Senato

 

 

 

 

 

Se la matematica non è un’opinione, al di là del Family Day del prossimo 30 gennaio – che si annuncia oceanico -, un fatto è chiaro: il ddl Cirinnà non potrà essere approvato. Non al Senato, almeno. Lo dicono i numeri: a Palazzo Madama, dove siedono 321 senatori (compresi quelli a vita), la maggioranza assoluta è a quota 161. Bene, con una ventina di senatori del Partito Democratico contrari alle unioni civili, il PD da 112 seggi scenderebbe a 90. Questo significa che, anche col pieno sostegno dei 5 Stelle (35 senatori), Sel (7) e qualche dissidente di Forza Italia (che in tutto conta appena 41 senatori) – e col parere contrario di Area Popolare, il gruppo di maggioranza nato dalla fusione di Ncd e Udc (31 senatori) – il ddl Cirinnà al Senato non passerà. Una eventualità che gli osservatori ora considerano con sempre più realismo.

«Tra i renziani fedeli, che restano la stragrande maggioranza, e ai piani alti di palazzo Chigi si va diffondendo l’idea che questa volta le mediazioni sono difficili assai, che la partita si può giocare non necessariamente portando palla. Insomma, si può anche mettere nel conto di perdere. Sarebbe la prima, vera sconfitta di Renzi leader del Pd», scrive sul Messaggero Nino Bertoloni Meli. Questo scenario politico già delicatissimo – unitamente a tutta una serie di sondaggi, che vedono solo il 46% degli Italiani apertamente favorevole alle unioni gay (Ipr Marketing, 2016) – mette Renzi in una condizione estremamente difficile. E il solo modo di uscirne, per lui, è quello di non far passare il Cirinnà come una lotta propria. Del resto «sbaglia chi non coglie la portata del Family Day»: parola di Renzi, 6 giugno 2007. Sarà dunque difficile, per il Premier, commettere un errore così grossolano, che lui per primo denunciava quasi dieci anni fa.

giulianoguzzo.com