Sette anni fa, il 9 febbraio, dov’eravate? Sarebbe importante ricordarlo perché quel giorno, il 9 febbraio 2009, l’Italia veniva scossa da un evento che ancora oggi, sette anni dopo, non cessa di dividere e far discutere: la morte di Eluana Englaro (1970–2009), la donna che versava in stato vegetativo da diciassette anni. Per alcuni fu il trionfale compimento di una battaglia civile, per altri il drammatico epilogo di una guerra perduta. Per tutti, in ogni caso, quel 9 febbraio rappresenta una data storica benché ancora recente, una frattura come non si registrava da tempo, a livello di opinione pubblica. Ebbene, nonostante questi sette anni già trascorsi rimagono ancora poco noti aspetti diversi fondamentali di quello che, in termini giornalistici, è stato ribattezzato come il “caso Englaro”. Nelle righe a seguire cercheremo di rivisitarne alcuni nella speranza di offrire a tutti la possibilità, ripensando a quel 9 febbraio 2009, di farsi un’idea meno parziale e condizionata da resoconti non sempre attendibili che però circolano ancora oggi.
Come stava Eluana?
Cominciamo dall’aspetto forse più importante, e cioè le effettive condizioni di salute nelle quali versava Eluana. E’ opinione comune che la donna, dopo essere stata visitata da fior di medici, fosse stata riconosciuta da tutti – rispetto allo stato vegetativo in cui si trovava – come impossibilitata ad una anche minima ripresa. Ecco già in questa frase, verosimilmente riassuntiva del pensiero di molti, si condensano clamorose imprecisioni. Infatti non solo non è vero che la donna venne visitata da molti medici (basta leggersi le sentenze per accorgersi della presenza, ripetuta, di una sola perizia: quella del professor Carlo Alberto Defanti, incaricato dal padre di Eluana), ma non è vero neppure che coloro che la visitarono concordarono nelle conclusioni. La riprova ci viene dalla notevole divergenza tra il parere espresso dal già citato Defanti – e tenuto in assoluto ed esclusivo rilievo nel corso dei processi – rispetto a quello, per esempio, di uno specialista come il dottor Giuliano Dolce, il quale, anch’egli per mandato del padre, aveva seguito Eluana per qualche tempo registrando come lei, oltre ad aver ripreso, dopo diverso tempo, un regolare ciclo mestruale, fosse in grado di deglutire autonomamente, di variare il ritmo respiratorio a seconda degli argomenti trattati vicino a lei. Tutti elementi puntualmente trascurati dai pronunciamenti giudiziari, nei quali, come detto, compare invece la sola (e datata) perizia di Defanti, presa sempre per buona, anzi: come oro colato. Un capitolo a parte meritano le effettive condizioni di Eluana prima della morte. Ricordiamo come sette anni fa circolarono, a tal proposito, i resoconti più scabrosi. Lo scrittore Roberto Saviano, per dire, sulle colonne di El Pais arrivò a sostenere che Eluana aveva il «viso deformato, le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli» [1]. Descrizione impressionante epperò frutto di pura fantasia dal momento che, da quanto si sa, l’intellettuale partenopeo non visitò mai la donna. La vide invece – e per due volte – Lucia Bellaspiga, che fra l’altro fu anche l’ultima giornalista a farle visita prima della morte. E la descrisse così: «Eluana è invecchiata poco, è rimasta ragazza davvero, anche nella realtà, non solo in quella congelata dalle foto […] i lineamenti sono poco diversi da prima, non peggiori o migliori, diversi […] dal suo sguardo capisci che è una disabile, a occhi chiusi potrebbe essere la persona più sana del mondo […] il volto è rilassato, pieno, normale, non abbruttito» [2]. Altro che orecchie callose, bava che cola e tutto il resto. Nota bene: né l’Autore di Gomorra, né altri si sono a tutt’oggi scusati per le loro gratuite e discutibilissime opere di fantasia.
La (non) vittoria del diritto
Particolarmente curioso, di quella vicenda, fu anche il dato giuridico. Si è detto che nessuno, una volta avviata la sospensione del nutrimento che avrebbe cagionato la morte di Eluana, avrebbe potuto fare nulla dal momento che, sulla vicenda, da parte della Corte d’Appello di Milano, era stata pronunciata una «sentenza passata in giudicato». Sbagliato: nessuna sentenza passò «in giudicato»; fu invece emesso un decreto di tribunale che, come tale, non era suscettibile di «passare in giudicato» ex art. 2909 c.c., perché provvedimento di «volontaria giurisdizione». Non solo: c’erano sentenze, anche precedenti, che avevano già ribadito come i decreti dei tribunali «non sono idonei ad acquisire autorità di giudicato, nemmeno “rebus sic stantibus”, in quanto sono modificabili e revocabili non solo “ex nunc”, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche “ex tunc”, per un riesame (di merito o di legittimità) delle ordinarie risultanze»[3]. A ben vedere anche chi ha affermato che si è trattato di una battaglia vinta sul piano del diritto non la conta giusta visto che è stato proprio il diritto, in più occasioni, a dare torto alle tesi del padre ricorrente [4]. Per bene sei volte, infatti, i magistrati – antecedentemente alla «rivoluzionaria» [5] sentenza della Cassazione del 16/10/2007 – negarono al tutore di Eluana il permesso di anticiparne la morte. Forse quei giudici erano tutti quanti all’oscuro della Costituzione e del citatissimo articolo 32 sul rifiuto delle terapie? Varrebbe la pena chiederselo. Senza considerare che molti sono i punti poco convincenti di quella sentenza della Cassazione del 2006. Anzitutto perché diede per certi elementi che tali non erano, come l’irreversibilità dello stato vegetativo, condizione con nette differenze cliniche da quella del coma [6], non è più considerata una condizione irreversibile dalla letteratura scientifica [7], dalla quale stanno invece emergendo prospettive interessanti in ordine ai possibili gradi di “consapevolezza” delle persone che versano in questa condizione [8]; per non parlare degli ormai molteplici casi di “risvegli” [9] alcuni dei quali clamorosi, come quello di Terry Wallis, avvenuto dopo 19 anni [10]. In secondo luogo perché la Suprema Corte diede valore ad una ricostruzione “indiretta” della volontà terapeutiche di Eluana attraverso il suo «stile di vita», si collocò in netto contrasto con altri pronunciamenti coevi della Suprema Corte. Che, quanto alla manifestazione del “non consenso” a un trattamento sanitario, in ben due sentenze – la 4211/2007 [11] e la n 23676/2008 [12] – sottolineò, mostrandosi decisamente più rigida [13], la necessità di «una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivocabilmente emerga detta volontà».
E’ stata Eluana a chiedere di morire?
Alla luce di quanto ha detto e ribadito la Suprema Corte ci si può legittimamente chiedere: ci fu effettivamente, da parte di Eluana, una «una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa» sulla sua volontà di non vivere a certe condizioni? «Se non posso essere quello che sono adesso, preferisco morire» – secondo il padre – furono le parole della giovane donna un anno prima del tragico incidente [14]. Non ci sono elementi per dubitare aprioristicamente che queste parole Eluana le abbia dette, anche se rimangono degli interrogativi: quando e dove sono state pronunciate? Riflettevano appieno il suo pensiero oppure un suo personale stato d’animo, magari generato dalla notizia di uno stato di coma da parte di altri? Perché in quel caso dovremmo concludere che il pensiero di Eluana – sia pure rafforzato da quel «preferisco morire», peraltro così frequente nel lessico giovanile – fosse quello di tutti dal momento che nessuno sano di mente si augurerebbe di ritrovarsi in coma o in stato vegetativo. Come andarono dunque le cose? Non è chiaro. L’unico dato certo – anche se, guarda caso, poco ricordato – è che la stessa Corte d’Appello di Milano ha messo nero su bianco come sia stato il Beppino Englaro, e non Eluana, a richiedere la sua morte: «La. S.C. non ha ritenuto che fosse indispensabile la diretta ricostruzione di una sorta di testamento biologico effettuale di Eluana, contenente le sue precise dichiarazioni di trattamento […] ma che fosse necessario e sufficiente accertare che la richiesta di interruzione di trattamento formulata dal padre in veste di tutore riflettesse gli orientamenti di vita della figlia». Parole che demoliscono un’altra leggenda metropolitana: quella secondo cui il tutore, in questo caso, abbia agito «”con” l’incapace» [15] e che, quindi, sia stata lei, Eluana, a chiedere di non essere tenuta in vita a certe condizioni. Falso. Quella richiesta non è mai stata formulata. Non da lei, almeno: e scusate se è poco.
La morte di una donna
Queste poche righe non hanno, naturalmente, la pretesa – né potrebbero averla – di dissipare tutte le numerose ambiguità di un caso che ha fatto e continuerà a far discutere. E’ bene però che d’ora in poi tutti, quanto meno, tengano presenti i tre elementi – ce ne sarebbero molti altri, ma lo spazio, si sa, è tiranno – che abbiamo qui voluto mettere a fuoco:
1.Eluana Englaro, in seguito ad «eutanasia passiva» [16], è morta, ma sarebbe potuta tranquillamente vivere, perché, pur versando in condizioni di evidente e gravissima disabilità, la sua salute non era affatto in pericolo;
2.Si poteva anche giuridicamente impedire la sua morte dal momento che il decreto della Corte d’Appello di Milano a cui sono seguiti il ricovero ad Udine ed il decesso della donna era revocabile in qualsiasi momento alla luce, se non altro, delle decine di esposti fioccati tanto alla Procura di Milano, tanto a quella di Udine da parte di associazioni e privati cittadini e mai, di fatto, esaminati nel merito;
3.Eluana Englaro non ha mai è espresso la volontà di morire, qualora si fosse trovata a vivere in condizione di stato vegetativo. E se lo ha fatto, la giustizia italiana non è stata – nonostante i numerosi dibattimenti e le numerose sentenze emesse sulla vicenda – in grado di accertarlo.
Riepilogando, il 9 febbraio 2009 una donna innocente e gravemente disabile, in Italia, è deceduta in solitudine [17] in seguito a disposizioni per le quali non aveva mai reso «una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa», morendo – secondo quanto paventato in un appello sottoscritto da 25 fra docenti universitari e direttori di reparti di neurologia – «attraverso una lenta devastazione di tutto l’organismo» [18]. Anche se quindi sono ormai trascorsi sette anni, anche se il tempo passa e tutto quello che volete, sinceramente: crediamo davvero che su quanto accaduto si debba tacere? Crediamo che la verità di fatti gravi, dopo un po’, debba essere taciuta? Crediamo veramente che nascondere la vergogna sotto il tappeto serva a non provarla più, a stare meglio? Oppure pensiamo che sì, quel che è accaduto ad Eluana debba essere ricordato minuto per minuto, come un dramma comune, come una pagina dolorosa, come l’occasione perduta e che dobbiamo riconquistare per dire che siamo tutti uguali non solo a parole, e che se sei il più debole, in una comunità, sei non l’ultimo bensì il primo a cui tutti debbono pensare, e il primo da proteggere? A voi, cari lettori, l’ardua sentenza.
Per concludere, possiamo farci guidare nella riflessione dalla poesia, che spesso aiuta a estrarre dai pensieri verità più grandi di quelle che le parole, da sole, sembrano in grado di contenere. Sono alcuni versi di un bel monologo di Davide Rondoni:
«Il totem, lo spettrale dio
dell’autodeterminazione è l’idolo
più falso che ci sia. Più astratto,
e inutile di fatto.
Non autodeterminiamo in quasi niente
– nemmneno nel colore dgli occhi
o se passare o no al semaforo
se avere o no un cuore matto –
e vogliono farci credere che valga per nascere
e morire.
La libertà di un uomo solitario,
illusorio. Un uomo astratto.
Senza pietà intorno, senza luce
del giorno nella disperazione.
La libertà non è fare una scelta
ma aderire con mille e mille
scelte alla vita che ci è data
e servire non da soli la sua rosa,
la fioritura che sia più viva
là dove la terra è più segnata» [19].
giulianoguzzo.com
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Note: [1] Saviano R. Pidan perdón a Beppino Englaro. «El País», 11/2/2009; [2] L. Bellaspiga – P. Ciociola, Eluana. I fatti. Ancora, Milano 2009, p. 8; [3] Cass. civ., sez. Unite 17-12-2003, n.19391; Cass. civ., sez. II 29-12-2004, n. 24140; Cass. civ., sez. II 21-02-2001, n. 2517; Cass. civ., sez. II 23-02-1999, n. 1493; Cass. civ., sez. I 29-07-1993, n. 8455; [4] Particolarmente interessanti sono le motivazioni con le quali il 16 dicembre 2006 la Corte d’Appello di Milano, pur ritenendo ammissibile il ricorso di Beppino Englaro, non lo accolse perché «Eluana è viva» e sottrarle (come poi è stato fatto) alimentazione ed idratazione avrebbe configurato – hanno scritto i giudici – una pratica di «eutanasia omissiva, nonostante gli sforzi argomentativi dei reclamanti di scindere l’ipotesi in esame da quella dell’eutanasia»; [5] Dragone M. Le violazioni del diritto dell’autodeterminazione in Cendon P. (a cura di) La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale. Danno biologico, esistenziale e morale. Volume I, Utet Giuridica, 2008, p. 841; [6] Cfr. The vegetative state: guidance on diagnosis and management – The Royal College of Physicians – «Clinical Medicine», 2003; Vol. 3(3):249-54; [7] In tal senso, all’indomani della sentenza n. 21748 (Relatore A. Giusti) della Corte di Cassazione, Vincenzo Carpino, presidente dell’A.a.r.o.i. acronimo che sta perAssociazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani -, si trovò costretto a precisare che in realtà «non esistono criteri precisi per accertare con sicurezza uno stato vegetativo permanente. Mancano parametri scientifici e quindi protocolli di riferimento» (“Corriere della Sera”, 17/10/07, p.3); [8] Cfr. Cruse D. – Chennu S. – Fernández-Espejo D. – Payne W.L. – Young G.B. (2012)Detecting Awareness in the Vegetative State: Electroencephalographic Evidence for Attempted Movementst Command.«PLoSONE»(11):e49933;[9] Amy Pickard, Christa Lily Smith, Patricia White Bull, Donald Herbert, Jan Grzebsky, Jesse Ramirez, Sarah Scantlin. Sette nomi che non dicono nulla, che non abbiamo sentito prima d’ora e che, verosimilmente, non sentiremo più. Ma sono sette nomi importanti, perché si tratta di persone che, per anni – qualcuno addirittura per due decenni – sono vissute ferme, inchiodate ad un letto o ad una carrozzella; fino a che, come per miracolo, si son “risvegliate”, offrendo inaspettati segnali di reazione; [10] Cfr. Eelco F. M. – Wijdicks M.D. (2006) Minimally Conscious State vs Persistent Vegetative State: The Case of Terry (Wallis) vs the Case of Terri (Schiavo). «Mayo Clinic Proceedings»; Vol. 81(9):1155-1158; [11] Cfr. Cassazione Sezione III Civile, sentenza n. 4211/2007, Presidente Varrone – Relatore Amatucci; [12] Cfr. Cassazione Sezione III Civile, sentenza n. 23676/2008, Presidente Preden – Relatore Travaglino; [13] Cfr. Beltrani S. – Blaiotta R. – Carcano D. – Cerase M. – Di Salvo E. – Eroina O. – Iacoviello F.M. Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina. Vol. II, Il reato consumato e tentato, Libro I. Artt. 39-58 bis, Giuffré Editore, Milano 2010, p.777; [14] Englaro B. – Nave E., Eluana. La libertà e la vita, Rizzoli, Milano 2009; [15] Pizzetti F. G. Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Giuffrè Editore, Milano 2008, p. 322; [16] Pavone I. R. La convenzione europea sulla biomedicina, Giuffrè Editore, Milano 2009, p.55; [17] Quando Eluana morì, era sola. Non c’era nessuno in quella stanza: il padre Beppino Englaro era a Lecco, come pure la madre. Non c’era un infermiere, un medico, nessuno di quelli che avrebbero dovuto “accompagnarla al riposo con presenza costante ed attenta”, com’è stato scritto da qualcuno; [18] «Procuratore, blocchi la condanna a morte», “Avvenire” 17/7/2008, p. 11; [19] Rondoni D. Passare la mano delicatamente (per E. e per tutti) in Pandolfi M. (a cura di) Eluana e noi, Ares, Milano 2009, p. 25.
E’ vero: Eluana non ha chiesto di morire (non possono essere considerate probanti le sue parole, riportate dai familiari, sul fatto che non avrebbe voluto vivere nelle condizioni dell’amico che aveva avuto un incidente dal quale non si era risvegliato). Ma è anche vero che dal 2009 non un passo avanti si è fatto su un minimale testamento biologico: non ci si trova d’accordo nemmeno sul concedere ad una persona, nel pieno possesso delle sue facoltà, di poter dichiarare di RIFIUTARE interventi esterni di respirazione, alimentazione ed idratazione nel caso si venisse a trovare in stato di non comunicazione con gli altri per un periodo prolungato oltre il quale, ragionevolmente, non ci si possa attendere più un risveglio. E non sto parlando di RICEVERE un atto di soppressione attiva. Quante altre Eluana dovremo conoscere prima di essere in grado di farlo questo passo avanti?
Al di là della vicenda Eluana, credo sia imperativo più che mai istituire il cosiddetto “testamento biologico” con il quale chi lo desidera può esprimere le proprie volontà e nominare una persona di fiducia cui rivolgersi per decidere il da farsi ed evitare poi tutti i fraintendimenti del caso sui quali poi si ricama veri e propri romanzi.
Noi in famiglia, io, mia moglie e due figlie l’abbiamo fatto rivolgendoci alla Fondazione Veronesi e ogni anno rinnoviamo le nostre volontà.
Il testamento biologico deve essere vincolante per i medici, come in Germania, dove la legge prevede che le volontà espresse nelle direttive anticipate devono sempre essere rispettate, indipendentemente dalla tipologia e dalla gravità della malattia e guarda caso, anche la Conferenza Episcopale tedesca riconosce l’istituzione e le volontà espresse. Probabilmente i tedeschi appartengono a un’altra Chiesa.
Viste le posizioni dei tedeschi su altri aspetti della dottrina cattolica, vien da pensare che, sì, appartengono ad un’altra Chiesa.
A parte gli scherzi, il testamento biologico come espressione di volontà vincolanti, cade in diversi problemi:
1) Una volontà che si pretende assoluta e vincolante per tutti ed in qualsiasi condizione. Assieme ad essa va una ragione che, proprio per vincolare chiunque, si ritiene in grado di conoscere in maniera certa, sicura ed incontrovertibile le possibili situazioni nel quale il soggetto potrà trovarsi, quali saranno le sue variabili condizioni di salute, quali le possibili terapie ed il progresso scientifico. Una conoscenza onnicomprensiva e del tutto irrealistica, la quale però deve essere dogmaticamente posta alla base del testamento biologico per renderlo vincolante.
2) Gli operatori sanitari resi meri esecutori, di fatto dei distributori di servizi, anche dei più disparati e assurdi, se sovrana è, come vogliono i fautori del biotestamento, la volontà soggettiva. Oltretutto il problema grosso si pone nei casi in cui le direttive anticipate non contemplano alcunché di specifico su una certa condizione, o non sono del tutto chiare, oppure sono superate dal progresso scientifico: qui la pretesa assolutezza vincolante delle direttive crolla tutta di un colpo, emancipando il medico dal ruolo di distributore cui era stato relegato per lasciare campo alle sue interpretazioni della volontà del soggetto. Con ciò è facile prevedere l’esito: il ricorso massiccio ai tribunali, che si voleva evitato dal biotestamento, ma che rientra dalla finestra inevitabilmente.
3) Una volontà ipotetica (“se mi trovassi nella condizione x, vorrei che mi fosse fatto y”), e quindi congetturale, che pretende, con un’inferenza indebita, di rendersi attuale. Vale la pena di ricordare che un’ipotesi per rendersi attuale ha bisogno di verifica nell’esperienza. Ora, nel caso del biotestamento questa verifica manca, anzi per validarla occorre, come ha fatto la Cassazione nel 2007, assumere come terreno di verifica lo stesso che ha generato la volontà ipotetica. Insomma un cane che si morde la coda: i miei desideri, pensieri, idee, ecc. generano la volontà ipotetica che a sua volta è verificata dai primi….
4) Va ricordato che la volontà, considerata la libertà che di essa si nutre, vale nel fatto singolo, ed è arbitrario estenderla automaticamente, come fa il testamento biologico, da un fatto all’altro. Anzi così facendo si giunge all’esito opposto a quello voluto. La volontà, estendosi a fatti diversi nel tempo, si trova ad essere vincolata (e quindi non più libera) ad una decisione presa tempo prima ed in diverse condizioni, non potendo più esercitarsi nel fatto concreto.
5) Chi ritiene, come fanno i fautori del testamento biologico, che a dar senso alla vita sia la volontà soggettiva, dimentica che la vita ci è stata data senza che la nostra volontà venisse interpellata (e che quindi potesse avvalorarla) e che la stessa vita ci sarà tolta senza che la nostra volontà abbia alcuna voce in capitolo. Pertanto non ha senso parlare di “proprietà” della vita da parte del soggetto. Una proprietà che non si può vendere né comprare, che ci può venir tolta senza che si possa parlare di esproprio, una proprietario che, al momento in cui la proprietà si estingue, scompare anch’esso. Ben strana questa proprietà… istituto giuridico del tutto inadeguato a descrivere la vita umana, ma usato senza problemi dai fautori del biotestamento.
6) Per concludere, i principi che stanno alla base del biotestamento, se applicati coerentemente, portano ad esiti indesiderati da parte dei suoi stessi fautori. Se infatti la volontà soggettiva è vincolante e va rispettata dagli altri, allora parimenti chi tenta di sventare un tentativo di suicidio gettandosi nelle acque di un fiume non compie un’azione eroica, ma un atto di violenza privata. Il tentato suicida, padrone della propria vita, infatti non solo ha dichiarato anticipatamente la propria volontà (come nel caso del living will) ma l’ha messa in pratica, rendendola ancora più reale. Allo stesso modo andrebbe denunciato chi, in un pronto soccorso, cerca di rianimare il tentato suicida che maldestramente non ha raggiunto il proprio scopo. Non vale obiettare che il tentato suicida non è nel pieno delle sue facoltà mentali, essendo ciò tutto da dimostrare; né tantomeno vale l’obiezione che non esiste una carta legale la quale attesti le volontà suicidarie: c’è di più, c’è la volontà messa in pratica. Se si vuole rispettare l’autodeterminazione, occorre farlo sempre, anche quando non piace…
Passo avanti? Io spero che non si parli mai più di queste diavolerie, per non finire come in altri paesi europei dove è approvata. l’eutanasia per bambini……
Ognuna di queste pratiche sataniche si pone su piani inclinati inarrestabili.
Mary, permetti che io possa rinunciare ad essere idratato ed alimentato dopo 5 anni di stato vegetativo? Perchè adesso uno non può rinunciare, non può scrivere che vuol rinunciare se, ragionevolmente, non avesse prospettiva di risveglio. Permetti che possa decidere io a quali interventi esterni al mio corpo rinunciare se un giorno non potrò più comunicare con nessuno? Permetti che prima di infilarmi un sondino i medici, dopo 5 anni di mio stato vegetativo, debbano chiedersi se io lo accetterei? Perchè in stato vegetativo ci sono io, non tu. E permetti che non ci sia bisogno di scomodare Satana e l’eutanasia per accordare a chiunque la libertà di accettare fino in fondo la propria condizione? Se io vivessi per 5 anni nella condizione di non potermi alimentare nè idratare da solo, di non poter comunicare con nessuno, di essere imprigionato nel mio corpo che, pur lodevolmente, altri vogliono tenere in vita senza il mio consenso, vorrei poter avere uno strumento legale come il testamento biologico per potermi opporre a vivere in quella condizione per forza. Non venirmi a dire che è una condizione naturale, perchè se fosse per lei … la natura farebbe il suo corso alla svelta. Se vale la mia volontà, espressa in vita ed in piena coscienza, di donare i miei organi dopo la morte, perchè non dovrebbe valere la mia volontà, sempre espressa in vita ed in piena coscienza, a rinunciare ad interventi esterni quando ancora sono vivo ma non posso comunicare. Guarda che una persona, finchè è viva, è libera di non alimentarsi, di non curarsi, di rifiutare gli interventi esterni. Pensa a Welby: lui avrebbe voluto l’eutanasia attiva, ma resosi conto che non l’avrebbe ottenuta ha semplicemente chiesto di poter rifiutare il respiratore artificiale che gli entrava dentro, cosa che ha giustamente ottenuto. Perchè il corpo era suo, non della società.
Come fai a decidere di smettere di essere alimentato dopo 5 anni di stato vegetativo? Lo puoi affermare solo dopo averlo provato, non prima. Così cade l’edificio del testamento biologico (v. mio commento precedente punto 3).
La donazione degli organi poi vale quando non c’è più vita, il biotestamento no. La donazione degli organi non fa capo ad una volontà ipotetica, il biotestamento sì. La donazione degli organi non presuppone una conoscenza da parte del soggetto della sua condizione futura, il biotestamento sì. La donazione degli organi non riposa su una concezione proprietaria della vita e sull’autodeterminazione della volontà, il biotestamento sì.
Mi pare lampante la differenza.
Michele, il tuo intervento articolato merita una risposta altrettanto precisa.
1 – Se i progressi della medicina arrivano a porre da alcune decine di anni una persona in condizioni innaturali (continuare a vivere per anni ed anni senza ragionevole aspettativa di miglioramento, pur non potendo accudire se stessi in alcun modo, nè alimentarsi, nè idratarsi nè, a volte, perfino respirare, e non potendo più comunicare con nessuno), la legge deve parallelamente prevedere la possibilità di rinunciare a questa condizione rinunciando agli interventi attivi sul proprio corpo e dentro al proprio corpo, se è vero che la libertà della persona è inviolabile. Se no alla fine di dogmatico e di incontrovertibile, per usare gli aggettivi che hai usato tu al punto 1, c’è solo la decisione della società sul singolo, e cioè che è preferibile continuare a vivere in quella condizione piuttosto che accettare il corso della natura di chi non può più provvedere a nutrirsi, respirare, ecc. In altre parole abbiamo che è lo Stato a decidere sulla vita del singolo che non può più esprimersi, senza sapere nulla delle sofferenze fisiche e psicologiche che una condizione del genere può comportare.
2 – L’atto medico è un incontro della conoscenza e della disponibilità dell’operatore sanitario con le esigenze e la libertà dell’assistito. Entrambi questi elementi in gioco devono essere soddisfatti. Un medico può rifiutare un intervento chiesto da un assistito se ritiene in scienza e coscienza che sia inadeguato o nocivo, così come l’assistito e può rifiutare un atto medico se non lo condivide o non lo accetta. Chi facesse un testamento biologico avrebbe sempre e comunque la facoltà di annullarlo se le conquiste mediche permettessero un giorno di recuperare in modo più efficace le persone in stato vegetativo permanente.
3 – La volontà ipotetica è parimenti quella dello Stato sul singolo. Nemmeno lo Stato sa cosa si provi in condizione di stato vegetativo permanente. Poi, se è vero che lo Stato concede di decidere quando ancora non si è morti di essere donatori di organi dopo la propria morte, e quindi non avendo sperimentato la condizione dell’essere cadavere senza un rene, il cuore, ecc… (il che potrebbe essere un handicap se il diretto interessato scoprisse che dopo la morte la vita continua solo per chi ha conservato integro se stesso), allora mi chiedo perchè non dovrebbe concedere a ciascuno di decidere della propria vita secondo le proprie credenze ultraterrene (mai verificate in vita, mi pare, perchè per verificarle occorrerebbe morire).
4 – E’ la stessa medicina a creare una condizione per cui la mia volontà attuale può restare “sospesa” per anni ed anni. Questo è un problema che non si può da una parte creare e dall’altra impedire di risolvere. Se una persona fa testamento (non biologico ma ereditario) e poi accade un fatto che gli farebbe modificare le sue decisioni (l’erede lo uccide o tenta di farlo lasciandolo non più capace di comunicare col mondo, per intascare prima possibile l’eredità, senza essere scoperto), ciò che ha stabilito resta. Lui è consapevole che può fare o non fare testamento, che se lo fa può modificarlo ma può anche non avere il tempo e la possibilità di farlo. Ma ciò che dispone in un momento x vale anche per il momento x + n.
5 – La proprietà si ha per gli oggetti, per le cose. La persona non è un oggetto ma un soggetto. Non si dovrebbe nemmeno usare la parola “proprietà” per un soggetto, ma in mancanza di una parola adeguata (“gestore” mi pare freddina …) prendiamola pure. Dimmi tu, allora, chi dovrebbe essere il “proprietario” della singola vita umana se non il soggetto che la vive in prima persona. Perchè se non è lui chi altri sarebbe? Lo Stato? La maggioranza? Perchè un “proprietario”, cioè uno che decida ed operi per tale soggetto umano, deve pur esserci, no? Perchè se un “proprietario” non c’è non c’è nemmeno responsabilità nè libertà personale. Che la vita uno non se la sia data da solo è una legge naturale: ma questo non vuol dire che il titolare della propria personale vita umana sia il caso. O forse immagini che possano essere i genitori naturali, visto che è oggettivo che quella vita umana è per lo meno stata concepita da loro?
6 – Se uno si vuole suicidare lo faccia sapendo che chi lo vedesse mentre ci sta provando ha comunque il compito di intervenire per salvarlo, secondo il giusto principio per cui l’intervento a favore del singolo in pericolo (è il pericolo che si percepisce, non le motivazioni) è sempre valido e doveroso, per lo meno per la presunzione di incapacità di intendere e volere. Sta nel singolo che vuole suicidarsi evitare una situazione ambigua per cui altri intervengano per salvarlo. Se non lo fa non può imputare in alcun modo a chi interviene alcuna violazione alla libertà personale. Se uno viene portato al pronto soccorso dopo il salvataggio e rifiuta gli interventi medici lo scrive e se ne va. Ci sono Testimoni di Geova che hanno rifiutato per se stessi la trasfusione di sangue e sono morti. Ma hanno dichiarato per iscritto di volerla rifiutare. perchè il protagonista (se non vogliamo chiamarlo “proprietario” della propria vita è chi la vive in prima persona. Nel testamento biologico invece non c’è questa ambiguità: l’interessato scrive, quando è perfettamente in grado di intendere e volere, quali sono gli interventi che vuole rifiutare se si trovasse in uno stato permanente di non comunicazione con gli altri, cosciente che è libero di farlo o non farlo, che lo può annullare ma che può anche non avere il tempo o la possibilità di farlo.
Spero di aver dato risposte puntuali.
Ciao.
Rispondo per punti:
1- Qua però non rispondi al punto da me sollevato: la conoscenza perfetta delle molteplici condizioni future come base del biotestamento. Ad ogni modo, ammettiamo pure l’inviolabilità della libertà personale, intesa alla maniera laica, cioè potere di affermazione della volontà senza alcun vincolo e criterio. Ora, notiamo che tale libertà si esercita in una condizione (di salute) che nulla sa delle sofferenze delle stato vegetativo persistente, al massimo quest’ultima condizione la volontà anticipata se la può immaginare. Dopodiché notiamo che tale volontà, formulata secondo certe congetture (tutte da verificare, converrai) viene estesa automaticamente (e senza alcuna verifica!) su una situazione di cui il soggetto non ha alcuna esperienza. Manca il passaggio logico che giustifica tutto ciò. Non solo: una volontà espressa in condizioni del tutto diverse vincola la stessa volontà in altre condizioni: la libertà personale di ieri diventa prigione della libertà di oggi! E alla fine l’individuo compie la stessa operazione che non si vuole che lo Stato compia, cioè decide della vita di se stesso (nel momento in cui non può esprimersi) senza sapere nulla delle sofferenze fisiche e psicologiche che una condizione del genere può comportare. Per questo le basi del testamento biologico sono dogmatiche: perché presuppongono condizioni del tutto indimostrabili (conoscenza perfetta delle situazioni future, volontà ipotetica che non si potrà mai dimostrare, concezione proprietaria della vita che è una contraddizione, ecc.) che vengono assunte come dogmi, senza porsi domande.
Una nota sulla natura: mi sembra che tu intenda come “natura” ciò che accade senza intervento umano e sulla base di ciò condanni gli interventi che ostacolano il suo corso. Ma se così fosse dovresti anche condannare il tentativo di rianimazione di chi giunge al pronto soccorso dopo un incidente, e forse dovresti arrivare fino a condannare in blocco la medicina.
2- Nel biotestamento il medico è esecutore delle volontà del paziente: ahinoi, in tale situazione non c’è incontro non solo perché il paziente non può esprimersi, ma soprattutto perché uno ordina e l’altro obbedisce. Il biotestamento è proprio il contrario dell’incontro tra le due libertà. L’unica alternativa (probabilissima d’altronde, dato che nessuno può prevedere in modo onnisciente le proprie condizioni di salute future) in cui il medico potrebbe giocare parte attiva è quella delle interpretazioni della volontà anticipata: ma ciò è proprio quello che il testamento biologico vuole (assurdamente) evitare. E la possibilità di annullare il proprio testamento è basata su un’altra congettura fortissima: che uno si tenga costantemente aggiornato tramite riviste specialistiche sul progresso della scienza medica e sappia comprendere le possibili applicazioni di una nuova scoperta. Bene, chi lo fa? Senza contare i casi in cui uno sottoscrive un biotestamento che viene presto superato dai progressi medici, e che magari, caduto in stato vegetativo, si trova applicato, perché lo voleva (d’altronde le dichiarazioni sono vincolanti, o no?), un trattamento neppure “all’ultimo grido”.
3- Sulla volontà ipotetica ho già risposto al punto 1. Per la donazione d’organi ti ho già risposto in un mio commento di ieri: mi limito ad osservare che in questo caso non esiste una volontà ipotetica. Abbiamo detto che l’ipotesi richiede un terreno di verifica: ebbene nel caso della donazione d’organi il terreno di verifica (la vita) manca perché cessa di esistere; mancando il terreno di verifica, non si può parlare di ipotesi. Semplicemente la volontà di donare gli organi si rende attuale non in una condizione futura dell’individuo, ma in quella che per il singolo è una non-condizione.
4- A parte il fatto che quest’ultimo si applica su cose e non su se stessi e che il paragone da te riportato comporta una frode e quindi un atto antigiuridico (mentre il biotestamento sarebbe un diritto umano!), per il testamento ereditario (e sul momento della sua applicabilità) vale ciò che ho detto al punto 3: è una volontà che si rende attuale nel futuro, certo, ma in una condizione in cui per il soggetto non cambia nulla (è morto), mentre ciò non si verifica per il biotestamento.
5- Mi fa piacere che tu noti come non si possa applicare la proprietà alla vita umana, viste le contraddizioni cui si va incontro. In realtà un istituto giuridico più idoneo c’è ed è il comodato d’uso per il quale “una parte consegna all’altra una cosa, affinché se ne serva per un tempo e un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” ed il comodatario “è tenuto a custodire e a conservare la cosa con diligenza e a non servirsene se non per l’uso determinato dalla natura della cosa”. Anche in questo caso c’è responsabilità (che presuppone la libertà) nell’uso della cosa: non serve affatto tirare in ballo la proprietà. Anzi è la “proprietà” che annulla la responsabilità: se una cosa è mio non ne sono responsabile verso nessuno. E non ho tirato in ballo il caso. In realtà occorre riconoscere che una concezione “proprietaria” della vita sia da parte del singolo che dello Stato va incontro a contraddizioni insuperabili: per risolverle non vedo altra via che riferirsi ad un Principio trascendente (la parte che consegna all’altra la cosa). Non è una questione di fede ma di ragione. Un ateo potrà pure obiettare che questa visione è “escludente”. Bene: però prima risolva le contraddizioni della sua posizione.
6- E no, caro Massimo: una volta affermato che la libertà personale è inviolabile e basilare non si può poi sovrapporle delle doverosità in capo ad altri oppure presunzioni di incapacità (che vanno dimostrate ex post e non presupposte ex ante!). Se non vi è lesioni a terzi, la libertà non si può comprimere, neppure col pretesto del pericolo: chi si è messo in tale situazione lo ha fatto volontariamente, a meno che appunto non sia incapace, ma va dimostrato. Ed è contradditoria poi una tale sollecitudine nel voler contrastare una volontà attuale, mentre tale sollecitudine pro life è del tutto assente se una volontà è espressa in precedenza ed in condizioni avulse dal contesto in cui si applicherà, come è il caso del biotestamento. Se poi sta al singolo evitare le ambiguità, allora è sufficiente che al momento dell’atto suicida dichiari apertis verbis cosa intende fare. In questo caso evitiamo ogni difficoltà ad es. al pronto soccorso: se uno lascia scritto che intende suicidarsi e poi si taglia le vene, ma non muore, allora se portato al pronto soccorso il medico non deve fare nulla, deve solo lasciare che la volontà si compia. Ripeto: se vale nel caso del testamento biologico (e non ci facciamo alcun dubbio), DEVE valere a maggior ragione per i casi in cui la volontà non è dichiarata ma realizzata: se non si accetta questo passaggio non ha senso parlare di rispetto della libertà personale, ma si tratta solo d’incoerenza nel trarre le conclusioni dalle premesse. Perché una volontà espressa anni fa vale ed una espressa adesso no?
Se, quindi, limitiamo la volontà di colui che intende compiere suicidio, finiamo nella stessa situazione che tu condanni: la vita del singolo non è più rimessa alla sua decisione, ma a decisioni altrui (della società, della maggioranza, dello Stato) che su pretesti più che dubbi pretendono di limitare la libertà del “protagonista” della vita. Insomma la mia volontà vale nella misura in cui la volontà degli altri glielo concede.
Ciao.
Buongiorno Michele.
1 – Se manca a chiunque (al singolo e allo Stato) la conoscenza perfetta di come si possa vivere in stato vegetativo permanente, di quanto si possa gioire o di quanto si possa soffrire, allora la tua obiezione dovresti rivolgerla allo stesso modo non solo al singolo che volesse rifiutare interventi esterni, ma anche allo Stato che li volesse continuare a fare anche contro la volontà del singolo. Fra il singolo e lo Stato chi conosce di più le credenze, la capacità di sostenere il dolore fisico e morale è certamente il singolo. Dunque la risposta è semplice. Nel dubbio fra il fatto che abbia ragione lo Stato o che abbia ragione il singolo dovrebbe prevalere la volontà del singolo. E comunque, quando mai uno può essere perfettamente certo dell’esito successivo delle proprie decisioni prese oggi e vissute domani? E’ un rischio, sempre. Ci si sposa poi ci si accorge che la vita matrimoniale prima idealizzata può essere ben diversa. Riguardo al tentativo di rianimazione, non sto affatto condannando chi rianima una persona che giunge in gravi condizioni, incapace momentaneamente di comunicare. Nell’emergenza si deve sempre aiutare. Ma se l’emergenza non c’è, perchè esiste un testamento biologico e perchè si è in quelle condizioni da anni, le cose sono radicalmente diverse. Per natura intendo ciò che la condizione che si vive permette di fare. Ad esempio, una donna di 70 anni, per natura, non dovrebbe diventare madre. Accettare la propria condizione fino in fondo è un atto di dignità.
2 – Io sono per un testamento biologico che riguardi SOLO gli interventi da poter rifiutare su se stessi. La responsabilità non è del medico, ma del singolo. Magari si potrebbe prevedere una obiezione di coscienza per il medico che dovesse togliere il respiratore o, più semplicemente, sospendere l’alimentazione o le medicine.
3 – E chi lo dice che la morte sia una “non condizione”? Sei mai morto tu? Se dopo la morte scoprissimo, come ti ho già scritto, che la vita può continuare solo per chi è integro ed ha tutti i suoi organi ancora dentro di sè?
4 – Il tuo è un approccio esclusivamente legalistico. Stai trattando una questione che nemmeno la Costituzione aveva ipotizzato (perchè non esistevano ancora gli stati vegetativi permanenti) come una cosa di comune amministrazione, mentre è una situazione nuova. A parte il fatto che continui a sostenere che la morte non cambi nulla. Torno a chiederti: sei mai morto? Sei assolutamente certo ed “esperienziato” che dopo la morte ci si trovi in una “non situazione”?
5 – Ma vorresti davvero imperniare le leggi sulla persona sul concetto del “comodato d’uso” concesso da Dio? Ci credo anche io che la mia vita me l’abbia donata Dio, ma da quì ad imperniare la legge su ciò che credo io ce ne passa. Anche perchè un ateo ti obietterebbe la stessa cosa che obietti tu: Sei mai stato nel’aldilà? Sei assolutamente certo di ciò che ti aspetta e che aspetta ogni essere umano? Puoi scegliere (ed imperniare le leggi) sulla piena consapevolezza di ciò che ti aspetta pur non avendolo vissuto? Io le leggi sulla persona le impernierei sul dato di natura. Chi ha fatto la natura l’ha fatta talmente bene che chi la segue non sbaglia. Ad esempio, questo mi permetterebbe di difendere la vita umana fin dal suo concepimento perchè è evidente come la natura faccia iniziare la vita umana fin dal suo concepimento. E chi ha fatto la natura ha concesso la libertà su se stessi. E siccome è un tipo di parola, per rispettare la libertà che ha concesso ha atteso l’uomo per milioni di anni. Chi sono io per toglierla, questa libertà?
6 – A parte il fatto che se uno si vuol suicidare e desidera che questa sua intenzione possa diventare una Istituzione (ad esempio un Albo delle persone che si vogliono suicidare) si può dar da fare per mettere in pratica la sua intenzione senza che io lo debba aiutare per forza a dar forma a questa sua iniziativa, non mi risulta che ci sia alcuna istanza di questo genere. Tu ne conosci? Io gli risponderei che al suo suicidio deve pensarci lui e che a me interessa piuttosto la vita delle persone, non la morte. Esiste anche un dovere collettivo di sostegno e difesa della vita umana, che confligge con questa intenzione e che, come tutti gli interessi di pubblica utilità, è superiore agli interessi singoli. Occorre trovare quindi un limite, un confine, fra l’una e l’altra istanza. Credo debba prevalere, in generale, l’interesse collettivo, anche perchè chi vuole sucidarsi può liberamente trovare il modo di non interferire con l’esigenza collettiva. Su internet ci sono descritte decine di modi per togliersi la vita senza soffrire. Non è vero il contrario, perchè se uno giunge al pronto soccorso in grave stato e senza poter comunicare con nessuno, non ce l’ha scritto sulla fronte che si trova in quelle condizioni dopo un tentativo di suicidio e non per infortunio o per un altro motivo: le sue intenzioni, che hanno cagionato il suo stato, non sono certe. Comunque sia va trovato sempre un confine fra la libertà personale e l’interesse sociale. Tu sembri voler eliminare la prima per assolutizzare il secondo.
Ti vorrei perciò ricondurre alla questione di partenza. Stiamo parlando della opportunità di prevedere, dopo anni di stato vegetativo permanente, la possibilità di rinunciare agli interventi esterni che, in quella situazione, ci si trova costretti a ricevere senza poter reagire e che possono comportare sofferenze ben maggiori delle gioie. Questo nessuno lo sa, per cui, fra lasciare che decida lo Stato o il singolo coinvolto in prima persona mi pare che la scelta sia facile. Tutto qui. D’altra parte già adesso, in caso di emergenza, la legge prevede che i parenti più prossimi posano prendere decisioni per conto del paziente sulla opportunità di interventi medici se il paziente stesso non può comunicare nè esprimersi. Di cosa abbiamo paura? Abbiamo paura che uno possa esprimersi quando ancora lo può fare?
Saluti. Massimo
Caro Massimo, tento di essere breve perché in gran parte ho già risposto:
1) Qua il punto non è volontà individuale vs. volontà statale. Posto così, il problema è irrisolvibile, e se è risolvibile lo è nel senso che tu non auspichi, ma finisci per condividere (v. punto 6 del tuo commento), e cioè nella supremazia dell’interesse collettivo sul singolo. Il problema è capire se la pretesa del singolo o dello Stato è fondata o meno: quindi se lo Stato dicesse che chi cade in SVP deve continuare a vivere (oppure che ogni trattamento va tolto) compie lo stesso errore del singolo che pretende di giudicare di una condizione di cui non sa nulla (il dolore fisico e morale di uno SVP al massimo uno se lo può immaginare, anzi lo stato che dispone di una scienza medica al suo servizio, permittimi, è in grado di conoscere questa situazione meglio del singolo…).
Ebbene è fondata la pretesa del singolo al testamento biologico? No, perché presuppone 2 dogmi fasulli: (a) conoscenza di ciò che non si può sapere se non provandolo e (b) passaggio indebito da una volontà ipotetica che necessita verifica (o falsifica) ad una volontà attuale che non la richiede. Si risolvano queste due contraddizioni e poi potrò essere favorevole. Sulla rianimazione: ma se uno arriva al pronto soccorso e tramite la banca dati si scopre che nel proprio biotestamento ha dichiarato che non vuole essere rianimato se ciò comporta un probabile SVP, come ci si comporta? Si procede oppure no? E quanto dev’essere la probabilità? E se non si vuole rianimare il soggetto, lo si può sopprimere, visto che l’agonia comporterebbe comunque sofferenza (con ogni probabilità non voluta)?
2) Scusami ma se vale la libertà personale come principio basilare il testamento biologico perché deve valere solo per gli interventi di rifiuto e non quelli di applicazione (se ho ben inteso il tuo commento)?
3) Mah, sai, io non ho visto sinora, e credo nessuno di noi, un morto compiere atti giuridici… Non fosse altro perché condizione indispensabile per farlo è essere vivi, per un morto essere vivo è un tantino difficile. E se anche dopo la morte scoprissimo che la vita può continuare, beh, allora ciò riguarderebbe l’aldilà e non l’aldiquà dove va in scena la vita ed il destino dell’uomo con i corollari etici e giuridici.
4) Qua non ho capito il senso del commento. Se è una situazione nuova perché adoperare strumenti “vecchi” come il testamento ereditario ad una situazione assai differente? Per la morte vedi punto 3.
5) Il comodato d’uso è l’istituto giuridico più idoneo a descrivere la vita; mi pare di avere già mostrato come una concezione proprietaria della vita (tipica degli atei) giunga ad esiti ben differenti da quello che comunemente si intende per proprietà, cioè cade in un’aporia. Pertanto ho parlato di Principio trascendente che serve a spiegare la realtà senza cadere in contraddizione: qui l’aldilà non c’entra nulla. L’esistenza del Principio vale anche se l’anima fosse mortale. Se non vuoi dire Principio diciamo natura, come tu stesso fai, per me va benissimo.
Certo l’uomo è libero, ma può rivendicare la sua libertà fino ad annichilire la sua stessa vita? Se noi riteniamo l’eutanasia o comunque la decisione di porre fine alla propria vita come un atto di libertà, tagliamo la condizione necessaria (la vita) per l’esistenza della libertà stessa. Insomma l’atto di libertà diventa eliminazione della libertà: un’aporia evidente.
6) Qua mi pare tu confermi la contraddizione che ho rilevato al punto 1: sino adesso hai affermato che la volontà individuale vale più di quella statale, qua invece dici che l’interesse collettivo vale più di quello individuale. È chiaro che se vale la prima tesi allora il suicidio che sia fatto in pubblico o in privato poco importa: esso è atto di libertà personale e come tale non può essere leso se a sua volta non reca danno ad altri (al tentato suicida basta questo: che nessuno lo intralci, non servono albi o registri). Vuoi salvarlo? Ok, ma stai imponendo la tua volontà sulla sua, e senza neppure sapere i motivi per cui lo fa, quindi in maniera del tutto arbitraria, senza dimostrare dunque gli interessi di pubblica utilità che prevarrebbero su quelli individuali
Ora, perché nel caso di biotestamento (una volontà formulata sulla base di supposizioni) tutti questi scrupoli non ce li facciamo, mentre per una volontà attuale, manifesta, messa in pratica (quindi ben più reale!) invece improvvisamente emergono (se uno si taglia le vene è un po’ difficile che si tratti di incidente)? Perché facciamo la supposizione che lui non voleva suicidarsi, sulla base peraltro di labilissimi indizi, quando le circostanze mostrano con ogni probabilità che l’intento era proprio quello? Se va rispettata la volontà del primo, va fatto anche per quella del secondo. Se abbiamo dei dubbi sul secondo che ci permettono di impedirne le azioni, allora tali dubbi possono sorgere anche sul primo e portare agli stessi impedimenti.
Dire sì al biotestamento e sì al salvataggio di un suicida non sta in piedi.
Saluti
Buongiorno Michele.
1 – Io riconosco che l’interesse collettivo, in caso di collisione con l’interesse singolo, debba GENERALE prevalere, ma non è sempre così come vorresti intendere tu. Ci sono casi in cui il singolo può limitare l’azione dello Stato su di se, quando ad esempio questa azione non rivesta interesse pubblico. Uno Stato può “violare” l’inviolabile domicilio, ma solo se è necessario per ragioni di sicurezza, pericolo indagine o altro previste da un codice. Per cui è tutto da vedere se l’interesse generale dello Stato a tenere in vita una persona in stato vegetativo permanente debba prevalere sul diritto a rifiutare interventi esterni su se stesso. Bisognerebbe sostenere che è interesse pubblico dello Stato tenere in uno stato vegetativo oltre un certo limite una persona anche contro la sua volontà, quando la stessa persona può rifiutare cure anche vitali. Riguardo alla rianimazione, rileggi bene quello che propongo io, se no mi fai obiezioni non pertinenti. Io non propongo affatto di non rianimare più nessuno al pronto soccorso (ci mancherebbe!): io propongo di permettere che una persona possa dichiarare che se si dovesse in futuro trovare in stato vegetativo permanente da oltre un certo numero di anni (gli anni dopo i quali non ci si può più attendere ragionevolmente un risveglio: mi risulta che statisticamente dopo due anni di stato vegetativo la speranza si riduce al lumicino, ma gli anni possono essere anche 4 o 5, basta che vi sia un ragionevole limite, perchè i 17 anni di Eluana sono un po’ troppi, non ti pare?) vorrebbe rifiutare ogni intervento esterno. Sono due cose diverse, no? Il singolo può sapere tutto ciò che sa lo Stato circa lo stato vegetativo e le speranze di risveglio: basta informarlo così come lo si informa ogni qual volta gli si chiede un consenso, ad esempio per l’espianto degli organi o per una operazione chirurgica importante. Per cui non c’è alcuna maggior conoscenza dello Stato rispetto al singolo che sostenga la maggior autorevolezza dello Stato a decidere per il singolo cosa sia meglio per lui fare in stato vegetativo permanente, anche perchè il singolo può conoscere ciò che conosce lo Stato se viene informato, ma lo Stato non può conoscere la psicologia, le convinzioni, la capacità di sopportazione del singolo se non da sua propria dichiarazione. Proprio per quest’ultimo motivo, se c’è una supremazia di conoscenza dell’uno sull’altro è quella del singolo sullo Stato.
2 – Hai compreso bene. Con un intervento attivo per sopprimere una vita il singolo costringe lo Stato ad andare attivamente contro uno dei suoi princìpi, che è quello di aiutare e sostenere la vita umana. Come se un paziente potesse costringere un medico a prescrivergli medicinali o terapie che il medico stesso giudica nocive. Dunque quale dofrebbe essere il confine fra queste due prerogative? Credo che dovrebbe essere il corpo del paziente stesso: lo Stato può fare entrare nel corpo solo ciò che il paziente accetta, ma il paziente non può obbligare nessuno a fare entrare dentro di sè ciò che lui stesso vorrebbe. Nel caso di momentaneo stato di incoscienza al pronto soccorso deve comunque prevalere l’interesse generale dello Stato a salvare la vita. Nel caso di salvataggio in stato di pericolo di una persona ugualmente deve prevalere lo stesso interesse generale.
3 – Però la legge attualmente opera già sull’aldilà, perchè regola la sepoltura e il testamento, che riguardano momenti che il singolo trascorre da morto secondo intenzioni espresse da vivo. Dunque l’obiezione che tu sollevi, per cui non si può decidere nulla su una condizione che non si conosce perfettamente (come la morte) mi pare non stia in piedi.
4 – Se hai in mente uno strumento diverso da un testamento puoi nominarlo. Se non lo hai in mente, toccherà riferirci ad uno strumento attualmente conosciuto come il testamento.
5 – C’è gente che mette a repentaglio la vita propria per la difesa della libertà (a volte nemmeno sua ma di altri), e che in questa difesa della libertà perde la vita. Secondo la tua interpretazione sarebbe un’aporia. Beh, questa gente la chiamiamo EROI. Allora vuol dire che la vita e la libertà sono due valori allo stesso livello e che perderne uno per difenderne un altro può essere cosa di grande valore. Senza cibo la vita umana non continua; ma l’uno è strumentale all’altra, non necessariamente superiore all’altra. Senza vita biologica la libertà non può esprimersi; ma l’una è strumentale all’altra, non necessariamente superiore all’altra.
6 – Il prevalere dell’interesse della collettività su quello del singolo è a livello generale, ma non è un valore assoluto, perchè vi sono codici che regolano e limitano l’azione dello Stato nei confronti della libertà personale. Se no avremmo che lo Stato astratto è PADRONE del singolo, come negli Stati totalitari. Invece lo Stato tutela e promuove il sigolo. Il valore principale è il singolo, l’insieme dei singoli, non lo Stato astratto. Riguardo al salvataggio di un suicida, (anche sostenendo una forma di biotestamento) chi tentasse di salvarlo sarebbe sempre dalla parte della ragione perchè, oltre a non poter sapere con certezza se si tratta di un tentativo di suicidio, di un’aggressione o di un incidente potrebbe comunque applicare la presunzione di incapacità di intendere e di volere della persona in pericolo per aver cercato di togliersi la vita. Questo riveste certamente un interesse sociale, perchè la società, intesa come comunità di singoli, necessita per la propria tutela che sia sempre rapido ed efficace il soccorso del singolo. Chi vuole togliersi la vita lo faccia rispettando tale necessità di soccorso: se non vuole essere salvato si organizzi bene ma sappia che se qualcuno lo scorge mentre tenta di uccidersi, questo qualcuno avrà sempre ragione se cerca di salvarlo. Oppure si dia da fare per istituire un Albo di chi è interessato al suicidio, tutto da normare sempre col rispetto delle necessità di salvaguardia dell’interesse sociale. Vedremo se ci riesce: a me non interessa aiutarlo. Chi sostiene il biotestamento non cade in contraddizione, perchè il testamento si fa con una dichiarazione a mente lucida, senza che vi sia alcuna situazione di pericolo imminente che confligga con l’interesse sociale ad un pronto ed efficace intervento per la tutela delle persone.
Mi pare che ormai stiamo dicendo e ridicendo più o meno le stesse cose, gli stessi concetti. Io non sono mai riuscito a far cambiare idea a nessuno e non presumo certo di riuscirci in questa occasione, ma mi è piaciuto lo scambio di opinioni e vedute che abbiamo avuto, perchè mi ha arricchito e anche perchè è stato cordiale e rispettoso; cosa rara su internet, e per questo ti ringrazio. Per me può concludersi qui, ma se hai altro da aggiungere leggerò e risponderò volentieri.
Ciao
Caro Massimo,
anch’io credo che ci siamo detti tutto mi sa però che non ci intendiamo: tu hai scritto in uno dei tuoi primi interventi che la libertà personale è un principio basilare in una società dove vivono credenti e non credenti. Libertà personale che per te, come mi sembra chiaro dall’insieme dei tuoi commenti, è la libertà di disporre di se stessi come si vuole. Basilare significa che sta alla base, e su di essa gli altri principi/valori che lo Stato difende si fondano. Di più l’intervento statale è legittimo nella misura in cui serve a salvaguardare questa libertà, ad es. da intrusioni altrui. Non che altri valori siano esclusi (vita, sicurezza, ecc.), ma questi trovano la loro ragion d’essere sulla base della libertà ed in caso di conflitto soccombono.
Bene, se è così, allora tale principio poi va sviluppato sino in fondo e quindi si deve, per coerenza e non per ragioni morali, ammettere una limitazione di questa libertà tramite intervento esterno solo nel caso in cui la stessa libertà personale di altri sia minacciata. Se si limita per altre ragioni che non siano quella succitata, allora automaticamente la libertà personale cessa di essere un “principio basilare” ma diventa un qualcosa subordinato ad altro, come l’interesse sociale, il rispetto della vita, ecc. che può regolare/limitare questa libertà nella misura in cui lo ritiene opportuno.
Fatta questa premessa, io vedo che in tutti i tuoi interventi hai costantemente smentito la “basilarità” di questa libertà. Il testamento biologico per te diventa valido solo dopo alcuni anni di SVP (“costringendo” anche chi non vuole, e ha lasciato scritto così, a stare in tale condizioni per anni), lo escludi nel caso, che ho citato, di una persona che lascia scritto che non vuole essere rianimata (quale sarebbe il superiore interesse sociale che in questo caso autorizza il NON rispetto delle volontà anticipate?), escludi un intervento attivo nell’accelerare la morte benché il soggetto l’abbia richiesto (lo Stato liberale tutela la libertà personale senza entrare nel merito di come il cittadino utilizza la sua libertà, per questo le volontà anticipate sono vincolanti per chi le esegue, e lo Stato deve trovare il personale adatto a eseguirle e farle eseguire). Per questo non accetti che la volontà evidente di un suicida venga rispettata, introducendo surrettiziamente dei vincoli che la limitano (mentre è lecito limitarla solo se nuoce a terzi), adducendo motivazioni quali presunzioni di incapacità (che, ripeto, per limitare la libertà vanno giustificate, altrimenti si tratta di violenza privata) o l’interesse generale (come si definisce e chi lo decide? E’ l’interesse di tutti o della maggioranza? La maggioranza può imporre la sua visione a chi non la condivide?) o addirittura il fatto che il suicida avrebbe dovuto farlo di nascosto! Nondimeno credo tu non ti opponga alla decisione di un’amministrazione comunale di premiare chi ha sventato, consapevole di stare proprio sventandolo, un suicidio. Un atto, quello dell’amministrazione, incomprensibile in un’ottica liberale.
Questi “crampi” logici sono condivisi da tutti coloro che affermano che l’individuo su di sé è sovrano, che nessuno può imporre nulla agli altri, ecc. senza volerne poi trarre le logiche conclusioni. Non è quindi una tua “colpa”. Il motivo per cui sono intervenuto è proprio per mostrare come concetti che noi, occidentali moderni, diamo per fondamentali (“libertà” o “proprietà della vita”, nel caso specifico, ma si potrebbe andare oltre), rivelano, ad una critica neppure approfondita, contraddizioni irrisolvibili, e che vadano radicalmente ripensati.
Un’ultima nota sul punto 5: la tua obiezione è corretta. C’è gente che mette a repentaglio, sacrifica la propria vita per qualcosa che va al di là di essa. E’ vero: neppure la vita individuale, concreta, biologica è un valore assoluto; esistono valori che stanno sopra e che danno senso alla vita stessa.
Però proprio il fatto che esistono valori superiori verso i quali la libertà deve orientarsi se vuole essere nel bene e nel giusto, esclude che la libertà (e la volontà) abbia valore di per se stessa. Quello che invece ritengono i fautori del primato della libertà è che essa abbia valore di per se stessa e quella che essa decide si chiama “diritto”. Il testamento biologico recepisce questa visione: conta solo la volontà, qualunque volontà. Non è possibile un rapporto dialettico con qualcosa che la trascende (i “valori superiori” per i quali uno si sacrifica) e per il quale può essere possibile dare la vita.
Saluti
Michele,
occorre necessariamente trovare un confine fra l’azione della libertà personale e quella della utilità sociale. Non è che l’una sia superiore all’altra o viceversa, visto che, comunque, l’utilità sociale non è contro l’utilità del singolo ma, in caso di collisione di interesse fra le due, a è a favore di tutti gli altri singoli tranne quello in questione. Sono allo stesso livello: una riguarda il singolo, l’altra tutti gli altri singoli. Credo che nuoccia sempre a terzi il fatto di non cercare di rianimare immediatamente chiunque si presenti al pronto soccorso in stato non cosciente, perchè se si ammettesse che qualcuno ha comunque sempre diritto a non accettare la rianimazione in uno, due, tre o più casi, si perderebbe tempo prezioso per tutti, anche per chi vorrebbe essere rianimato, per accertare se il paziente debba essere rianimato oppure no, se il suo caso ricada o no nella lista dei casi precedentemente identificati. Non sento alcun bisogno di complicare la prassi. perchè questo confligge con l’utilità sociale del pronto soccorso, che se non è “pronto” perde di efficacia. Ecco perchè sono contrario ad ogni richiesta di rifiuto della rianimazione: complicherebbe non poco l’efficacia di intervento per salvare la vita a tutti. Figurati poi se è mia intenzione costringere per più del tempo necessario una persona in stato vegetativo se non vuole starci! Ho parlato di 5 anni, per scrupolo di precauzione, ma le statistiche che mi sono state indicate parlano di due anni di stato vegetativo permanente: oltre tale limite i risvegli che si possono attendere sono dell’ordine di decimali per cento, dello zero virgola …. Quindi non mi impunto certo sul limite: che sia scelto un limite ragionevole in base all’attesa di risveglio! Credo che l’1 per cento di attesa di risveglio sia già abbastanza basso per permettere che una persona vi rinunci. Questo si avrebbe già dopo due anni; figuriamoci allora quale percentuale di attesa di risveglio possiamo avere dopo 17 anni! Allora, come primo passo, concediamo almeno i 5 anni. Poi si può sempre migliorare. Al momento non vi è alcuna possibilità nemmeno dopo 20 anni. Per questo che parlavo di nessun passo avanti fatto a 7 anni dalla morte di Eluana; potrebbero esserci state altre 10, 100, 1000 Eluane in questo periodo, ma sarebbe stato necessario in tutti i casi il calvario giudiziario che ha portato alla sua condanna a morte senza prove (perchè dire in una occasione che non si vorrebbe vivere in stato vegetativo non può essere considerato una prova). Questo e’ un abominio, ma preferiamo ricadere sistematicamente nell’abominio piuttosto che affrontare il problema con ragionevolezza. Permettere un testamento bologico in questo senso non toglierebbe nulla al pronto soccorso, perchè non saremmo affatto nel caso di urgenza.
Riguardo l’altro punto che tocchi, penso che i valori superiori verso i quali la libertà deve orientarsi se vuole essere nel bene e nel giusto (per usare le tue parole) debbano essere condivisi dalla società. Viviamo in una società dove la sacralità della vita, cioè il fatto che la vita sia data da Dio, ormai non è più condiviso dalla gente. Io mi chiedo: qual è stato lo “stile” di Gesù? E’ stato quello di imporre con le leggi i valori dall’alto? No, non è stato questo. E’ stato quello di insegnare i valori, anzi quello di esserne testimone? Si, è stato questo. Allora se vogliamo riannunciare il cristianesimo non ci servono leggi. Ci servono testimoni. Ma ci servono in un mondo dove sia libera per ciascuno la risposta da dare, visto che Gesù stesso ha concesso questa libertà. Mi ha sempre colpito come Giuda sia stato lasciato libero di togliersi la vita. Dopo che aveva riportato i trenta denari a chi glieli aveva dati e che si era quindi pentito del suo tradimento nessun angelo è venuto a dissuaderlo dal suo intento suicida. Abramo, invece, fu fermato da un angelo mentre stava per sacrificare Isacco. Per carità, questa è solo una mia interpretazione; ma se Dio avesse voluto impedire il suicidio di Giuda avrebbe certamente potuto intervenire. Non lo ha fatto. Questo è certamente tragico, ma Dio non lo ha fatto. Dio ha rispettato la volontà suicida di Giuda. Intendiamoci: io non sono affatto per lasciar compiere liberamente a chiunque il proprio suicidio senza intervenire per sventarlo (come ti ho già spiegato in un intervento precedente), perchè non voglio che la società in cui vivo sia modellata per legge secondo il racconto della Bibbia: sarebbe una teocrazia. Io voglio che ciascun uomo sia “inter pares” perchè dalla stessa natura è stato generato. Questo è il fondamento della legge umana. E credo di avere le spalle ben coperte, perchè credo che la natura l’abbia fatta il Creatore.
Ciao.
Max
Massimo,
questo è il mio ultimo intervento sul tema, promesso.
Il confine, Massimo, c’è già in uno stato che si dice laico e liberale, e che quindi pone la libertà personale a fondamento, ed è che ognuno è libero di fare quello che vuole senza nuocere ad altri. Ora come si può giustificare il nocumento a terzi da parte di colui che decide cosa fare della sua vita, senza appunto danneggiare gli altri? Tu dici che si complica la prassi: in realtà basta un clic per verificare se la persona in questione ha lasciato un testamento biologico. Se l’ha lasciato ed ha chiesto di non venir rianimato, non c’è interesse sociale che viene leso, proprio perché in un simile Stato il criterio della tutela dell’interesse sociale è il nocumento all’interesse individuale di terzi. Prova ad immaginare cosa sarebbe se l’interesse sociale andasse oltre questo basilare principio (non nuocere) ma investisse altri campi: ben presto avremmo che la libertà individuale sarebbe balìa degli interessi delle maggioranze che via via si avvicendano (perché l’interesse sociale questo è: l’interesse della maggioranza) senza avere più un criterio stabile per distinguere sin dov’è lecito l’intervento statale.
Intervento statale (inteso come spazio ove si afferma la volontà dello Stato a scapito di quella dell’individuo) che tu stesso espandi quando reputi che il testamento biologico vada ammesso solo per taluni casi come lo SVP, ma lo neghi per altre condizioni, che a giudizio del soggetto possono essere ugualmente frustranti. Ora a me pare impossibile giustificare in questo caso, come in tutti gli altri che ho citato (adesso ci metto dentro anche l’omicidio del consenziente), che l’interesse sociale possa schiacciare la libertà dell’individuo che non fa solo che decidere per se stesso: occorre rinnegare i principi sino ad un momento prima sostenuti.
Tu mi dici che Cristo non si è imposto. È vero, Dio ci ha veramente lasciato liberi di fare tutto, anche di rendere questa terra un inferno per noi e per gli altri. Ma qua non è questione di fede: si tratta invece di prendere sul serio le affermazioni dell’ateo, del laico, chiamalo come vuoi, e portarle alle loro estreme conseguenze, facendone vedere le conclusioni contraddittorie a cui portano. È una questione di ragione, dono di Dio affinché la usiamo sino in fondo.
Mi fa piacere, infine, che tu dica che la natura sia il fondamento della legge umana. Significa che esistono valori e beni che sono sottratti al potere della volontà, anzi a cui la stessa (sia individuale che statale) deve in qualche modo “sottomettersi”. Mi fa piacere perché questo già indica il superamento delle contraddizioni a cui porta l’affermazione che alla base di tutto c’è la libertà umana (intesa come autodeterminazione della volontà).
Un saluto,
Michele
Michele,
credo che nessuno firmerebbe per non essere rianimato al pronto soccorso, perchè il desiderio di ciascuno è quello di continuare a vivere, non di morire alla prima perdita di coscienza. Se anche fosse, non basterebbe un click ma occorrerebbe verificare diversi parametri vitali, perchè vi sono stati più o meno profondi di perdita di coscienza. Questo renderebbe l’opera del pronto soccorso inutilmente pesante e lenta e contraria agli interessi sociali. Per cui io non sarei affatto d’accordo nel mettere ad oggetto di un’eventuale testamento biologico la possibilità o meno di essere rianimati: infatti è un’ipotesi avanzata da te (non da me) per arrivare ad una estrema conseguenza paradossale e dimostrare che il ragionamento è sbagliato. Io mi limito a cercare di dare una risposta a chi si appresta, dopo anni già passati così, a passare anche il resto della propria vita in stato vegetativo permanente. I casi in cui, a detta tua, io restringerei la libertà individuale (situazioni frustranti fino addirittura all’omicidio del consenziente) rimangiandomi la difesa della medesima che faccio con il testamento biologico per svp, hanno tutti una caratteristica: la persona può esprimersi e può porre in atto autonomamente le proprie decisioni ATTIVAMENTE sulla sua vita. Per cui non ha diritto di “costringere” lo Stato ad AGIRE CONTRO gli scopi dello Stato stesso nei confronti della vita di ciascuno. Anche l’omicidio del consenziente, a mio parere, si configura in una pretesa del singolo a far si che lo Stato non impedisca a qualcuno di impartire ATTIVAMENTE la morte a qualcun altro. Nel chiedere invece la sospensione di idratazione, alimentazione e terapie in svp non vi è alcun gesto attivo: ci si limita a far valere il proprio diritto di inviolabilità del proprio corpo, visto che non lo si può più esercitare attivamente perchè non si è coscienti. Le ultime questioni teologiche le evito, per non farla lunga.
Ti ringrazio di cuore per questa bella discussione.
Con simpatia.
Max
Si, si tante parole, ma se sei in stato vegetativo di cosa ti preoccupi? Non sei cosciente. Scusa ma perché obblighi qualcuno ad accelerare la tua fine con tutto quel che potrebbe comportare? Rimorso compreso per tutta la sua vita.
La vita non te la sei data da solo, lascia fare al suo Padrone.
E poi scusa ma chi è che ti dà la certezza assoluta che dopo sarà tutto finito??
Questo me lo devi spiegare.
Chi te lo dice che in stato vegetativo uno non sia cosciente. Puoi dire che non può comunicare, ma non che non sia cosciente. Eluana è stata vista sorridere e piangere. Chi la assisteva sosteneva che aveva imparato a comprendere i moti del suo animo. Ma al di là di questo, se hai letto e compreso quello che ho scritto, dovresti convenire che io non voglio obbligare nessuno ad accellerare la fine della propria vita. Io voglio solo che ci sia questa possibilità ( non OBBLIGO ma POSSIBILITA’), cosa che attualmente non è prevista. E lo voglio non per mie convinzioni circa il pardone (non è il massimo come vocabolo … ) della mia vita o di quella di qualcun altro (io sono credente come te), ma perchè lo stesso Gesù in cui credo non ha mai, MAI, imposto nulla a nessuno. Ha sempre lasciato ciascuno libero di ascoltarlo o meno, si seguirlo o meno, di impostare la propria vita secondo ciò che credeva più giusto. E chi sono io, e chi sei tu, per non riconoscere questa libertà a chi la condizione vegetativa la vive in prima persona? In uno Stato dove vivono credenti e non credenti il principio della libertà personale sulla propria vita è basilare. Se lo vogliamo modellare secondo la nostra personale dottrina allora stiamo cercando di costruire uno stato teocratico. A me non interessa. A te si? La certezza assoluta che tutto sia finito non ce l’ha nessuno, ma nemmeno la certezza opposta. E comunque il non accettare più uno stato vegetativo ormai definitivo ti toglie alcuni anni di vita in stato vegetativo, non la vita eterna. Quella la concede il Padreterno, che di ciascuno conosce il cuore e che ciascuno giudica con misericordia. Il peso che ciascuno deve sostenere nella sua vita lo conosce innanzitutto lui stesso, che abbia la fede o che non l’abbia. Non imporre la tua fede per legge: non se ne sente n’è alcun bisogno.
Sulla basilarità del preteso principio della libertà personale sulla propria vita, vedi punto 6 del mio primo commento.
Sul fatto che la vita sia proprietà del soggetto, e che quindi ognuno prende su di essa le decisioni che vuole, vedi punto 5.
“IL corpo è mio e ne faccio quel che voglio io” un cavolo.
Scusa ma chi ti dà la certezza assoluta che poi sia tutto finito?????
Questo me lo devi spiegare: dove sta scritto????
O pensi che chi non è credente sia esente dal giudizio finale?
Un’ ultima nota: Dio non affligge mai con croci superiori alla forza interiore di sopportarle.
Ma bisogna avere avere lo spirito di Dio nel cuore per sopportarle… oppure si soccombe.
Di fronte a simili tragedie è giusto alzare la voce (non tanto i toni) sulle strumentalizzazioni e sull’idea che “tutto è un bene”, ma sempre avere misericordia per chi soccombe.
Spesso poi la misericordia manca solo perchè NON si sono mai vissute simili esperienze e quando capita sulla nostra pelle, c’è solo da temere che la nostra Fede sia insufficiente e si finisca per mormorare contro Dio se non peggio…
Barion, sono d’accordo con il tuo taglio. Lo stato vegetativo è una condizione di queste ultime decine di anni ed è nata perchè la medicina è riuscita a ripescare per i capelli persone che altrimenti sarebbero morte. Ma la situazione di chi vive in quello stato non è affatto naturale. Credo che a tutti dovrebbe essere concessa la libertà di accettare la propria condizione senza interventi esterni. Questo è il limite ragionevole della libertà su se stessi.
Poi Massimo, tanto per essere chiaro, io sono fermamente convinto che sta a Dio la riprendere a sé la vita che ci ha donato che non ci viene tolta ma sola trasformata.
Ma come immagini il discorso si farebbe un tantino complesso (o semplice dipende da come lo si affronta)…
Si, concordo personalmente che stia a Dio riprendere la vita che ha dato a ciascun uomo. Ma se viviamo dove vivono anche persone che a questo non credono dobbiamo lasciare che impostino la loro vita personale liberamente e che non debbano personalmente, cioè per ciò che riguarda esclusivamente la loro personale vita, rispettare ciò in cui crediamo noi. Se no, poi, non lamentiamoci se qualcuno pretenderà un domani da noi che per ciò che riguarda esclusivamente la nostra personale vita dobbiamo rispettare ciò in cui crede lui.
Massimo, è lo stesso ragionamento di chi cattolico, nel ’78 ha votato a favore dell’aborto pur non avendo nessuna intenzione di procurarselo.
Da allora una media di 100.000 aborti l’anno, pensi che quei signori abbiano le mani pulite per questo genocidio?
Come ho scritto prima, i casi limiti strappalacrime sono strumentalizzati per l’ideologia corrente e ci conducono su un piano inclinato che più nessuno riuscirà a raddrizzare.
No, Mary, non è affatto lo stesso ragionamento. Io sono contrario all’aborto perchè nel caso dell’aborto non c’è affatto la sola vita dell’interessato in gioco, ma c’è anche quella del bambino. E io mi permetto di difendere chi non può difendersi. Nel caso del testamento biologico invece ciascuno decide per se stesso e basta, per cui mi pare di non avere alcuna buona ragione per vincolare le scelte di una persona che ricadono soltanto su se stessa. Mi pare evidente, no? Non si tratta di un piano inclinato: si tratta di stabilire una volta per tutte quale sia il confine fra la libertà personale e l’intervento esterno sul singolo.