Vengo a sapere che ieri, a Ferrara, in un intervento al TAG – Festival di Cultura LGBT, la filosofa Michela Marzano, si sarebbe lanciata in discutili considerazioni sulla maternità, a suo dire nient’altro che un ruolo e perciò, in quanto tale, interpretabile egualmente – e senza differenza alcuna – da un uomo o da una donna. Queste le sue parole: «Che cos’è la maternità? La maternità è un ruolo e può essere esercitato da un uomo o da una donna […] Questo ruolo può essere esercitato da una donna, ma anche no. Può essere esercitato da un uomo, ma anche no […] bisogna stare estremamente attenti a non scivolare in uno stereotipo della femminilità e della maschilità».
Ora, premetto che riconosco all’onorevole Marzano (è stata eletta alla Camera dei Deputati col PD) una coerenza e un coraggio, nel difendere le proprie posizioni, che mancano tanti altri politici di centrosinistra e non solo; questo non vuole dunque essere in alcun modo un attacco personale, verso una donna che è anche una studiosa di livello internazionale (è docente all’Università di Parigi V René Descartes). Tuttavia, se l’on. Marzano è filosofa, nel mio piccolo io sono sociologo e come tale non posso che rimanere incuriosito dalla tesi secondo cui la «maternità» sarebbe «un ruolo e può essere esercitato da un uomo o da una donna». Mi piacerebbe infatti sapere sulla base di quali elementi poggia un’affermazione simile.
Sarebbe opportuno capirlo perché non solo il buon senso – e l’esperienza, solo in Italia, di milioni di donne – ma anche gli studi effettuati su questo tema sembrano dire altro, e cioè che la maternità è un’esperienza anzitutto femminile. Lo si è potuto riscontrare in modo inequivocabile grazie al fatto che in tutte le culture studiate le bambole sono risultate maggiormente preferite dalle bambine le quali, rispetto ai bambini, sono più propense anche a giocare a fare i genitori [1]. A queste considerazioni qualcuno potrebbe verosimilmente obiettare che, se le cose stanno così, è solamente a causa di influssi culturali che costantemente associano le donne alla cura dei figli.
E in effetti, per allentare il legame fra madri e figli facendo esercitare un po’ agli uomini il «ruolo» della «maternità» si sono in diverse parti d’Europa e non solo introdotti i congedi parentali anche per i padri. Peccato che siano proprio detti congedi a confermare – attraverso tutta una serie di indizi – che la maternità sia un fatto esclusivamente femminile e non maschile. Tanto per cominciare, c’è da dire che le percentuali di uomini che ricorrono a questi tipi di congedi, anche a distanza di anni, sono sempre più basse di quelle femminili: colpa della cultura, si ribatterà ancora. Davvero? Strano, perché anche quando gli uomini si avvalgono del congedo parentale, esercitano il loro «ruolo» di cura dei figli in modo diverso.
Infatti nell’accudire i loro bambini sono sempre le madri a mostrare un comportamento più affettuoso, cantando, sorridendo, tenendo il braccio e calmando i figli, in media, più di quanto non facciano i padri [2]. Forse è anche perché i figli – anche se qualcuno, curiosamente, sembra dimenticarlo – sono in contatto nove mesi prima con la madre, nove mesi preziosi e insostituibili durante i quali i nascituri fanno registrare specifiche variazioni cardiache quando ascoltano la voce materna [3], intrattenendo nella fase prenatale una vera e propria relazione con la madre [4] ed essendo in grado di memorizzare, fra le altre, proprio la sua voce [5].
Inoltre, a differenza delle madri, parecchi padri – pure da casa – continuano a lavorare, seguendo pratiche d’ufficio per un totale anche di dieci ore settimanali. Da qualunque prospettiva insomma ci si affacci alla questione – psicologica o sociologica, domestica o transculturale – la maternità rimane sempre un «ruolo» femminile, che donne e madri esercitano con un’attenzione ed una sensibilità semplicemente sconosciute alla quasi totalità degli uomini. Pertanto, pur col rispetto che deve alle idee altrui, il sospetto è che lo stereotipo, se c’è, non alberghi nella mente di quanti, conformandosi a millenni di tradizione, ritengono la maternità femminile e la paternità maschile ma in quella di chi, filosofeggiando, sostiene altro.
giulianoguzzo.com
[1] Cfr. Tooley J. (2002) The Miseducation of Women, Continuum Publishing Group; Geary D.C. (1998) Male, Female: The Evolution of Human Sex Differences; [2] Cfr. Rhoads S.E. (2004) Taking Sex Differences Seriously; [3] Cfr. Developmental Science, 2011; [4] Cfr. Neuroendocrinology Letters, 2001; [5] Cfr. Acta Paediatrica, 2013.
Mi piacerebbe sapere se la suddetta filosofa è madre oppure no. Nove mesi di gestazione dovrebbero dire qualcosa sull’argomento. Ma lei sembra ignorare ciò che è a mio parere fondamentale. A volte certe affermazioni in bocca a persone di un certo rango lasciano perplessi. Grazie per questo post. Isabella
Da appassionato di filosofia mi chiedo sulla base di quali requisiti si assegni, al giorno d’oggi, la qualifica di Filosofi.
Questo pensiero mi è venuto quando ho sentito il “filosofo” Galimberti e mi sono detto: “ma questo… un po’ di logica… un po’ di storia della filosofia… un po’ di storia delle religioni… se l’è studiata?”.
Perchè non sembrava…
@tachimio, se non sono male informato, no, non ha figli la Sig.ra Marzano…
Sul resto che dire? Maternità è solo un “ruolo”? Può essere esercitato da un uomo o un donna?
Chissà perché accanto alla Maternità è sempre esistito il termine (e non solo il termine) Paternità?
Certo in casi di necessità ci sono Padri e/o Madri che si sono dovuti assumere entrambi i ruoi, ma questo è altro discorso…
Credo che questa “nuova” della Sig.ra Marzano, si possa accomunare a quell’altra brillante intuizione secondo cui Madre è solo un concetto “antropologico” (di altro semi-sconosciuto filosofo…)
Non è una tesi in realtà,ma una credenza ideologica dettata dell’egualitarismo.L’egualitarismo è la vera ideologia,il principio primo che regge la maggioranza delle affermazioni moderne su vari fronti.E soltanto un atto forzato di mettere un uguale ovunque senza se ,senza ma, senza alcuna moderazione,non è affatto qualcosa dettato dalla Ragione, ma solo una sterile fisima del desiderio e del sentimento dell’estremismo moderno.In realtà matematicamente un uguale,nel suo significato è come dire:ogni proprietà che sta in A stà necessariamente in B e dunque vige l’identità, e viceversa,in maniera,forzata assolutistica dettata dal mero desiderio,non dalla ragione;visto che la ragione stessa opera non solo per ragionevoli uguaglianze ma anche per ragionevolissime distinzioni e distinguo cioè diseguaglianze,e quello che non ammettono gli ideologizzati dell’egualitarismo è proprio :l’atto stesso della ragionevole distinzione;il che ovviamente si traduce nel fatto che è impossibile postulare solo identità senza contemporaneamente perdere la razionalità.La pretesa assoluta è questa (riferita in questo campo):ogni aspetto di un uomo sta a una donna e viceversa,e se non c’è bisogna diventare irrazionali e credere alla propria ideologia con tutte le forze,e magari imporla a suon di leggi.E quindi la Marzano,mi sembra, proceda semplicemente allineata più che per una ragionevole filosofia,per una estremistica ideologia.Non solo un uomo è diverso (dunque non identico) da una donna fisicamente ma anche psicologicamente,e pure l’egualitarismo quando estremizza,diventa ideologia estremistica priva di senso:in particolare, solo alcuni aspetti possono essere in comune, altri no.Ma tuttavia i fatti vanno ignorati e l’estremismo egualitario imposto,se la Ragione non si accorda con un egualitarismo aprioristico estremistico;tanto peggio per la Ragione!
Oggi come altri giorni è successo che mio figlio di 4 anni è caduto e si è fatto male, sono andato subito a raccoglierlo, ma continuava a piangere, è arrivata la mamma l’ha preso in braccio e gli ha dato un bacio, lui magicamente ha smesso di piangere e si è calmato. La filosofia dovrebbe partire dalla realtà, e non pretendere di crearla. Aleteia, episteme.
Ho letto anch’io alcune settimane fa un articolo della Marzano dove parlava di maternità e paternità come qualità che possono essere attribuite indifferentemente a donne e uomini. La base di ciò è la vecchia teoria psicanalitica secondo la quale la maternità è cura e accoglienza, mentre la paternità è, diciamo, “legge e ordine”. Chi sentisse più forti dentro di sé i caratteri della maternità sarebbe madre (indipendentemente dal sesso), e lo stesso vale per la paternità. Sarebbe quindi assolutamente normale l’esistenza di padri femmina e madri maschio. Tale operazione avrebbe l’obiettivo di non escludere nessuno dalla genitorialità.
Una premessa: la Marzano è una sostenitrice accanita dei “gender studies” i quali affermano che il “sex” non definisce univocamente il “gender”, essendo quest’ultimo il risultato dell’influsso di molteplici fattori sull’identità dell’individuo. Il “sex” è uno di questi, forse non il principale, ma comunque influente nella costruzione dell’identità di genere. Non si può quindi sostenere, neppure per i “gender studies”, che “sex” e “gender” siano separati ed indipendenti.
La Marzano, però, ipostatizza “maternità” e “paternità” secondo dei caratteri fissi ed, in linea di principio, immutabili. Così facendo, cade nello stesso errore che rinfaccia agli “anti-gender”, cioè un’applicazione rigida alla realtà di idee ritenute universalmente valide perché fondate su qualcosa di a-storico: nel caso degli “anti-gender” il sesso biologico, nel caso della Marzano la ricostruzione psicanalitica delle caratteristiche materne e paterne, cioè degli stereotipi, per usare un vocabolo caro ai “genderisti”.
Non solo, l’obiettivo che si propone (non escludere nessuno) neppure si realizza perché non è in grado di rispondere a quelle situazioni, ad es., in cui una donna esercita un ruolo che, secondo la Marzano, sarebbe assai più paterno, mentre la donna stessa si sente pienamente e totalmente “madre”. Paradossalmente questa donna sarebbe “padre” contro la sua stessa volontà e rappresentazione di sé. Oppure, ancora, tale teoria non riesce a rendere ragione del fatto che nei genitori sempre (o quasi) i caratteri di accoglienza/cura e legge/ordine sono presenti sia nelle madri che nei padri. Per far sì che tutti si sentano inclusi, che non ci siano discriminazioni, ecc. la soluzione coerente sarebbe, contro le intenzioni della Marzano, la dissoluzione degli stessi concetti di “maternità” e “paternità” e la conseguente inutilità di utilizzare gli stessi termini.
Tale dissoluzione infila però la Marzano in un vicolo cieco. Da una parte, per far valere ancora maternità e paternità, dovrebbe, contro gli stessi “gender studies”, affermare l’assoluta irrilevanza del sesso per l’identità di genere. Opzione ideologica che i “gender theorists” si guardano bene dal fare ben sapendo che sarebbe un’arbitraria (auto)riduzione del campo d’indagine. Dall’altra, invece, finirebbe per riconoscere ciò che lei vuole assolutamente evitare, cioè che il “sex” è non solo importante, ma determinante e discriminante per quanto riguarda l’attribuzione di maternità e paternità: madre = femmina, padre = maschio.
La filosofa rimane impigliata nella sua stessa teoria senza poter uscirne se non rinunciando ad essa.
P.S. Sulla Marzano ho trovato questo resoconto di una recentissima conferenza, giusto per dare un po’ la misura del personaggio:
http://www.picchionews.it/michela-marzano-il-gender-e-il-convitato-di-pietra/
@Michele grazie, analisi molto interessante 😉
L’ha ribloggato su l'ovvio e l'evidentee ha commentato:
“Da qualunque prospettiva insomma ci si affacci alla questione – psicologica o sociologica, domestica o transculturale – la maternità rimane sempre un «ruolo» femminile, che donne e madri esercitano con un’attenzione ed una sensibilità semplicemente sconosciute alla quasi totalità degli uomini. Pertanto, pur col rispetto che deve alle idee altrui, il sospetto è che lo stereotipo, se c’è, non alberghi nella mente di quanti, conformandosi a millenni di tradizione, ritengono la maternità femminile e la paternità maschile ma in quella di chi, filosofeggiando, sostiene altro.”