai bene ad agire in ossequio a questo principio. E tuttavia non puoi pretendere che gli altri si adeguino al tuo punto di vista e agiscano di conseguenza.
Se volessimo davvero ragionare sui fatti e non sulle chiacchiere, dovremmo prima trovarci nella situazione in cui per un caso fortuito si è trovato il povero Fabiano. Soltanto allora potremmo non giudicare, ma comprendere ciò che ha vissuto e ciò cui ha volontariamente rinunciato.
Come già ti ha risposto Corpus05, le leggi si adeguano ai valori predominanti della società ed io aggiungo che molto spesso più che imporre le leggi consentono determinate scelte. Posso divorziare, ma non lo faccio se non ne ho la necessità. In determinate situazioni posso abortire, ma nessuno mi obbliga a farlo. Potrei legarmi civilmente a un uomo, ma non ho nessun interesse a farlo. Si tratta di leggi che in nessun caso ledono la volontà di chi invece ha principi etici diversi.
Se sei convinto, come pare, che la tua vita non ti appartenga fai bene ad agire in ossequio a questo principio. E tuttavia non puoi pretendere che gli altri si adeguino al tuo punto di vista e agiscano di conseguenza.
Non è questione di essere convinti o meno. La domanda è: la vita è una mia proprietà? Se è sì, allora si può fare con essa ciò che si fa con qualsiasi proprietà: vendere, ad esempio. Se non lo si può fare, allora non è una proprietà, è altro. Non è questione di non essere liberali, è questione di non essere ottusi, quando si presenta una “cosa” per quello che non è.
Se ognuno può fare della sua vita quello che vuole sei disponibile a riconoscergli la libertà di drogarsi come gli pare, non indossare le cinture di sicurezza, vendere un rene oppure accedere al suicidio assistito se, come l’insegnante britannica dell’articolo, non ci si riesce ad adattare alla tecnologia? Se credi veramente a quello che hai scritto, non puoi vietarglielo; se glieli vieti, invece pretendi che la tua concezione della sofferenza sia valida anche per gli altri, dunque sei integralista tanto quanto i cattolici che accusi, punto.
Come vedi, è solo una questione di razionalità, che in nessuno degli argomenti pro-eutanasia è presente.
@ uncattolicoapostolicoromano
grazie per essere intervenuto anche sul mio blog.
Le rispondo sinteticamente:
1) non occorre essere cristiani e neppure religiosi per accedere all’idea di bene e di male; dopotutto il cristianesimo si e` formato nella storia dopo secoli di riflessione dei filosofi greci sul tema, e questa riflessione e` diventata parte essenziale del messaggio cristiano, modificandone anche le impostazioni degli inizi.
2) noto con una certa sorpresa che Lei ritorna proprio all’integralismo originario del messianismo ebraico: fratello, per Lei, come per gli islamici, e` soltanto chi condivide la stessa fede.
era per questo motivo che la Chiesa bruciava gli ebrei e gli eretici senza rimorso, credo.
ma il cristianesimo storico e` diverso per come si e` evoluto; quindi le Sue posizioni, al momento, non sono cristiane, lo confermo per un’analisi storica spassionata.
3) È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini
Lettera a Tito, 2,11
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Che personcina questo Cappato; rimane pur qualcosa di Pannella.
cattolicoapostolicoroamanosifaperdire
‘E io le ricordo che di quelli che vanno all’Inferno rimane l’essenziale, ossia l’Anima: purtroppo per Pannella, per Scalfari e per il loro amichetto biancovestito che abita in Vaticano pur non avendone mai avuto la cittadinanza e che è il vicario di quel lucifero che si sono tutti e tre scelti per padre:’
Abbiamo l’onore di avere Dio che scrive su questo blog, che emozione!
Non sono cattolico al 100% ma sono metà cristiano e metà buddista. Cattolico d’educazione, buddista per vocazione perchè ho qualche ricordo di vite precedenti.
Nonostante creda nella reincarnazione, sono contrario all’eutanasia perchè giustamente com’è stato detto in questo forum, uscita la legge esce anche l’abuso nella sua applicazione, come di fatto succede in Belgio.
Purtroppo la cultura della morte sta prendendo il sopravvento con effetti drammatici. Vorrei raccontare una mia esperienza a riguardo:
Mio padre era un disabile sulla sedia a rotelle. E’ morto in circostanze misteriose di notte, il primo giorno di ricovero in ospedale dove si era ricoverato per dei controlli di routine e riabilitazione.
Ho forti sospetti che sia stata fatta su di lui l’eutanasia forzata, contro la sua volontà.
Non ho ancora deciso se sporgere denuncia perchè se perdessi il processo senza prove, potrei finire nei guai per diffamazione, ma ho comunque segnalato questi miei sospetti alle forze dell’ordine.
Se esce la legge sull’eutanasia, gli angeli della morte (medici ed infermieri assassini a piede libero) saranno tutelati quando commettono i loro reati.
Dall’esterno chi vedeva mio padre poteva pensare (oh poveretto, quanto soffre, chissà che peso per la propria famiglia), il dramma è quando a pensarlo è un medico angelo della morte che si fa giudice della vita altrui ignorando totalmente il punto di vista ed il reale percorso del soggetto.
Mio padre con tutto che era disabile costretto sulla sedia a rotelle, (ultimamente non riusciva a muovere le mani), nonostante gli insulti e pregiudizi della popolazione degli “abili”, ha mantenuto e portato avanti una famiglia e vissuto una vita dignitosa e fino all’ultimo aveva voglia di vivere e non è mai stato abbandonato dalla sua famiglia che ne è totalmente riconoscente. Non avrebbe assolutamente voluto morire, ma gli sarebbe piaciuto di godersi la pensione meritata dopo anni di lavoro.
Concordo che purtroppo la cultura della morte di questi “eroi” radicali ha prodotto dei mostri dell’eugenetica hitleriana ed ha portato all’aumento tra i medici, degli angeli della morte.
Chiunque sia lontanamente considerato sofferente da questi eroi, viene ritenuto un peso, un fardello da cui liberarsi. Si sentono salvatori ma sono solamente dei vili e degli assassini. E sono complici anche tutti quelli che sostengono l’eutanasia.
Dicono che il delitto perfetto non esiste. Nulla di più sbagliato, il delitto perfetto può essere commesso all’interno della professione medica. Basta un certificato medico del decesso a scagionare qualsiasi medico, un altro medico non lo potrà nemmeno contestare.
Dj Fabo se voleva, poteva continuare a fare il dj tranquillamente.
Nessuno glielo vietava nemmeno il suo precario stato di salute, era cieco non sordo nè muto. Con la tecnologia ed il supporto giusto dei familiari (cosa che probabilmente non ha avuto), poteva avere una vita più che normale, splendida.
Mio padre era il vero eroe, non di certo quel tale dj Fabo.
Mio padre è l’esempio da seguire, non quello di quel tale dj Fabo. Mi dispiace per lui ma è così.
Ripeto: nonostante era disabile, mio padre non è mai stato un peso per la famiglia, al contrario l’ha mantenuta con un lavoro dignitoso con tutti i dolori che può avere un paraplegico è andato avanti, ha sofferto, ha lottato ed ha vissuto aiutando lui gli altri, anche quelli che non se lo meritavano.
Saluti a tutti
Maurizio Kikkooo Ferraro
@ Michele
occorrera` consigliare a Giuliano Guzzo che allunghi la coda dei commenti nelle impostazioni del suo blog, ma vedo che la notifica della risposta arriva comunque.
e` sempre una soddisfazione riuscire a discutere da posizioni diverse, perche` un arricchimento c’e` sempre, magari anche solo indiretto, se le posizioni non cambiano, ma un poco l’interlocutore che sa argomentare, come nel Suo caso, arricchisce.
partiamo dalconcetto della vita come prestito, che va restituito al creditore; mi perdoni, ma non e` una pignoleria, ma anzi un concetto essenziale: il creditore non e` un proprietario: i due concetti sono molto diversi.
qui probabilmente dissentiamo sulle caratteristiche del creditore: per Lei e` un Dio, fortunatamente buono e misericordioso; io invece mi sento vicino all’idea di Lucrezio, che era seguoca di nEpicuro e materialista e pensava che il creditore fosse la natura.
in ogni caso io penso – come Lei – che il creditore sia buono in questo senso: che del suo prestito non ci chiede nulla, non vuoe interesso, gli basta la restituzione quando che sia.
e naturalmente non dovrebbe avere niente in contrario se la restituzione, per libera scelta del debitore, dovesse essere anticipata rispetto ai suoi piani.
vede, per continuare col sorriso sulle labbra: ho appena fatto un prestito con la mia banca per ristrutturare una parte di casa mia e in questo caso devo pagare degli interessi; ma al momento del,a stipula mi sono assicurato di potere estinguere il prestito anticipatamente se le condizioni di pagamento dovessero diventare troppo pesanti per me.
stipulando il prestito non ho dato alla banca il diritto di decidere al mio posto quando chiuderlo, ma nemmeno di interferire in nessun modo nel mio progetto di ristrutturazione; insomma i soldi non sono iei, ma adesso che mi sono stati prestati e` come se lo fossero.
non e` d’accordo?
in poche parole il concetto di vita come prestito che riceviamo non ostacola per nulla la libera determinazione nostra di farne poi l’uso che crediamo, liberamente.
e vengo alla seconda obiezione Sua, piu` collegata alla prima di quel che sembra: se della mia vita decido io, perché la volontà della maggioranza deve imporre a me, alla mia vita qualcosa che non condivido?
non capisco come Lei possa pensare di farmi un’obiezione, dicendo questo: sono completamente d’accordo!
diciamo meglio: la maggioranza ha il diritto di imporre al singolo delle scelte che lui non condivide solamente quando e` lampante e assolutamente fuori discussione che la sua libera scelta provca danno ad altro oppure danno sociale.
io posso capire infatti la posizione di chi bilanciasse il bene della liberta` di scelta e della fine delle sofferenza col danno evidente di qualcun altro oppure con una ricaduta sociale negativa altrettanto chiara.
faccio l’esempio dell’eroinomane, che in evidenza danneggia principalmente se stesso, ma non unicamente: se danneggiasse soltanto se` la sua scelta dovrebbe ricadere nell’ambito della libera determinazione, ma poiche` non e` cosi`, e` giusto contrastare la diffusione delle tossicodipendenze.
chi e` contrario alla libera determinazione soggettiva della morte presenta argomenti particolarmente deboli al riguardo e deve invece appellarsi a pricnipi etici generali di dubbia applicazione.
per questo, fino a che non ci sia evidenza chiara degli effetti negativi di una simile scelta giuridica resto convintamente a favore della liberta` del soggetto di decidere della propria morte.
ovviamente, ma non occorre neppure precisarlo, chi ritiene immorale lasciarsi andare ad una morte prossima e inevitabile diminuendo le proprie sofferenze oppure porre termine semplicemente ad un’esistenza che risulta intollerabile sara` sempre libero di esecitare la virtu`, ascetica in questo caso, della coerenza, perche` nessuno prevede mai che possa essere qualcun altro a decidere per lui.
insomma, se le motivazioni per chiedere una determinata legge contro una morte con dignita` sono morali, ciascuno eserciti le sue scelte morali per se` e cerchi anche di sostenerle, ma non le imponga agli altri tramite lo stato.
lo stato etico era tipico del fascismo; lo stato decida laicamente quali leggi adottare guardando semplicmente al bene oggettivo della societa`.
qui la primavera avamza: crochi e primiule hanno rimepito i prati; ci sono colpi di coda e mezzi diluvi, ma brevi: ma la luce avanza ogni giorno.
non e` piu` l’inverno.
in risposta a:
Egregio bortocal/corpus05, più volte su questo blog abbiamo incrociato le penne. Non sono quasi mai stato d’accordo con lei ma le riconosco volentieri arguzia e cultura; stavolta però non ci siamo proprio.
Anzitutto lei parte dicendo che la vita non è di nostra proprietà, anzi è un prestito, e, aggiungo io, come tale va restituito al proprietario senza che la cosa prestata venga distrutta o usata da noi in maniera impropria, ma rispettandola. Fatto oggettivo, condivisibile da tutti. Chi pensa che la vita sia proprietà, cade in assurdità difficilmente dipanabili.
Bene, concordo in pieno. Però nel terzultimo capoverso scopro che le cose stanno tutte al contrario, ovvero chi decide della cosa prestata è solo colui che ha ottenuto il prestito e di questa cosa ne fa quello che vuole. Ma come?! La vita è una cosa prestata oppure è una nostra proprietà? Prima contraddizione.
Andiamo avanti. Mi dice che la legge impone il rispetto dei valori predominanti nella società anche a chi non li condivide. Ma se della mia vita decido io, perché la volontà della maggioranza deve imporre a me, alla mia vita qualcosa che non condivido? La volontà popolare oggi, benché propensa all’eutanasia, non è favorevole a situazione come quella della britannica Anne, descritta da Guzzo nell’articolo. Ed io cosa devo fare? Accettare la violenza della maggioranza sulla mia vita, solo perché loro la pensano in maniera diversa? Ma non era che “chi decide del proprio vivere e del proprio morire e` soltanto il soggetto consapevole”? Seconda contraddizione.
“chi e` contrario a questo principio, lo dica pure, come avviene qui, e sviluppi i suoi argomenti come sa; ma non pretenda di mantenere una legge che non corrisponde piu` ne` al sentire comune ne` alla reale situazione di fatto”.
Beh, grazie, almeno la possibilità di dissentire. A dire il vero non ci speravo dopo aver rilevato quanto nel capoverso qua sopra. Insomma, corpus05: la vita è mia proprietà oppure no, se non condivido mi devo adeguare anche se gli altri hanno argomenti assurdi (perché li hanno, lo pensa anche lei, la vita è un prestito, no?) per giustificare l’eutanasia.
Veramente, c’ho capito poco. La prendo come una boutade d’una sera d’inverno.
Saluti
@Enrico
grazie della risposta.
sul primo punto sollevato nella replica mi pare che entriamo in una discussione molto capziosa, dovremmo accontentarci di verificare che Fabo era perfettamente in grado di intendere e di volere.
secondo punto: la discussione sull’aborto riguarda situazioni completamente diverse. non vorrei che andassimo fuori tema: dico semplicemente che non considero neppure vero e proprio aborto la pillola del giorno dopo e che imporre ad una donna di allevare un figlio down se non se la sente e` un danno sia per lei sia per il bambino.
invece vengo al terzo punto: parto da una battuta cattivissima. abusi in Belgio? parliamo di quelli di un clero devastato dalla pedofilia?
non ho visto il filmato di Adinolfi e dato il soggetto sono portato a diffidarne a priori, e non lo ritengo neppure un preconcetto, ma un giudizio ben motivato.
comunque, nessuno ritiene di dovere attribuire al medico decisioni di questo tipo; si discute soltanto della libera scelta del malato.
ma di fatto (e lo dico per avere vissuto purtroppo certe situazioni con persone care) Lei non crede che nella fase finale e drammatica dell’esistenza sia spesso di fatto il medico a decidere, scegliendo se somministrare certe sostanze oppure no?
spero che non Le sia capitato di dover decidere Lei per Sua madre se somministrarle morfina e alleviare i dolori intollerabili degli ultimi minuti, abbreviandoli di qualcosa, oppure lasciarla morire dilaniata dalla sofferenza tra le urla.
certo che una coscienza cattolica in un caso del genere chiuderebbe il suo cuore alla pieta` e all.angoscia della decisione, tanto la vita e` di Dio, no?
Enrico ha detto:marzo 1, 2017 alle 14:12
corpus05,
il suo discorso ha senso, visto che Fabo ha accettato di posticipare il suicidio fino al periodo di discussione della legge. Ma vuol mettere la situazione psicologica di Fabo e quella di Cappato? Inoltre quest’ultimo gli avrà spiegato che la legge in discussione si occupava di altro rispetto al suo caso?
I radicali hanno chiesto che fosse permesso l’aborto in certi casi strappalacrime. Ora che viene abusato come metodo contraccettivo e come metodo di selezione (eliminazione dei Down) li ha mai sentiti dire che si è andati troppo oltre, che non volevano questo? Io no.
Con l’eutanasia sarà uguale. Ho visto ieri un filmato su youtube (segnalato da Mario Adinolfi) che parlava degli abusi che ci sono in Belgio. Un signore diceva: o mia madre aveva una grave malattia e non me l’hanno detto oppure…di cosa è morta? Se sei malato ed un medico giudica che la tua vita è indegna sei fritto.
La ragione è semplicemente economica, i malati gravi e i disabili costano, pertanto in una società come la nostra che già nega la vita ai feti con sospette malformazioni è assolutamente normale che si pensi a “incentivare” la dipartita di quanti siano ritenuti inutili alla società perchè malati nello spirito o nella carne. Il resto è solo filosofia.
@bortocal
“chi e` contrario alla libera determinazione soggettiva della morte presenta argomenti particolarmente deboli al riguardo e deve invece appellarsi a pricnipi etici generali di dubbia applicazione. Per questo, fino a che non ci sia evidenza chiara degli effetti negativi di una simile scelta giuridica resto convintamente a favore della liberta` del soggetto di decidere della propria morte.”
La libertà di un individuo di decidere della propria morte non comporta assolutamente il dovere dello Stato di dare la morte al suddetto individuo o di aiutarlo a suicidarsi. Il suicidio assistito è una cosa aberrante perché, nella sostanza, è un omicidio legalizzato, l’ “omicidio del consenziente” come lo ha giustamente definito Marco Travaglio.
Max, quello che scrivi è vero, perchè lo Stato ha come scopo principale la tutela della vita dei cittadini, prima ancora che della loro libertà. Infatti la vita viene prima della libertà: può esserci una vita senza la libertà, ma una libertà senza vita no. Allora ti chiedo: saresti d’accordo a trovare come confine fra libertà personale ed intervento dello stato il poter rifiutare ogni intervento esterno (anche vitale: alimentazione, idratazione, respirazione) su se stessi, anche in stato vegetativo? Perchè adesso in Italia questo non è possibile, viste le barricate dei nostri politici e bioeticisti sul testamento biologico. La stessa Eluana Englaro, il cui padre ha ottenuto dopo 17 anni di interrompere l’idratazione, tecnicamente è stata uccisa per omesso soccorso. Non aveva un testamento biologico ma solo parole dette (non scritte) che testimoniassero la sua intenzione di non accettare una vita in stato vegetativo. Un giudice allora ha dato il permesso per interrompere l’idratazione. E’ possibile che queste decisioni in Italia le debba prendere un giodice a seconda della sua interpretazione della legge?
@Massimo
“Allora ti chiedo: saresti d’accordo a trovare come confine fra libertà personale ed intervento dello stato il poter rifiutare ogni intervento esterno (anche vitale: alimentazione, idratazione, respirazione) su se stessi, anche in stato vegetativo?”
Anzitutto, scusa per il ritardo con cui ti rispondo.
Dunque, personalmente sono contrario anche all’eutanasia. Ritengo giusto poter rifiutare in qualunque momento una cura, anche se tale rifiuto potrebbe portare alla morte; non ritengo giusto, invece, poter rifiutare – in caso di stato vegetativo – l’intervento minimo che permette di restare in vita (appunto alimentazione, idratazione ecc.). Questo significa che sono contrario al testamento biologico.
faccio uno sforzo su me stesso per rispondere, non ne avrei voglia: c’e` troppa incoerenza.
secondo Lei l’individuo ha o non ha il diritto di sottrarsi ai dolori di una morte che puo` anche essere molto dolorosa?
e se l’ha, perche` mai lo stato non dovrebbe favorire i diritti naturali del cittadino? non nasce forse proprio per questo lo stato?
e questi diritti si perdono se si rimane impossibilitati fisicamente ad esercitarli?
e chi aiuta qualcuno ad esercitare un suo diritto sarebbe un assassino?
difficile immaginare una confusione logica peggiore.
ma quello che piu` mi colpisce e` che tutto questo venga giustificato in base al cristianesimo.
quando e` evidente che qui manca la pieta` umana come sentimento e viene sostituita da un dotrinarismo astratto e crudele.
mi si conferma il dubbio gia` provato altre volte: e cioe` che e` piu` portato a parlare di astratto amore cristiano proprio chi e` piu` anafettivo e sente meno direttamente nel cuore la solidarieta` con i suoi simili.
Corpus, il problema dell’introduzione del’eutanasia è duplice. A) Si cambierebbe il principio basilare dello Stato da “tutelare la vita dei cittadini” e “tutelare la libertà dei cittadini”. Nell’eutanasia infatti questi due principi confliggono e lo Stato verrebbe a scambiarli d’importanza. La vita viene prima della libertà: una vita esiste senza libertà (carcere, dittatura) ma una libertà non esiste senza vita (manca il soggetto). B) Se volessimo stabilire una soglia di sofferenza al di là della quale rendere l’eutanasia accessibile allora dovremmo fare una cosa impossibile: un “sofferenzometro”, cioè uno strumento capace di mettere fra loro in relazione, misurandole, le sofferenze dei cittadini per le più disparate motivazioni. Ma la sofferenza non si misura in chili o metri perchè non è una grandezza oggettiva: dipende da chi la prova. L’alternativa sarebbe non stabilire alcuna soglia, per non discriminare nessuno, ed ammettere all’eutanasia chiunque ne faccia richiesta per qualsivoglia motivazione. Se permetti io non voglio uno Stato così, che abdica alla tutela della vita in favore della libertà di uccidersi. E questo non per motivi religiosi ma perchè questa prassi condurrebbe allo sbriciolarsi della società, fatta di tante monadi libere di ottenere tutto ciò che vogliono. La strada da percorrere per dare la possibilità di interrompere una sofferenza personalmente intollerabile è quella, una volta sedati profondamente, di rinunciare a cure, alimentazione, idratazione e respirazione. Come fece Welby, a casa sua, senza soffrire e senza andare in Svizzera. Ed occorre estendere questa possibilità alle persone in stato vegetativo o che non possono più comunicare con gli altri, attraverso il testamento biologico. Tu cosa ne pensi?
Il punto è capire come possa essere considerato esercizio di un diritto ciò che nega la possibilità di esercitare un diritto, come ha spiegato Massimo qua sotto. A me sembra che questa considerazione sia molto ma molto difficile da confutare. Non sta negli oppositori dell’eutanasia la confusione logica.
Devo anche confessare che mi fa sempre riflettere quando i laici utilizzano terminologie mutuate da un pensiero (quello di matrice greco-cristiana), che essi hanno sempre visto come, nella migliore delle ipotesi, insoddisfacente.
Nel precedente commento parlava di bene oggettivo sociale, adesso di diritti naturali.
In quest’ultimo caso mi preme un’osservazione.
Il termine “diritti naturali” viene utilizzato con riferimento ad una teoria contrattualistica (“non nasce forse proprio per questo lo stato?”). Va ricordato però che propria in tale prospettiva (che, nonostante i termini possano trarre in inganno, è pienamente moderna) i “diritti naturali” sono quelli di cui l’uomo gode nell’ipotetico stato di natura, che non esiste, non è mai esistito e mai esisterà, stato di perenne insicurezza perché tutti hanno diritto a tutto. Tramite il contratto sociale, lo stato (che non è parte contraente, quindi non è legato ad alcun obbligo, ma è appunto sovrano, sciolto da ogni principio) nasce alienando i “diritti naturali” agli uomini e restituendo loro la veste giuridica del “cittadino”, i diritti civili (usati in un’accezione più ampia di quella adoperata al giorno d’oggi).
Far valere i “diritti naturali” come compito dello Stato quindi significa pretendere che l’ipotesi (ipotesi non realtà!) di partenza diventi l’obiettivo operativo dello stato, nato invece per superarla. Una contorsione logica incredibile.
Commento in risposta a quello di bortocal15, marzo 3, 2017 alle 19:10
Chi rivendica l’eutanasia lo fa sulla base di una concezione proprietaria o padronale della vita umana, che si parli di slogan politici o dei libri e degli articoli dei bioeticisti che propendono per essa.
Diciamo ancora meglio, la concezione della vita come prestito è pur sempre un’approssimazione al concetto di vita. La vita non è una cosa che abbiamo come proprietà o come prestito, è quello che siamo. Per cui devo correggere il mio “endorsement” precedente, concordo non in pieno ma cum grano salis.
Tuttavia non è vero che del prestito possiamo fare l’uso che crediamo: non possiamo vendere la cosa prestata a terzi e non la possiamo distruggere per necessità o per ghiribizzo. La cosa che mi è stata prestata la devo tenere diligentemente per il tempo in cui viene data, devo farne un uso appropriato tale da non danneggiarla, e restituirla al tempo in cui mi verrà richiesta così come l’ho ricevuta. Non posso farne l’uso che credo sulla base della mia libera determinazione.
Certo la cosa la posso restituire anzitempo, ma lei capirà che qua si nota la differenza con la vita vera e propria; una volta che la cosa l’ho restituita, io continuo ad avere un’esistenza indipendente da essa, come ce l’avevo prima che la prendessi in prestito; una volta che ho “restituito” la vita, la mia esistenza cessa.
Venendo al secondo punto, lei scrive che la maggioranza ha diritto di imporre delle scelte quando le scelte dei singoli provocano danno a terzi. Chi definisce il danno a terzi? Ora, io posso ritenere dannoso nei miei confronti un suo comportamento che lei non ritiene affatto tale, o viceversa. In una prospettiva relativistica quale è la sua, data l’impossibilità di trovare un criterio unico per tutti, oggettivo, vince il più forte, ovvero l’opinione maggioritaria nella società. Ora come ora, si ritiene che la libertà dell’eroinomane sia di rango inferiore al potenziale danno che lui presenta per gli altri; non si pensa però lo stesso per l’alcolista o il fumatore, i quali sono anch’essi un potenziale danno sociale. Allora imporre agli altri qualcosa che non condividono sarà sempre un atto assolutista e discriminatorio verso chi questa imposizione subisce. In altre parole, se si afferma che la libertà individuale con il suo corollario di differenti scelte morali è il valore principe che va tutelato in uno stato laico (io direi che questa è proprio il punto caratterizzante lo stato laico rispetto ad altri) allora all’interno di questa libertà dobbiamo farci rientrare anche la concezione del danno a terzi, pena la contraddizione di affermare la libertà come valore supremo e subito dopo subordinarla alla concezione di non nocumento che è propria solo di una parte.
Proprio per questo non ha senso parlare di tutela di un bene oggettivo sociale (qua lei si esprime proprio come un cattolico). Che cos’è questo bene? Il bene di tutti, comune a tutti? Allora significa che esiste una natura o essenza umana che tutti devono rispettare. Concezione insostenibile per un laico. Oppure è il bene della parte maggioritaria della società? E allora significa discriminare le scelte di quella minoritaria. No, laicamente non si può parlare di tutela di un bene oggettivo della società ma solo di tutela delle varie identità o scelte di vita che in essa esistono.
In verità io credo che contro l’eutanasia esista un argomento dialetticamente molto difficile da confutare: se l’eutanasia è atto di libertà, ma la libertà per esercitarsi ha bisogno della vita, allora la negazione della vita è negazione della libertà stessa; ovvero la conclusione nega la premessa. Un po’ come un tale che, per saltare più in alto, pensa di poterlo fare tagliandosi le gambe.
@ Michele commento 2
non pretendo e neppure penso di avere un gran peso tra i sostenitori della morte dignitosa, ma io non lo faccio in nome di una concezione proprietaria della vita, e non sto a ripetere argomenti che ho gia` esposto in questa ricca discussione.
“La vita è quello che siamo” e` una definizione che mi piace molto.
“Non possiamo distruggere la vita per ghiribizzo”, lo condivido pure.
ma qui non stiamo parlando di questo: stiamo parlando di vite in prestito che il proprietario, chiunque sia, si e` gia` ampiamente ripreso indietro, lasciandone ancora sussistere degli scampoli diventati insopportabili.
(cosa, tra prentesi, che induce a pensare piuttosto che sia una natura inconsapevole o una divinita` imprescrutabile, piuttosto che un Dio nmisericordioso)
diciamo che quella vita il proprietario la sta gia` richiedendo imperiosamente indietro.
chi mai si ucciderebbe nel pieno di una vita piena (perdoni il gioco di parole) di soddisfazioni e di felicita`?
ci sono adolescenti che effettivamente mettono a rischio la propria vita per la superficialita` di un’eta` nella quale la morte pare per definizione impossibile e piace sfidarla; ma stiamo forse parlando di loro?
quella vita che ci vede invecchiare e riempirci di magagne io non potro` mai restituirla come l’ho ricevuta, piena di promesse e di voglia di vivere…
la vita a qualcuno si logora con la vecchiaia, ad altri si logora prima; ma la vita non e` un oggetto che rimanga uguale, e` un processo regolato dall’entropia, non si puo` restituire intatta mai.
realisticamente parlando chi stabilisce se la scelta del singolo di concluderla senza sofferenza, quando e` gia` ampiamente consumata, danneggi altri o la societa` in modo inaccettabile e` sempre e soltanto la societa`.
siamo chiari: non esistono mai scelte che non siano anche soltanto in parte dannose per altri; e` tutto un problema di misure soggettive.
il suicidio di una persona che mi e` cara non mi fa forse del male? ma se questo arriva alla fine di una malattia che la stravolge, che cosa ci fa piu` male? il suicidio o la malattia?
Le auguro di non avere mai vissuto l’esperienza di un padre che passa i suoi ultimi mesi invocando la morte per dolori insopportabili.
se mio padre avesse potuto scegliere di morire, forse non lo avrebbe fatto, tanto era l’amore che aveva per noi, che avrebbe cercato di risparmiarci questa sofferenza; eppure se lo avesse fatto io avrei maledetto la sua malattia, non la sua scelta.
non nego di avere avuto una formazione cattolica in tempi in cui questo significava ancora qualcosa e non me ne dispiace, anche se me ne sono distaccato presto.
oggi vedo bene, mi pare, i limiti dottrinari di questa cultura.
consideri ad esempio l’argomento alquanto arzigogolato con cui ha chiuso la Sua argomentazione: “se l’eutanasia è atto di libertà, ma la libertà per esercitarsi ha bisogno della vita, allora la negazione della vita è negazione della libertà stessa”.
ci sentiamo tutti meglio dopo avere detto oppure ascoltato una frase cosi` sonante?
eppure Lei aveva cominciato bene: “La vita e` quello che siamo”.
e allora, se la vita finisce e noi consentiamo a che finisca, non finiscono nello stesso momento sia la vita sia la liberta`?
in altre parole, la nostra liberta` non e` sempre condizionata e mai assoluta?
anche la scelta di Fabo Lei crede che fosse assolutamente libera? che, se avesse potuto recuperare una vita piena avrebbe scelto egualmente di morire?
ma di che cosa stiamo parlando?, suvvia!
commento in risposta a questo:
Commento in risposta a quello di bortocal15, marzo 3, 2017 alle 19:10
Chi rivendica l’eutanasia lo fa sulla base di una concezione proprietaria o padronale della vita umana, che si parli di slogan politici o dei libri e degli articoli dei bioeticisti che propendono per essa.
Diciamo ancora meglio, la concezione della vita come prestito è pur sempre un’approssimazione al concetto di vita. La vita non è una cosa che abbiamo come proprietà o come prestito, è quello che siamo. Per cui devo correggere il mio “endorsement” precedente, concordo non in pieno ma cum grano salis.
Tuttavia non è vero che del prestito possiamo fare l’uso che crediamo: non possiamo vendere la cosa prestata a terzi e non la possiamo distruggere per necessità o per ghiribizzo. La cosa che mi è stata prestata la devo tenere diligentemente per il tempo in cui viene data, devo farne un uso appropriato tale da non danneggiarla, e restituirla al tempo in cui mi verrà richiesta così come l’ho ricevuta. Non posso farne l’uso che credo sulla base della mia libera determinazione.
Certo la cosa la posso restituire anzitempo, ma lei capirà che qua si nota la differenza con la vita vera e propria; una volta che la cosa l’ho restituita, io continuo ad avere un’esistenza indipendente da essa, come ce l’avevo prima che la prendessi in prestito; una volta che ho “restituito” la vita, la mia esistenza cessa.
Venendo al secondo punto, lei scrive che la maggioranza ha diritto di imporre delle scelte quando le scelte dei singoli provocano danno a terzi. Chi definisce il danno a terzi? Ora, io posso ritenere dannoso nei miei confronti un suo comportamento che lei non ritiene affatto tale, o viceversa. In una prospettiva relativistica quale è la sua, data l’impossibilità di trovare un criterio unico per tutti, oggettivo, vince il più forte, ovvero l’opinione maggioritaria nella società. Ora come ora, si ritiene che la libertà dell’eroinomane sia di rango inferiore al potenziale danno che lui presenta per gli altri; non si pensa però lo stesso per l’alcolista o il fumatore, i quali sono anch’essi un potenziale danno sociale. Allora imporre agli altri qualcosa che non condividono sarà sempre un atto assolutista e discriminatorio verso chi questa imposizione subisce. In altre parole, se si afferma che la libertà individuale con il suo corollario di differenti scelte morali è il valore principe che va tutelato in uno stato laico (io direi che questa è proprio il punto caratterizzante lo stato laico rispetto ad altri) allora all’interno di questa libertà dobbiamo farci rientrare anche la concezione del danno a terzi, pena la contraddizione di affermare la libertà come valore supremo e subito dopo subordinarla alla concezione di non nocumento che è propria solo di una parte.
Proprio per questo non ha senso parlare di tutela di un bene oggettivo sociale (qua lei si esprime proprio come un cattolico). Che cos’è questo bene? Il bene di tutti, comune a tutti? Allora significa che esiste una natura o essenza umana che tutti devono rispettare. Concezione insostenibile per un laico. Oppure è il bene della parte maggioritaria della società? E allora significa discriminare le scelte di quella minoritaria. No, laicamente non si può parlare di tutela di un bene oggettivo della società ma solo di tutela delle varie identità o scelte di vita che in essa esistono.
In verità io credo che contro l’eutanasia esista un argomento dialetticamente molto difficile da confutare: se l’eutanasia è atto di libertà, ma la libertà per esercitarsi ha bisogno della vita, allora la negazione della vita è negazione della libertà stessa; ovvero la conclusione nega la premessa. Un po’ come un tale che, per saltare più in alto, pensa di poterlo fare tagliandosi le gambe.
«…Ma qui non stiamo parlando di questo: stiamo parlando di vite in prestito che il proprietario, chiunque sia, si è già ampiamente ripreso indietro, lasciandone ancora sussistere degli scampoli diventati insopportabili. Cosa, tra parentesi, che induce a pensare piuttosto che sia una natura inconsapevole o una divinità imperscrutabile, piuttosto che un Dio misericordioso. Diciamo che quella vita il proprietario la sta già richiedendo imperiosamente indietro. Chi mai si ucciderebbe nel pieno di una vita piena (perdoni il gioco di parole) di soddisfazioni e di felicità?».
Complimenti a Bortotal15!
Penso possano bastare questi semplici concetti per chiudere la bocca a chiunque blatera senza nemmeno sapere di che cosa sta parlando, ma pretende di giudicare.
“anche la scelta di Fabo Lei crede che fosse assolutamente libera?”
Eeeeeh, questa domanda dovrebbe porla ai radicali o agli altri che hanno sponsorizzato, difeso, esaltato questa scelta. Per loro lo era, senza dubbio alcuno da parte loro. Per me no e mi fa piacere che per lei non lo sia stata.
Io sono d’accordo con lei che la nostra libertà è sempre condizionata. Una qualsiasi scelta è sempre condizionata dalle alternative che abbiamo a disposizione, non da quelle che possiamo solo sognare.
Però, vede, alla fine siamo sempre lì, in bilico tra soggettività e oggettività: la vita non è nostra proprietà, però in certi casi, lei dice, il proprietario ne richiede la restituzione. Ma se questi casi sono definiti dalla soglia soggettiva della sofferenza, allora non è che, stringi stringi, siamo noi che stiamo proiettando la nostra volontà di morire su un ipotetico proprietario che viene a riscuotere il conto?
Mantenere una dialettica tra soggettivo e oggettivo che includa ambo i poli è difficile, me ne rendo conto, massimamente nel caso dell’eutanasia dove si aggrovigliano questioni religiose, filosofiche, etiche, giuridiche, scientifiche, passioni e sentimenti personali, familiari e collettive.
Di certe questioni sarebbe preferibile parlarne a mente fredda, non nel turbinio causato dall’ondata mediatica, dove gli argomenti contano poco e molto di più le passioni di parte.
Arrivederci alla prossima discussione!
non vorrei sconvolgerLa 😉 , ma, a parte la battuta iniziale e qualche accentuazione qua e la`, sono sostanzialmente d’accordo con Lei.
grazie, e` stata una bella discussione. e un ringraziamento anche a Giuliano Guzzo per l’ospitalita`.
@corpus05/bortocal
“e chi aiuta qualcuno ad esercitare un suo diritto sarebbe un assassino?”
La domanda esatta è: chi aiuta qualcuno a uccidersi sarebbe un assassino?
Certo che lo è. L’articolo 579 del nostro Codice Penale parla chiaro. Inoltre, il Giuramento di Ippocrate (sia nella sua versione originaria che in quella moderna) non prevede che un medico possa dare la morte al suo paziente.
Checche’ lei ne dica, non esiste il diritto al suicidio (assistito e non) e all’eutanasia.
vediamo meglio.
parto dal giuramento di Ippocrate, versione originale:
“Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.
pero` c’e` anche scritto: “Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività”.
possiamo pensare che il mondo si sia un po` trasformato negli ultimi 2.500 anni?
mi pare che gia` nella prassi comune questi tre principi non siano piu` applicati, come neppure la lapidazione degli adulteri previsti dalla legge ebraica di quello stesso periodo.
la versione moderna del giuramento mi pare un poco piu` aperta:
“Giuro (…)
di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente (…)”.
si tratta di conciliare nell’applicazione concreta i due giuramenti.
quanto al Codice Penale, l’articolo e` chiaro:
“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui (1), è punito con la reclusione da sei a quindici anni”.
e applicabile al caso di Fabo? a me pare di no, considerando che Fabo e` stato comunque in grado di premere da solo con i denti il famoso pulsante.
in ogni caso sara` la magistratura a decidere.
credo che sarebbe opportuna comunque una modifica del testo per adeguarlo alla sensibilita` attuale.
@bortocal15
” si tratta di conciliare nell’applicazione concreta i due giuramenti.”
A questo punto, meglio abolire del tutto il giuramento di Ippocrate e fare un giuramento nuovo: il Giuramento di IppoCappato.
“è applicabile al caso di Fabo? a me pare di no, considerando che Fabo e` stato comunque in grado di premere da solo con i denti il famoso pulsante”
Non vedo cosa cambi nella sostanza. Chi gli ha messo a disposizione il pulsante, chi ha preparato il farmaco letale che il suddetto pulsante ha fatto entrare nel suo organismo? E poniamo il caso che Fabo avesse avuto anche i muscoli della mascella paralizzati: non potendo da solo premere il pulsante, sarebbero stati di sicuro i medici della clinica Exit a premerlo.
Ad ogni modo, lei ha in parte ragione: l’articolo del Codice Penale che meglio si addice al caso di Fabo non è il 579, ma il 580.
“credo che sarebbe opportuna comunque una modifica del testo per adeguarlo alla sensibilita` attuale.”
All’insensibilita’ attuale, semmai.
Trasformare il suicidio in un diritto (e, di conseguenza, in un dovere dello Stato nei confronti del cittadino che vuole suicidarsi) è un’aberrazione travestita da conquista civile. Il fatto che un individuo sia impossibilitato fisicamente a uccidersi (vedi appunto Fabo) non cambia la questione. La libertà di suicidarsi non si traduce e non può tradursi in diritto al suicidio. Dice bene Gustavo Zagrebelsky:
“Se tu ti uccidi da solo questo è considerato un fatto, un mero fatto – che resta entro la tua personale sfera giuridica. Ma se entra in gioco qualcun altro, diventa un fatto sociale. Anche solo se sono due: chi chiede di morire e chi l’aiuta. E ancor più se c’è un’organizzazione, pubblica o privata che sia, come in Svizzera o in Olanda. La distinzione ha una ragione morale. Una cosa è il suicidio come fatto individuale; un’altra, il suicidio socialmente organizzato. La società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile.”
sono tutti formalismi grotteschi, diciamo la verita` e mi spiace dover essere brusco..
l’individuo ha il diritto di porre termine alla sua esistenza, se questa sua scelta non danneggia altri.,
e lo stato e` al servizio dei diritti dell’individuo e vive per aiutarci a realizzarli nella vita sociale.
ogni altra concezione riporta in vita lo stato etico di fascista memoria, che subordina l’individuo a questa entita` astratta per negargli dei diritti concreti.
in questo caso il diritto supremo di non soffire piu` quando non ce la fa piu`.
(provare per credere, che cosa vuol dire davvero.
se Lei parlasse di queste cose senza averle vissute, la Sua disumanita` mi farebbe orrore, e non esprimerei una semplice disapprovazione, come sto facendo ora).
in ultima analisi il confine tra chi difende la morte dignitosa e auto-determinata e chi la nega in base a presunti valori morali e` semplicemente il confine tra democrazia e il fascismo.
dimenticavo:
nessun dubbio sull’art. 580; anche io Le do ragione dove ce l’ha:
Codice Penale → LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare → Titolo XII – Dei delitti contro la persona (artt. 575-623 bis) → Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio.
mi sono trovato, una volta, ai piedi di un edificio dalla cui cima molto alta un povero disgraziato voleva buttarsi giu`.
sotto ci stava una rappresentanza di coloro che oggi si sfogano piuttosto su Facebook e che ci fanno vergognare di essere co-umani.
gridavano:Buttati stronzo!
a me piacerebbe vedere applicata la legge piuttosto a loro che a chi sfida 12 anni di carcere per un atto di pieta`.
ha mai sentito parlare di uomini o donne che sopprimono il coniuge con cui hanno condiviso una vita in preda alla disperazione per una malattia dolorsa e inguaribile.
ma certo che no, Lei parla di morale astratta e disumana, non di vita vissuta.
e qui, non a caso, stiamo parlando del codice Rocco, di epoda fascista, e sopravvissuto fino ai giorni nostri.
@bortocal
Poiché la discussione non mi appassiona più, la informo che questo è il mio ultimo intervento. Lei, se vorrà, potrà replicare alle mie affermazioni, ma io non contro-replicherò.
“sono tutti formalismi grotteschi, diciamo la verita` e mi spiace dover essere brusco…”
Faccia pure il brusco, sopravviverò.
“l’individuo ha il diritto di porre termine alla sua esistenza, se questa sua scelta non danneggia altri.
Posto che – come ho già detto – ognuno è libero di porre fine alla propria vita, il suicidio è una scelta che, quasi sempre, danneggia degli altri. Questi “altri” sono chi vuole bene al suicida: familiari in primis e amici. Nella maggior parte dei casi, il suicidio ferisce in modo terribile la famiglia di colui che si è tolto la vita, e talvolta può anche distruggerla. Conosco persone che, dopo il suicidio di un loro caro, non si sono mai più riprese: è come se fossero morte dentro.
Se già il “semplice” suicidio spesso danneggia profondamente altre persone (quelle di cui sopra, appunto), il suicidio legalizzato è ancora più dannoso, visto che coinvolge tutta la società. In un recente articolo del sito uccronline.it (http://www.uccronline.it/2017/03/01/eutanasia-dieci-grandi-ragioni-contro-il-suicidio-di-stato/), vengono elencate dieci ragioni contro il suicidio di Stato. Uccr è un sito cattolico, ergo: “integralista e oscurantista” :-), ma le ragioni in questione sono, per così dire, molto “laiche”.
Ne riporto parzialmente una, la n. 3, che a mio avviso è tra le più significative:
“[…] Uno degli argomenti più usati a sostegno dell’eutanasia [e del suicidio assistito, nda] è che ciascuno sarebbe giudice della propria dignità, dando una nozione squisitamente soggettiva e relativa di essa, misurabile secondo metri diversi: concedere la morte sarebbe così un favore a colui che ritiene la sua vita priva di dignità. Al contrario, invece, la dignità del vivere ha una nozione oggettiva, sulla quale si basano le nostre tradizioni filosofiche e giuridiche. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ad esempio riconosce la «dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana» e considera come oggettivo che «i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana». La dignità ontologica è a prescindere da quanto un singolo uomo percepisca, in un tal momento, degna o meno la sua vita: la sola appartenenza al genere umano, si evince dalla Dichiarazione universale appena citata, rende degna la sua vita. Se lo Stato ed il medico danno seguito alla richiesta di morte assistita, invece, è perché arbitrariamente ritengono e concordano sul fatto che la vita del tale paziente non valga più la pena di essere vissuta: la decisione di praticare l’eutanasia fa sempre seguito ad un arbitrario giudizio di valore sulla qualità della vita e attribuire questo potere al medico e allo Stato è riconoscere, nella legge, che alcune vite sono effettivamente indegne e senza valore.”
“e lo stato e` al servizio dei diritti dell’individuo e vive per aiutarci a realizzarli nella vita sociale. Ogni altra concezione riporta in vita lo stato etico di fascista memoria, che subordina l’individuo a questa entita` astratta per negargli dei diritti concreti. In questo caso il diritto supremo di non soffire piu` quando non ce la fa piu`
Se la negazione e l’assenza del diritto al suicidio assistito e all’eutanasia fossero tipici dello “stato etico di fascista memoria”, vorrebbe dire che i Paesi democratici dove tale diritto non esiste sono in realtà dei Paesi fascisti, delle false democrazie. Ma è davvero così? L’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Svezia, la Francia ecc. sono false democrazie, sono Paesi fascisti?
Lei parla di “diritto supremo di non soffire piu` quando non ce la fa piu”, ma le sfugge un fatto fondamentale: il diritto di non soffrire non si traduce in diritto a essere soprresso o ad essere aiutato a porre fine alla propria vita. Per riprendere le sagge parole di Zagrebelsky, “la società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile.”
Uno Stato veramente civile, invece di accollarsi il presunto dovere di sopprimere il malato o il disabile, deve invece fare di tutto per alleviare le sue sofferenze. Le alternative efficaci al suicidio assistito e all’eutanasia ci sono: sostegno psicologico, cura affettiva, cure palliative e, nei casi terminali, sedazione profonda o coma farmacologico.
“in ultima analisi il confine tra chi difende la morte dignitosa e auto-determinata e chi la nega in base a presunti valori morali e` semplicemente il confine tra democrazia e il fascismo.”
Fascismo, fascismo ovunque. Lei è davvero ossessionato dal fascismo (e dall’integralismo cattolico). La lascio pertanto alle sue ossessioni, e non si preoccupi: presto o tardi anche da noi verrà legalizzata “la morte dignitosa e autodeterminata”.
anche io sono esausto del Suo modo anafettivo di affrontare la questione: ma i sentimenti non si possono insegnare.
anche se Lei non ha evidentemente vissuto le situazioni di cui parla, potrebbe pero` fare uno sforzo di immaginarle.
forse Lei non sa che ci sono dolori cosi` atroci che precedono la morte, e a volte non per breve tempo, che non esistono cure palliative in grado di impedirli.
esistono solo dosi crescenti di oppiacei per eliminarli per periodi non troppo lunghi, e pero` alla fine procurano la morte per l’assuefazione dell’organismo che costringe ad aumentare le dosi per mantenere l’effetto.
oppure, se non si vuole far morire il tormentato, bisogna riconsegnarlo ai suoi tormenti.
medici cattolici, in cliniche cattoliche, in passato, prima della scellerata campagna integralista di papa Woojtyla, pietosamente sedavano i pazienti piu` che si poteva: si faceva, ma non si diceva, come nella migliore tradizione cattolica (e qui lo dico senza ironia).
non glielo racconto per sentito dire.
ora pieta` l’e` morta e si dovrebbe mantenere in vita, con “sedazione profonda o coma farmacologico”.
cioe` con una soppressione della coscienza che si auspica possa essere completa.
ma Lei lo sa che questa sedazione profonda e davvero definitiva esiste gia`, IN NATURA, e si chiama morte?
per quale mostruoso obbrobio morale dovremmo avere il dovere di mantenere in vita un corpo senza coscienza?
perche` considera morale sostituire a una morte naturale un coma prodotto artificialmene?
tranquillo: sono domande soltanto retoriche, non mi aspetto risposta.
non condovido l’articolo. Lo trov tendenzioso. Non aggiunge altro alla vicenda se non speculazione. Ho ad esempio cercato su google ‘dj fabo’ e solo pochi risultati riportano l’errata dicitura ‘eutanasia’. su questo le do ragione c’è una diffeenza abissale. Per il resto, non penso proprio che la Svizzera fissi un suicidio assistito sulla base del lavoro del parlamento italiano. Mi sembra che qui si voglia instillare il dubbio del complotto….o chissa che cosa. Quell’uomo ha scelto di morire dignitosamente piuttosto che non vivere. Ha premuto lui il pulsante. E anche il collegamento tra il numero di suicidi e la legalita di farlo…non trovo che abbia senso. Comunque sia…anche la citazione di Kant…togliere il pensiero di un filosofo come kant per citare un pezzo…adoro kant. Ma kant credeva nell’esistenza di una Morale in quanto tale…dove il giusto è giusto perché giusto. Ora,avrebbe dovuto citare anche filosofi diversi. Sicuramente ne avrebbe trovati alcuni d’accordo con il suicidio assistito.😉Poi apprezzo lo sforzo nel cercare di offrire uno spunto di riflessione, ma partire dicendo che praticamente lei ci spiega la verità…lo trovo pretestuoso. Lei dice: per ceecare di mettere ordine ritengo. Insomma,tutti mentono e lei ha la la verità. beato lei