«Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto fa». Le parole con cui Manuel Foffo, ventinovenne romano, ha motivato l’omicidio del ventitreenne Luca Varani – avvenuto a Roma qualche notte nel corso di un festino a base di droga e alcol che durava almeno da un giorno – hanno il sapore amarissimo della verità; non perché la verità, di per sé, sia cosa amara, ma perché lo è infinitamente il vuoto che contrassegna questa vicenda. Si tratta infatti di una storia davanti alla quale la sociologia da discount – quella che con la povertà, il degrado e le difficoltà adolescenziali, in pratica, giustifica di tutto – non può nulla e che esige da parte di chiunque voglia capirci qualcosa un’ammissione più grande: quella della progressiva implosione, in questa società, del fattore educativo. Sì, perché è tremendamente difficile cucire addosso a Moffo la tutina del ragazzetto squattrinato di periferia che, poverino, non sapeva quello che faceva.
Nossignore: questa è una storia parecchio diversa, vale a dire quella di uno studente universitario di giurisprudenza, ancorché fuori corso, figlio del proprietario di una delle più importanti agenzie di pratiche auto della Capitale. L’orrore, stavolta, ha dunque una spiegazione più complessa e più generale insieme, che è quella – come si diceva poc’anzi – dell’assenza del fattore educativo. Un’assenza della quale, beninteso, siamo complici tutti perché, per uno che uccide «solo per vedere che effetto fa», a centinaia molestano «solo per vedere che effetto fa» e migliaia mancano di rispetto al prossimo «solo per vedere che effetto fa» ed è difficile che nessuno sappia di questi zombie che non sanno che fare della vita altrui per il semplice fatto che hanno lo stesso problema pure con la propria. L’assenza del fattore educativo come detonatore del nichilismo allo stato puro, dunque.
Perché il quadro – pur nella sua insuperabile drammaticità – divenga più chiaro è però necessaria una considerazione ulteriore atta a rammentare in che cosa consista, poi, questa educazione assente. Una educazione che non ha nulla a che vedere non solo con la componente economica ma neppure con quella culturale – soggetti istruitissimi che si rendono autori di violenze atroci non sono certo una novità – e che rinvia a qualcosa di più profondo e di più elementare al tempo stesso: la distinzione fra Bene e Male. Lo so: qualcuno, sentendo odore di moralismo, adesso storcerà il naso ma la verità è che laddove vi sono sballo e autodistruzione la distinzione fra Bene e Male – o almeno la sua consapevolezza – manca. E se manca è perché chi deve educare spiegando perché cercare il Bene e perché evitare il Male, da troppo tempo, ha cambiato mestiere in nome – occorre dirlo chiaramente – di un Dogma da molti ritenuto intoccabile: quello della Libertà.
Vuoi divertirti fino all’eccesso? Vuoi strafarti? Vuoi superare il limite «solo per vedere che effetto fa»? La vita è tua, usala come ti pare. Questo è il punto. E fino a che non oseremo prendere a pugni quest’umiliante concezione di Libertà – umiliante per la Libertà stessa, ridotta a mera licenza – ripristinando le categorie del Bene e Male, davanti ad uno che uccide «solo per vedere che effetto fa» non avremo neppure più il diritto di indignarci per un vuoto del quale siamo a tutti gli effetti corresponsabili. Come fai, infatti, ad insegnare il rispetto in nome del Bene altrui se accetti di vivere in una società dove esistano solo il “tuo” o il “suo” bene? In nome di cosa puoi sottovalutare ciò che tiene unita – e viva – una comunità e poi lamentarti se questa è popolata di morti viventi? Come insomma fondare un progetto educativo solido sulle sabbie mobili? E’ con queste domande che tocca fare i conti. E in fretta. Altrimenti reciteremo solo la parte di quelli che fingono di non capire i guai di cui sono corresponsabili «solo per vedere che effetto fa».
Bell’articolo, che merita di essere letto e incorniciato per il significato che esprime.
Signori miei, di cosa vogliamo meravigliarci, questa é la gioventù odierna, futuri adulti a cui un giorno dovrebbero essere affidati le redini del potere politico della Nazione, in tutti gli ambiti (cosa che personalmente mi terrorizza). Se quella del film di James Dean dell’America di fine anni cinquanta era una “gioventù bruciata”, beh quella italiana – e in più in generale occidentale – odierna, é decisamente una gioventù perduta (o fottuta, se mi si passa il termine).
Che poi attenzione qui stiamo parlando non di ragazzini, ma di giovani adulti di quasi trent’anni, ed il fatto che si rendano alla loro età protagonisti di questo genere di fatti, di ragazzate che finiscono in tragedia, é gravissimo. Fino a 40 anni fa, un trentenne nella maggior parte dei casi era sposato e padre di bambini, oggi invece nella maggior parte dei casi il trentenne é un bambino con un corpo da adulto. Ci saranno sicuramente i trentenni adulti in tutti sensi, ma temo sinceramente che si contano sulle dita delle mani.
Il fatto che l’individuo in questione fosse studente universitario, secondo me é irrilevante. Ormai l’universitario non é una categoria di giovane che si distingue (in meglio) dagli altri coetanei, perché a causa del Sessantotto – uno dei più grandi mali del XX secolo al pari del nazismo e del comunismo – che ha messo in testa alla gente la storia del “diritto allo studio”, oggi la maggior parte di chi frequenta gli atenei non sono più giovani con la vocazione per lo studio e la conoscenza, ma giovani ignoranti che frequentano l’università solo per cucirsi addosso la prestigiosa etichetta di “universitario” e di fregiarsi del titolo di “dottore” una volta conseguita la laurea – spesso in tempi biblici dato che nel frattempo fanno tutto meno che studiare seriamente – perché tutto ciò renderebbe più “chic” agli occhi degli altri. Che poi questo é un problema che parte già dai licei, dove non vi é alcuna selettività dei frequentanti e vi può accedere chiunque, pure ragazzini con voto basso alla licenza media.
Il nichilismo di cui parla l’articolo, come pure l’immaturità e l’irresponsabilità dilaganti tra i giovani, sono figli proprio del Sessantotto, di cui furono portatori le generazioni dei nati tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, cioè quelle dei genitori dei nati negli anni settanta e ottanta – i giovani d’oggi – che sono perciò responsabili di aver influenzato negativamente le generazioni a loro successive, di aver affossato dunque quei principi e quei valori tradizionali che rendevano la nostra società forte e sana, trasformandola in quella che vediamo oggi, fortemente debole, malata e decadente, carente sul piano etico, morale e spirituale, profondamente anarchica.
Sono fatti che lasciano sgomenti!!!!!
Esatto. La società odierna non ha diritto di lamentarsi di queste cose dopo aver proclamato la libertà come potere di fare ciò che si vuole ed averla posta in cima a tutto, limitandosi, ben vedendo gli effetti che ne sarebbero derivati, ad affermare un generico rispetto della libertà. Non può indignarsi davanti a questi che sono solo tra i più coerenti interpreti della società contemporanea, e che (giustamente verrebbe da dire) se ne infischiano dei limiti posti dalla società stessa al godimento che essa stessa tuttavia persegue come fine supremo.