Povero Giovanni Scialpi, si trova in ospedale per un intervento ma il “marito” Roberto – riferisce il Corriere.it – «non può assisterlo». Come mai? «Per la sanità e per lo Stato sono un perfetto sconosciuto» lamenta su internet, chiedendo una rapida approvazione della legge sulle unioni civili, l’uomo a cui sarebbe impedita l’assistenza dell’amato ricoverato. Una vicenda che, se fosse vera in questi termini, potrebbe indignare; tuttavia il condizionale qui è d’obbligo dal momento che un dubbio ci assale: quale sarebbe la Legge dello Stato Italiano che ora sta impedendo a Roberto di assistere Gianni? Nel breve articolo del Corriere.it – stranamente – non si fa riferimento alcuno alla spietata norma in nome della quale una struttura ospedaliera, oggi, potrebbe impedire ad un convivente di stare vicino alla persona amata.
C’è di più: dando un’occhiata a quanto prevede il nostro ordinamento, non solo non si trova la Legge che negherebbe al cantante Scialpi il diritto di farsi assistere dal partner, ma si trovano disposizioni molto chiare rispetto non già alla possibilità bensì all’obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (art. 3 L. n. 91 1999), nonché ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità cui un convivente anche dello stesso sesso ha diritto (art. 4 L.n. 53 2000). Ora, possibile che la Legge da un lato obblighi i medici ad interfacciarsi – in casi gravi, come sono i trapianti – coi conviventi e dall’altro cacci questi ultimi fuori dall’ospedale? E i medici dove diamine dovrebbero informare una persona dell’eventuale trapianto del convivente? Al bar? Nel parcheggio del nosocomio? Su Skype? Qualcosa, evidentemente, non torna.
E poiché le Leggi poc’anzi ricordate – in particolare la n.91 del 1999 – sono chiare e individuate, mentre quanto mai misteriosa risulta quella che sciaguratamente impedirebbe al convivente di prestare assistenza ospedaliera al proprio partner, il dubbio che quest’ultima non esista neppure, a questo punto, per un elementare ragionamento logico, viene. Tanto più, dulcis in fundo, che se si va a leggere l’ultimo Disegno di legge sulle unioni civili – il cosiddetto Cirinnà bis – laddove questo regolamenta la reciproca assistenza (art. 12) non si rintraccia, neppure qui, l’ombra di una disposizione che sarebbe da abrogare. Insomma, il diabolico divieto che impedirebbe ad un convivente di prestare assistenza all’altro – posto che non si ha notizia di mariti o mogli cui venga intimato, per poter visitare il coniuge, di esibire prima il certificato di matrimonio – sembrerebbe avere un sapore inconfondibile: quello della bufala.
giulianoguzzo.com
PS. Un’amica giurista, l’avvocato Monica Boccardi, ha scritto a questo intervento un commento molto chiaro ed utile, che riporto integralmente: «Nella realtà giuridica, la normativa di riferimento è la legge sulla privacy. Ma nel caso di un ricoverato che non sia giunto in coma, la prima cosa che fanno i medici è proporre al paziente la compilazione di un’autorizzazione relativa alla possibilità di comunicazione dei dati con l’indicazione della o delle persone a cui possono essere date informazioni sulla sua salute.
La normativa che richiama l’ottimo Giuliano Guzzo, copre invece l’ipotesi in cui il paziente sia in co…ma irreversibile e quindi il consenso alla donazione di organi debba essere rivolta ai più prossimi parenti o al convivente.
Ma vi è di più: La persona ricoverata in ospedale ha DIRITTO a ricevere visite ed assistenza dalle persone che preferisce, siano esse parenti od amici e quindi anche il convivente.
Solo se versa in stato di incoscienza e non può quindi esprimere la sua volontà potrebbe sorgere qualche problema.
Il convivente (dello stesso o di diverso sesso) potrebbe ad esempio non riuscire ad avere informazioni sulle condizioni del compagno o incontrare difficoltà a visitarlo e assisterlo. Il problema può essere risolto con una dichiarazione autenticata dal notaio, fatta quando si è capaci di intendere e volere, nella quale si esprime la volontà di essere assistito dal proprio compagno e si autorizzano i sanitari a fornire allo stesso le informazioni sul decorso della malattia. Infatti, ai sensi dell’art. 82 della legge n° 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, è espressamente previsto che si possa delegare un terzo ad acquisire i dati personali relativi alla propria salute (estratto da Vivere Insieme Diritti e Doveri dei conviventi a cura di FEDERNOTAI).
L’autorizzazione sottoscritta dal paziente, ovviamente, riguarda anche l’accesso alla stanza e alla cura del paziente ricoverato. In conseguenza di questo, è evidente che le ipotesi sono solo due: o Scialpi ha negato l’accesso al suo convivente oppure “qualcuno” sta dicendo cose non vere…Lo scopo è evidente…».
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Ascoltando poi la trasmissione “La zanzara” di Radio24, vine trasmessa la telefonata di un operetore sanitario non meglio identificato, che dichiara che il sig. Roberto non sarebbe stato neppure presente alle fasi pre e post dell’intervento, ma sarebbe stato informato telefonicamente da terza persona.
L’eventuale dinego ad aggedere alla struttura o camera si può essere verificata solo se non sono stati rispettati gli orari di visita (che valgono per tutti).
“La zanzara” non è certo il massimo del’attendibilità e la telefonata arrivata andrebbe verificata, ma se fosse come raccontato, la vicenda avrebbe tutta l’aria di un “caso” montato ad arte…
dovevano chiamare te, fra una gestione e l’altra del costanzamiriano, in Irlanda o negli USA per bloccare l’onda non solo montante ma annichilente del’omosessualismo: che peccato; però son certo che la tua meritevole opera in Italia darà ricco frutto.
Già la telefonata di un tal “Franco” che di esplicitamente che il nome è falso (chissà forse teme ritorsioni dagli squadroni della LGTB) e che non dichiara manco il suo ruolo in sala operatoria. O che grande scoop!
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Caro Giuliano questa si chiama propaganda.
Ottenere il consenso anche con bugie…
Grazie del tuo lavoro! Ne abbiamo bisogno!
L’ha ribloggato su Il blog di Leonida.
Ecco che anche l’avvocato ti dice che le cose non stanno come credi: in caso di incoscienza le tue idee contano ben poco. Uno si dovrebbe premunire prima con questo fantomatico documento, ma poi come è? Te lo devi sempre portare appresso in caso d’incidente? E se non l’hai con te? E se dei terzi, tipo i genitori, lo contestano? Che valore ha davvero questa dichiarazione ? Regge in tribunale ? E infine: quanto costa la dichiarazione dal notaio?
È una semplicissima procura generale con firma autenticata da notaio. Ha valore legale erga omnes. Per contestarla bisogna dimostrare che è falsa o che chi ha firmato non era sano di mente al momento della sottoscrizione (mica facile… e nel frattempo vale lo stesso). E deve essere in possesso (basta copia semplice) del delegato. Cioè di chi è autorizzato ad agire per conto del malato. Esibita con un valido documento d’identità, dà diritto di agire in ogni campo, compresa la sanità (ove espressamente citata nell’atto). Quindi nulla di complicato o costoso…
Di certo c’è una delibera del garante della privacy http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1656642 che consente al convivente di ottenere la cartella clinica del defunto. Per il resto ciascuna struttura sanitaria di assistenza pubblica e privata disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso del convivente per fini di visita e di assistenza nel caso di malattia o ricovero dell’altro convivente. Per cui prima di gridare alla mistificazione occorrerebbe maggiore cautela e conoscenza del caso concreto
Non so perché, ma immagino che un medico del pronto soccorso veda questa “procura” come carta straccia. Procura che peraltro sarà molto costosa, no? Quanto costa farmi assistere dal mio convivente, 1000 euro ? E con quanti fogli e foglietti bisogna poi andare in giro, per avere qualche diritto? E se lo si dimentica ? Il convicente crepa solo, immagino. Ma lo capite che questo teorema di carte bollate è solo una umiliazione per i conviventi ?
Il medico, del P.S o meno, non può permettersi di trattare una procura come carta straccia: se poi il paziente gli chiede i danni, li paga eccome! E non è affatto “costosa”… le tariffe notarili prevedono, per gli atti più semplici compensi che vanno da € 50 ad € 900, e poiché l’autentica di firma è quello più semplice in assoluto, sicuramente non può superare i 2/300 €. Quanto a portarla dietro, si tratta di un foglio A4, in fotocopia, che sta tranquillamente piegato in un portafoglio.
E non vedo proprio l’umiliazione dove stia, visto che il medesimo atto può riguardare atti bancari, compravendite, ed ogni altro atto giuridico che il delegato può compiere con procura generale.
Peraltro, senza delega nemmeno moglie e marito o figli, possono accedere alle cartelle cliniche dei malati viventi, se il paziente non ha autorizzato l’accesso. Quindi dov’è la discriminazione?
Smettiamola di arrampicarci sugli specchi per difendere una posizione che invece di indurre a pietà ha dimostrato solamente strumentalizzazioni e negazioni della realtà dei fatti!
Certo! Molto più agevole approvare una legge a tutela del nulla più totale e narcotizzare l’opione pubblica con il lamentoso vittimismo gay piuttosto che farsi autenticare una delega da un pubblico ufficiale
In effetti è più agevole il cambio di legge, perché p valido per tutti e non richiede ad n persone di recarsi da n notai per n autenticazioni, che stante l’ignoranza giuridica del nostro paese possono benissimo essere ignorati, a meno che non ci sia un giudice con tanto di toga in ogni pronto soccorso.
Fai bene a fare l’ultimo giapponese nella giungla, giuliano, ma qui scialpi o io o te o giovanardi ( anche con o senza l’utero in affitto) possono poco ormai: pare che l’inerzia sia inarrestabile ;
ti posto mia cognata, senatrice: https://www.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=uAN5_bBZRew&app=desktop
Scialpi fatti una pera, racconti balle. Puzza un po di falso visto che da anni esistono disposizioni molto chiare rispetto all’obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (art. 3 L. n. 91 1999), nonché ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità cui un convivente anche dello stesso sesso ha diritto (art. 4 L.n. 53 2000). Non solo ma ai sensi dell’art. 82 della legge n° 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, è espressamente previsto che si possa delegare un terzo ad acquisire i dati personali relativi alla propria salute (estratto da Vivere Insieme Diritti e Doveri dei conviventi a cura di FEDERNOTAI).
L’autorizzazione sottoscritta dal paziente, ovviamente, riguarda anche l’accesso alla stanza e alla cura del paziente ricoverato. I casi sono due o i novelli sposi sono già in rotta o stanno rompendo per i soliti 5 minuti di notorietà
Nel caso si Scialpi ci si riferiva al diritti ad avere informazioni quanto hai portato un tuo familiare in ospedale e operato d’urgenza, quindi non trapianti, non per messi retribuiti, non altro.
Ma quante storie! Nei fatti a Milano, in tutti gli ospedali, se accompagni qualcuno, seppur in coma, i medici ti parlano e ti spiegano tutto quello che c’è da sapere, anche dopo interventi chirurgici. Nessuno ti domanda il grado di parentela, perché automaticamente sei un referente e vale il buon senso.
Mi è capitato di accompagnare amici persino per T.S.O. (su richiesta dei familiari) e i medici mi hanno parlato apertamente oppure di essere accompagnata da persone senza parentela con me ed è sempre stata la stessa cosa: solo ai gay fanno problemi? O è un problema solo dei piccoli centri?
A me sembrano proteste su fatti inventati o talmente sporadici da non metterli nemmeno in conto…
Forse a Milano siete in Burundi, in tutti gli ospedali vogliono sapere non chi parlano, non certo al momento del ricovero, se mi porti uno ferito quello che mi importa e se mi sai dire qualcosa sul suo stato di salute, non certo chi sei, ma se devo dare informazioni, in quanto medico, devo sapere con chi parlo.
A Milano siamo nel Burundi??? Lo dica a tutti quelli che, per curare certe malattie particolarmente difficili, arrivano qui da tutta Italia…
Consuelo Cecconi, le strutture “disciplinano” le modalità di visita nel senso che possono (e lo fanno), prescrivere orari per le visite, vietando l’accesso nei momenti in cui vengono espletate le visite mediche, le medicazioni, le pulizie la distribuzione dei pasti ecc. I reparti di terapia intensiva poi, addirittura hanno modalità ristrettissime di accesso, per ovvi motivi. Questa limitazione, quando è in vigore, non è relativa, ma assoluta e riguarda chiunque, mogli, mariti, padri, madri e figli compresi.
Questo non toglie che, se il paziente ricoverato, al momento dell’accesso, o in precedenza con un atto notarile, dichiara che la tal persona (indipendentemente dal suo ruolo, potrebbe essere anche un perfetto sconosciuto…) ha delega a compiere atti per suo conto ed è autorizzata all’accesso alla sua documentazione sanitaria e ad accedere nel luogo del ricovero, nessuno può opporsi alle visite, ovviamente negli orari consentiti.
Tanto è vero che “pare” che un medico abbia telefonato a La Zanzara, per dire che il convivente di Scialpi si sarebbe presentato in orario in cui non sono consentite le visite e che solo per questo motivo sia stato inizialmente respinto, per poi entrare come tutti gli altri visitatori al reparto.
Ho scritto “pare” perché ovviamente non c’è conferma; ma una cosa è certa: il “diritto” di visita non fa capo a chi si reca in ospedale, ma a chi vi è ricoverato, che ha diritto all’assistenza da parte dei suoi cari…
Ancora una volta siamo di fronte ad un ribaltamento dell’ottica giuridica che comporta un rovesciamento dei ruoli attivi e passivi.
E se continuiamo così non manca molto che finiamo per accettare le teorie di De Sade…
Veramente scialpi non tira in ballo il diritto alla visita nell’intervista, ma quello all’informazione.
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Con tutto il rispetto per le idee di ciascuno, l’articolo è privo di contenuti validi ed è evidentemente scritto da chi non comprende la portata della normativa vigente e, infatti, la fraintende.
Le argomentazioni portate dall’autore, in breve, sono tre: 1) non esiste una legge che neghi al partner il diritto di assisterlo; 2) la Legge prevede l’obbligo dei medici di informare il partner circa i trapianti e prevede il diritto del convivente dello stesso sesso ad ottenere permessi di lavoro per malattia del compagno; 3) nel Disegno di Legge c.d. Cirinnà bis non si legge alcuna “disposizione che sarebbe da abrogare”.
1) La prima argomentazione non ha alcun senso, né logico, né giuridico. È certamente vero che non esiste una legge che espressamente neghi al partner il diritto di assistenza ospedaliera, ma le norme non hanno sempre contenuto negativo espresso. Le norme spesso negano anche indirettamente, attraverso l’identificazione puntuale di soggetti che sono autorizzati a fare determinate cose, escludendo, implicitamente, tutti gli altri. Se si seguisse l’assurdo ragionamento dell’autore, ci sarebbe la necessità di avere norme che negano – esempio per assurdo – ai procioni di assistere un malato (l’esempio è volutamente forzato, ma se sostituisci procioni con “spazzini del comune di residenza” diventa più comprensibile). In sintesi: esistono norme che negano implicitamente al partner il diritto di assistenza.
2) La seconda argomentazione si divide in due sotto-argomentazioni: il diritto di essere informati sui trapianti e il diritto di permesso di lavoro per assistenza del partner. Quanto alla seconda, l’autore non ha letto o non ha compreso la portata della norma. È vero che esiste l’art. 4 L.n. 53 2000 ma in tale articolo si prevede il diritto di permessi retribuiti per malattia del convivente dello stesso sesso. La chiave dell’errore di comprensione risiede in “convivente”. Cosa succede infatti se una coppia dello stesso sesso, legata da un rapporto affettivo non convive per motivi di lavoro? E cosa succede invece se una coppia di coniugi (addirittura separati) non convive per motivi di lavoro (o di separazione)? Ebbene la norma nega – implicitamente – il permesso di lavoro alla coppia stabile che però non convive, facendo espresso riferimento al concetto di “famiglia anagrafica”. Invece per i coniugi, il problema non si pone: sempre possibile avere permessi per malattia del compagno/a. Quanto al diritto di essere informati sui trapianti, l’argomentazione è miope: essere informati è ben diverso dal poter autorizzare operazioni urgenti o trattamenti urgenti e necessari. Essere informati non vuol dire poter decidere, in casi di impossibilità da parte del compagno/a malato/a, cosa fare. Certo il partner sarà informato, ma sarà informato di una scelta fatta da altri parenti del malato, proprio perchè il partner non ha questo diritto.
3) L’ultima argomentazione è risibile ed è causa dell’ignoranza dell’autore del funzionamento giuridico dell’abrogazione di norme. È evidente che l’autore ignora la differenza tra abrogazione tacita e abrogazione espressa, tra abrogazione parziale e totale: i divieti sopra ricordati possono essere abrogati tacitamente da norma giuridica successiva che contenga disposizioni in senso opposto e contrario a norma precedente. Dulcis in fundo tale ultima errata argomentazione fa riferimento ad un disegno di legge che non è ancora stato approvato e dunque si parla di aria fritta.
Rispetto le opinioni di tutti e ciascuno è libero di pensare che una cosa sia giusta o sbagliata, ma questo articolo è pieno di disinformazione, di basso livello.
Nella foga di dare a tutti, e soprattutto a Giuliano Guzzo, dell’ignorante, con tutto il rispetto quanto vuole, ma in realtà con una totale assenza di delicatezza e di vero rispetto, ha scritto cose giuste completamente sbagliate.
Infatti, ancora una volta, anche lei cade nell’errore di considerare titolare del “diritto di visita” non il malato, ma la persona che desidera visitarlo: il diritto appartiene al paziente che è il solo ad avere il diritto di “vietare” o “consentire” l’accesso ad altri, sia fisicamente alla stanza in cui è ricoverato, sia alla documentazione ed alle informazioni che lo riguardano.
Ciò comporta che tutto il suo ragionamento sia viziato e giuridicamente inesatto, nonché inutile al fine di definire la situazione di cui si discute.
Alla fine, ciò che conta è che se Scialpi vuole essere assistito e visitato dal suo amico, o da chiunque altro, è l’unico ad avere il diritto di consentirlo o vietarlo.
Ma soprattutto questo varrebbe anche se, invece che di Scialpi, si stesse parlando di X e Y marito e moglie sposati in Comune da 20 anni.
Spiacente ma il diritto alla visita per esempio in capo ai coniugi e ai figli c’è eccome, semmai è il paziente che può rifiutarli per ragioni personali, ma non è vero che il diritto alla visita sia in capo al quest’ultimo dal momento che non c’è in altri un obbligo alla visita
Devo purtroppo essere in disaccordo con lei: il diritto di assistenza, di visita e di decisione in merito ad un malato non ricade solo in capo al malato stesso. Parenti, familiari, conviventi e addirittura lo Stato, hanno parte di questo diritto ed è giusto che sia così. Le assicuro che nel nostro ordinamento giuridico non è l’unico esempio (basti citare, tra i tanti, il diritto dei nonni di avere un rapporto con i nipoti, il diritto dei genitori coi figli eccetera eccetera).
Sbagliato, Stefano, non è diritto dei nonni avere rapporti coi nipoti, ma diritto dei minori delle coppie separate mantenere rapporti continuativi con entrambi i rami famigliari. Come al solito invertiamo i soggetti attivi e passivi a piacimento… e quello dei genitori è prima di tutto un dovere e solo in secondo luogo un diritto. Ancora una volta al contrario di quanto si sbandiera.
E ribadisco che il punto nodale del discorso è la privacy, che fa capo al paziente e non ad altri. Tanto è vero che se in grado di intendere e volere il paziente deve firmare il modulo di autorizzazione in ospedale anche per consentire le informazioni ai parenti stretti e al coniuge. Al punto che nemmeno i genitori di un minorenne in grado di decidere possono avere informazioni sulla sua salute se non vuole. Al punto che lo Stato consente l’aborto a una minorenne senza che i genitori lo sappiano, con la sola autorizzazione del Giudice tutelare. Quindi di che stiamo parlando?
Remo non è detto che ad un diritto corrisponda un dovere da parte di qualcuno. Il diritto del paziente, in questo caso è nei confronti non dei parenti o amici, ma dell’ospedale che non può negare l’accesso se autorizzato dal paziente, che per legittimi motivi, come ad esempio per lo svolgimento delle visite mediche, l’igiene durante la distribuzione dei pasti ecc.
Invece il “diritto” di visitare non esiste, ma è la conseguenza del diritto a ricevere assistenza da parte del paziente.
I parenti più stretti hanno diritto di visita, nessuno glielo può impedire a parte l’interessato stesso. E’ ovvio che un diritto non è mai assoluto e che trova limiti del diritto di altri, in questo caso quello del malato a non voler vedere determinate persone. Ma mentre gli addetto dell’ospedale hanno tutto il potere di evitare a uno sconosciuto di venire a trovare una persone, non hanno tale potere nei confronti di parenti stretti quali coniuge o figli perché questo hanno appunto un diritto di visita.
Caro Stefano,
vedo che predilige il ragionamento schematico, dunque le rispondo allo stesso modo.
1) Lei fa una interminabile lectio magistralis e poi ci saluta sul più bello, senza darci neppure un esempio di norme che negano implicitamente al partner convivente il diritto di assistenza: la ringrazio dunque per aver pienamente confermato il mio intervento «di basso livello»;
2) Nel mio articolo ho alluso – ripetutamente, fra l’altro – alla coppia convivente, lei mi cita la “una coppia stabile che però non convive”: e che c’azzecca, scusi? Tanto più che “una coppia stabile che però non convive” è nelle stesse condizioni sia che sia di persone di sesso diverso o uguale, fermo restando che il problema – come l’amica avvocato Boccardi pazientemente evidenzia – è del tutto superabile (se c’è la volontà di farlo) con una banalissima procura generale con firma autenticata;
3) Non ho affatto messo in discussione “la differenza tra abrogazione tacita e abrogazione espressa, tra abrogazione parziale e totale” – che con piglio cattedratico lei mi rimprovera d’ignorare -: ho semplicemente scritto una cosa VERA: che nel disegno di legge in questione non c’è traccia (come neppure nel suo autorevolissimo intervento, d’altra parte) di alcun divieto assistenziale né implicito né esplicito al convivente. Non so, infine, se parlare delle unioni civili sia «aria fritta», ma ad averlo fatto per primi sono Scialpi e “marito”: se la veda con loro.
Saluti e buone cose.
Scusi ma il notaio vuole i soldi e se uno e’ indigente come me??? Il notaio lo paga lei o e’ gratuito??
Sig.Guzzo il notaio costa lo sa??? E se uno non ha i soldi per pagare il notaio cosa fa? Glielo paga Lei? O esiste un notaio per non abbienti??
Il notaio e’ a pagamento cioe’ vuole i soldi!!! E se una coppia gay non ha i soldi? Il notaio lo paga Lei? Visto che apre la bocca per dire cazzate apra il suo portafoglio e paghi il notaio.
Direi che il problema di Scialpi si è risolto da solo: http://www.corriere.it/spettacoli/17_ottobre_24/scialpi-si-separa-io-roberto-non-siamo-piu-marito-marito-c848e3da-b8b1-11e7-a7ba-70fb0e628aa0.shtml
Autorizzazione autenticata da un Notaio??? Il notaio autentica gratis o vuole i soldi?? Lo paga lei il notaio?? Esistono gay che il notaio non possono permetterselo