Da giorni in tutte le trasmissioni mostrano – credendo che i telespettatori siano del tutto rimbambiti, evidentemente – la mappa europea per far vedere che, in tema di “diritti civili”, saremmo da Terzo Mondo: lontani da Germania ed Austria, lontanissimi dal nord Europa. In realtà è l’Italia ad essere sempre stata avanti rispetto agli altri. Da noi la depenalizzazione dell’omosessualità, per dire, risale all’Ottocento (1866) e molto dopo son arrivate Gran Bretagna (1967) – ricordate la galera toccata a Oscar Wilde? -, Germania comunista (1968), Norvegia (1972) e Israele (1988).
Solamente per questo, solo per aver capito in anticipo su quasi tutti che le persone non vanno punite per le proprie tendenze sessuali, prima di accusare ancora la cattolica Italia – che insieme ad altri Paesi sempre guarda caso di salda tradizione cattolica, dalla Francia alla Polonia, ha depenalizzato l’omosessualità quando altri neppure ci pensavano – ci si dovrebbe chiedere se sia il caso di credere ancora alla frottola clamorosa del “fanalino di coda europeo” oppure di iniziare a ragionare con la propria testa, facendo i conti con la realtà storica dei fatti e smettendola di ripetere slogan.
Anche perché, se vogliamo lo sguardo ancora più in là nel tempo, scopriamo come l’Italia fosse l’indiscussa patria del diritto quando nel resto d’Europa – a esser buoni – non sapevano neppure cosa diavolo fosse. E secoli e secoli dopo, è cambiato solo questo: il resto d’Europa, a differenza d’un tempo, ora crede di sapere cosa sia il diritto, ma l’Italia ne è ancora la patria. E se in tema di famiglia e di matrimonio una parte del Paese, nonostante tutto, seguita a pensarla come Aristotele e Cicerone e i Padri Costituenti e l’altra segue Monica Cirinnà, Luxuria e Barbara d’Urso, francamente, non devo stia il problema. Nello schierarsi dalla parte giusta, intendo.
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In realtà le cose non stanno proprio così. Il codice penale in vigore nel 1866, anno da lei indicato, era quello del Regno di Sardegna, il cui articolo 425 recitava quanto segue: “425 ~. Qualunque atto di libidine contro natura, se sarà commesso con violenza, nei modi e nelle circostanze prevedute dagli articoli 489 e 490, sarà punito colla reclusione non minore di anni sette, estensibile ai lavori forzati a tempo: se non vi sarà stata violenza, ma vi sarà intervenuto scandalo o vi sarà stata querela, sarà punito colla reclusione, e potrà la pena anche estendersi ai lavori forzati per anni dieci, a seconda dei casi.”
Il codice penale sardo del 1859, valido in Piemonte, Savoia, Val d’Aosta, Liguria e Sardegna, fu esteso nel 1859 alla Lombardia, nel 1860 a Emilia-Romagna, Marche e Umbria, nel 1866 al Veneto e nel 1870 al Lazio.
Tutto il Meridione era escluso, quindi, paradossalmente, era reato penale essere omosessuale a Milano o Torino, ma non a Napoli o Palermo.
E’ solo col Codice Zanardelli del 1889 che si può parlare di depenalizzazione dell’omosessualità per l’Italia.
Il che, naturalmente, nulla cambia nella sua classifica, ma rende con maggiore precisione i dati storici.
Grazie dell’utile precisazione.
Di nulla 🙂