«Se la coppia decide di annullare le nozze…», si legge in una dichiarazione da parte di un avvocato rotale di lungo corso. E sempre di «annullamento» si riferisce – come chiunque può constatare – in chissà quanti titoli su giornali, portali web, perfino alcuni che si dichiarano cattolici. C’è quindi da rabbrividire pensando che il primo, vero effetto che la notizia della riforma del processo sulla nullità dei matrimoni – stabilita con due lettere Motu Proprio datae di Papa Francesco, Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus – sta producendo è quello di ricordare la confusione che, spesso anche fra persone molto istruite, regna sull’indissolubilità matrimoniale, realtà umanamente non tangibile (cfr. Mt 19, 3-6), altro che annullabile.
Si noti che non è questione di lana caprina giacché se due persone desiderano sposarsi in chiesa pensando – magari perché disinformate da altri – che il vincolo che prossimamente si apprestano a contrarre sia annullabile, probabilmente non sanno ciò che stanno facendo; nel senso che ignorano sia l’identità del matrimonio cristiano sia, di conseguenza, la differenza fra un atto ab origine nullo – che dunque mai è stato valido, a prescindere che il processo che lo ha riconosciuto tale sia stato lento, veloce o velocissimo – e uno che invece, essendo valido ieri, non potrà essere mai annullato. Da nessuno. Sull’importanza delle parole quindi non si scherza, e l’insistita confusione fra nullità e annullamento fa pensare che la bellezza di molti matrimoni cristiani sia, se non annullata – questa sì -, almeno incompresa. E non è poco.
Una gran caciara che tra l’altro non serve a nulla a mio avviso.
Non si potrà comunque ricevere la Comunione quando sarà sciolto il voncolo del matrimonio religioso, o c’è qualcuno che è convinto del contrario?
Per ricevere la Comunine degnamente o non si devono avere raporti sessuali oppure, diversamente, ci si deve sposare di nuovo con rito religioso.
Il matrimonio cristiano potrà anche essere definito (dai cristiani) indissolubile, ma di fronte ai tanti e tali motivi di nullità mi pare che l’alternativa sia secca:
– se uno è davvero cristiano, non incorrerà mai nei motivi di nullità disponibili, che sono così abbietti che un cristiano dovrebbe vergognarsi solo a pensarli: simulazione, errore, violenza, età, vincolo precedente, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo stesso delle nozze (sic!)…
– se uno non è davvero cristiano (ma si sposa in chiesa), allora la nullità è ancora più facile del divorzio: basta la la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici – e si sa che un medico certifica tutto.
Insomma, a me pare che il matrimonio cristiano – viste le tantissime ipotesi di nullità, a maglie larghissime – è come se prevedesse il divorzio, ma (im)pudicamente mascherato da nullità.
E comunque, se basta provare la riserva mentale, altro che divorzio breve: qui è brevissimo e facilissimo.
O mi sbaglio?
Un nuovo dramma Cattolico, dopo quello di Hochhuth: “La Tradizione contro il Papa Modernista” oder auf Deutsch “Die Überlieferung gegen Franz”
No Manlio, non è come crede lei. I casi di nullità sono pochissimi, infatti quello riguardante la fede è stato introdotto ora.
E non esiste un canone “di mancanza di uso di ragione”, esistono due canoni di impedimenti psichici e psichiatrici, per i quali non basta un certificato medico, come ipotizza lei, ma occorrono perizie, testimonianze, documenti e quant’altro.
Quello che a mio avviso non va nella riforma del canone è invece il fatto che se due coniugi, concordemente, chiedono la dichiarazione di nullità affermando di non essere stati a conoscenza delle verità della fede, senza processo, solo sulla loro parola o al massimo qualche testimonianza, il vescovo gliela concede.
Come dire: i celebranti sono sempre gli sposi, dall’inizio alla fine, un bricolage insomma.
Gentile Ester,
non sono esperto di diritto canonico, ma una laurea in giurisprudenza e una discreta pratica giuridica penso mi consentano di poter interloquire.
Traggo il passo seguente dal Motu Proprio (dato a Roma il 15 del mese di agosto da papa Francesco) Mitis Iudex Dominus Iesus, in particolare dalle Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale annesse al documento papale:
Titolo V – Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo
Art. 14 § 1. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.
E’ interessante notare che l’elencazione delle circostanze che consentono la trattazione della causa di nullità del matrimonio è solamente esemplificativa e non esaustiva, il che significa che, oltre a quelle specificate, ci possono essere anche altre circostanze (per la cui individuazione non mi pare siano offerti criteri ermeneutici precisi).
Ciò mi fa concludere che non parrebbe corretto sostenere, come fa lei, che i casi di nullità sono pochissimi: sono, invece, diversi, differenti e suscettibili di interpretazione piuttosto lata.
Inoltre, e soprattutto, contrariamente a quanto lei afferma, il canone “di mancanza di uso di ragione” esiste eccome, in quanto citato espressamente e direttamente nel Motu Proprio.
Non le sembra, pertanto, gentile Ester, che lei debba rivedere le sue affermazioni?
Cordiali saluti.
Mi pare che lei confonda i casi di nullità con le circostanze che possono portare ad un celebrazione rapida del processo canonico di nullità.
Per i primi vedasi ad es. “http://www.siti.chiesacattolica.it/pls/siti/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=938”
Gentile Michele,
il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo può portare alla dichiarazione di nullità del matrimonio allo stesso modo del processo ordinario: qualora si accerti che si è verificata una delle circostanze (che consentono di accedere al rito abbreviato) indicate dalle nuove norme (ad esempio, risulta che un coniuge ha scelto di permanere ostinatamente in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo), il Vescovo dichiarerà la nullità del matrimonio.
Allo stesso modo, accertata l’esistenza di un’altra circostanza indicata dal Codice di diritto canonico, il matrimonio sarà dichiarato nullo: ad esempio, qualora si accerti che vi è (o vi fu) la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.
Le (nuove) circostanze consentono di accedere al (nuovo) rito, nel senso che adducendo quelle circostanze si potrà adire il Vescovo: ma se il Vescovo ritiene che le circostanze addotte sono realmente esistenti, dichiarerà nullo il matrimonio.
Come vede, parrebbe più facile per i coniugi sposati in chiesa ottenere
il divorziola dichiarazione di nullità.Il Vescovo dichiarerà nullo il matrimonio se riscontrerà presenti i casi di nullità già esplicitati nel link che ho inserito prima. A questi non mi risulta siano stati aggiunti altri, come se adesso fosse sufficiente la brevità della convivenza coniugale per dichiarare nullo il matrimonio!
Pertanto non è vero che “se il Vescovo ritiene che le circostanze addotte sono realmente esistenti, dichiarerà nullo il matrimonio”. E’ vero solo che se le circostanze addotte sono realmente esistenti allora si può chiedere il “rito abbreviato”, anche se mi rendo ben conto della leggerezza con cui il passo del motu proprio è stato scritto.
http://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-rubrica-settimanale/
se due persone desiderano sposarsi in chiesa pensando – magari perché disinformate da altri – che il vincolo che prossimamente si apprestano a contrarre sia annullabile
Bisogna vedere dove siano vissute queste due persone: se su Marte, in una caverna, con gli occhi chiusi e le orecchie tappate (cit.), considerando la fine che hanno fatto Giovanni il Battista, Tommaso Moro, tanto per fare due nomi a caso…
E soprattutto, cosa abbia detto loro il prete (presumendo che abbia fatto seguire loro un “corso” pre-matrimoniale)…
E’ un tentativo un po’ patetico (come purtroppo diversi altri qui su questo sito da un po’ di tempo a questa parte) di giustificare l’ingiustificabile.
Non ci sara’ “annullamento” ma c’e’ il moltiplicarsi di situazioni in cui il matrimonio potra’ essere giudicato “nullo”, con un esame della situazione molto piu’ superficiale, e percio’, piu’ soggetta ad errori.
Tra l’altro in netto contrasto con le disposizioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/SoleOnLine4/Mondo/2010/01/sacra-rota-papa.shtml?uuid=01a80170-0ce3-11df-a8e3-e5834f89f27d&DocRulesView=Libero
http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2005/01/30/NZ_06_PAPA.html
Toh, ma guarda qua che dice il Santo Giovanni Paolo II:
Basta con gli annullamenti facili. Più attenzione alla dottrina e alla giustizia, meno a formalità e tecnicismi. Le ragioni della fede contro l’evidenza del fallimento. Tempi meno lunghi e decisioni più ponderate.
Giovanni Paolo II riceve i giudici della Sacra Rota, il tribunale vaticano, per l’apertura dell’anno giudiziario e non risparmia una lavata di testa all’illustre consesso. Al Papa, si sa, sta a cuore la famiglia e proprio non digerisce le scorciatoie nella rottura del sacro vincolo matrimoniale.
Il Papa usa la mano pesante. Pone, infatti, una «questione etica» sulla giustizia. Una questione di carattere generale, poiché, dice Giovani Paolo II, «una questione etica esiste in qualsiasi genere di processo giudiziario».
Figurarsi in un processo chiamato a valutare l’esistenza o meno del matrimonio. La questione dovrebbe rendere «meno probabile l’acquiescenza a interessi alieni dalla ricerca della verità».
L’allusione del Pontefice è durissima, come le sue parole del resto. Non basta il dissidio fra i coniugi, il fallimento di una vita comune per dichiarate un matrimonio nullo. Non si possono cercare scorciatoie né suggerirne in nome di una «falsa compassione», di «falsi modelli di pensiero». Insomma, l’annullamento non è divorzio. Parola non pronunciata dal Papa ma evocata dai fatti.
«In nome di pretese esigenze pastorali» – questo il rimprovero di Giovanni Paolo II, che rischia di cadere sulla testa dei vescovi oltre che su quella dei giudici – c’è chi suggerisce di «dichiarare nulle le unioni totalmente fallite e per ottenere tale risultato si suggerisce di mantenere le apparenze procedurali e sostanziali, dissimulando l’inesistenza di un vero giudizio processuale».
Eh sì, caro Manlio Pittori, effettivamente è come afferma lei. Per insensato che sia, il canone recita così.
Ma ho una bella scusante da parte mia, infatti ho un caso nella mia famiglia di una dichiarazione di nullità per cause di natura psichica del marito che impedivano l’assunzione degli obblighi derivanti dal matrimonio. Il canone era il 1095.3 e l’uso di ragione non c’entrava nulla, tant’è che ancora oggi è un validissimo e stimato medico.
Ma non bastò certo un certificato qualsiasi, anzi, furono eseguite più perizie psichiatriche, perché provi lei a far dichiarare ad un medico che un suo collega ha “qualcosa” che non funziona…
Alla fine l’ha risolta la Sacra Rota, ma se non ci fosse stato il secondo grado obbligatorio la questione sarebbe finita con il giudizio negativo del primo.
Ora l’appello è stato previsto, ma penso che debba essere accolto e ciò non credo sarà scontato, ma è presto per saperlo.
Anche per tutto il resto sono d’accordo con lei.
Non posso nascondere come questo Motu Proprio mi preoccupi (anche per certe lacunosità del testo), soprattutto per come e cosa verrà “percepito” dalle masse (e dai loro “pastori”): non è solo ignoranza, è soprattutto disinteresse e disprezzo diffuso verso la fissità dottrinale che fanno dei battezzati una massa pronta ad ogni omologazione.
Tendiamo a associare il peccato non più (o non tanto) ai 10 comandamenti, ma a una qualsiasi infrazione rispetto alle leggi vigenti e alla correttezza politica. Questo perché siamo indotti a giudicare la legge mosaica come una rivelazione inserita in un contesto storico, che necessita di essere aggiornata all’etica corrente.
La conseguenza inevitabile è che, nel tempo, i 10 comandamenti diventano un repertorio archeologico di regole inutilizzabili, da conservare e ammirare nella teca museale delle radici del nostro credo.
Altrettanto inevitabilmente l’orizzonte cristiano dei peccati cambia: alcuni tendono a essere negati, altri a passare in secondo piano, mentre una serie di nuovi peccati occupano tutta la scena.
Così, oggi, se il furto è peccato per la Chiesa e reato per lo Stato, la rottura del vincolo matrimoniale resta un grave peccato per il cristiano ma è un diritto per il cittadino. E il cittadino/cristiano, magari in qualità di avvocato, dovrà dividere la sua coscienza, assicurando alla collettività un diritto che è uno schiaffo dato a Cristo sulla croce.
Il cittadino/cristiano non può vivere così, desidererebbe che la legge laica si accordasse alla Legge Divina; ma quando ciò dovesse risultare impossibile, cercherà, di compromesso in compromesso, di fare esattamente il contrario. E’ la soluzione protestante.
Ci stiamo incamminando?
Caro Spinola,
la soluzione è semplicissima e vecchia come il mondo: si chiama obiezione di coscienza.
Se volete vivere secondo la vostra coscienza, fate come Kim Davis, l’impiegata pubblica americana che si è rifiutata di rilasciare licenze matrimoniali alle coppie gay, nonostante la sentenza della Corte Suprema che ha riconosciuto agli omosessuali il diritto di formalizzare le loro unioni. Ms. Davis (cristiana apostolica) ha obiettato per motivi religiosi, in quanto il matrimonio omosessuale sarebbe contro la volontà divina.
E’ stata ovviamente arrestata, dato che – almeno in Occidente – la fede religiosa non può essere superiore alla legge.
Ma ci si può rifiutare di obbedire alle leggi che si considerano sbagliate: subendone, ovviamente, le conseguenze.
Insomma, anche i cattolici possono vivere secondo coscienza, come chiunque. L’importante è accettare le regole del gioco. Un dipendente pubblico deve applicare la legge e se non lo fa ne paga le conseguenze. Io, per esempio, sono contrario all’adozione per i Testimoni di Genova: e da assistente sociale, posso tranquillamente emettere parere negativo all’adozione perchè, per la mia coscienza, i Testimoni di Genova sono del tutto inadatti ad allevare un bambino.
Poi subirò le sanzioni del caso: ma nessuno mi può obbligare a violare le mie convinzioni etiche e religiose.
Fatelo anche voi cattolici. Oppure cercate di realizzare una teocrazia.
Insomma, le possibilità ci sono: quindi secondo me bisognerebbe smetterla di lamentarsi e iniziare a comportarsi come si deve.
Grazie.
E perché scrive come se nessun cattolico facesse obiezione di coscienza (di qual si voglia genere), ma solo si “lamentasse”?
Per molteplici ragioni di ordine pratico e etico, quello dell’indissolibilità del matrimonio è (era) un principio acquisito e condiviso nelle società secolarizzate, comunque non necessariamente teocratiche.
In ogni caso, uno Stato non totalitario può “in coscienza” punire l’obiezione di coscienza? Specie se l’obiezione riguarda norme innovative che ribaltano una visione morale largamente condivisa e consolidata nel tempo?
Il problema è enorme, giuridicamente impegnativo, e non è risolvibile con la galera. Lei semplifica troppo.
Mi sono sempre chiesto che cosa avrebbero fatto i tipi alla Pittori se fossero vissuti sotto il regime fascista: avrebbero denunciato seduta stante tutti gli ebrei che conoscevano e avrebbero preteso che tutti i dipendenti pubblici applicassero la legge, oppure avrebbero violato la legge, anche a rischio della propria vita? Se avessero scelto, come spero, la seconda ipotesi, in base a che cosa l’avrebbero fatto? Non sarà mica in base alla coscienza?
Gentile Edo,
non so cosa avrebbero fatto i tipi alla Pittori se fossero vissuti sotto un regime liberticida: di tipi alla Pittori conosco solo me stesso e non mi sono mai trovato nella situazione di dover scegliere tra la morte e la fedeltà alla mia idea di giustizia.
Penso di essere certo che non avrei denunciato seduta stante tutti gli ebrei conosciuti: se avessi avuto una pistola puntata alla testa magari l’avrei fatto, ma magari no. Son faccende in cui i se non valgono neanche l’aria che si impiega a pronunciarli.
Mi auguro, dovessi scegliere tra l’obbedienza a un ordine ingiusto e una conseguenza spiacevole, di avere la forza e il coraggio di accettare quest’ultima. Di obbedire, cioè, a quello che quarant’anni di vita, di passioni, di letture, di esperienze e di sofferenze ha costruito quello che sono: se lei questa identità la vuole chiamare coscienza, a me va benissimo. E’ un termine un po’ riduttivo, ma va bene ugualmente.
La ringrazio e la saluto cordialmente.
Gentile Spinola,
in un blog semplificare è inevitabile. Di fronte a una questione enorme come quella che, per brevità, ho chiamato obiezione di coscienza, se si volesse affrontare il tema come merita o si scrivono tomi di mille pagine o si sta zitti. Tomi di mille pagine non ci stanno, su un blog; e stare zitti su un blog è una contraddizione in termini.
Quindi, l’unica strada è la semplificazione: ma ero convinto che questo fosse un presupposto ovvio e pacifico. Vedo che così non è: in futuro cercherò quindi di semplificare di meno, se il padrone di casa sarà d’accordo.
Ritengo che uno Stato non totalitario possa tranquillamente e pacificamente punire determinate forme di obiezione di coscienza: l’alternativa sarebbe il caos totale.
Si immagini se io, antifascista, bloccassi la via Emilia per impedire il transito dell’automobile dell’esponente di un partito fascista che sta andando a Milano per un comizio: la mia coscienza aborre il fascismo e ritengo mio dovere irrinunciabile fare tutto quello che posso per evitare quel tipo di propaganda. E’ ovvio che sarei sanzionato per blocco stradale – altrimenti, per rispettare la coscienza di un solo individuo, si dovrebbe tollerare la sospensione del traffico stradale in danno a migliaia di persone.
E chiunque potrebbe bloccare la via Emilia: perchè vi transita un camion che trasporta pillole del giorno dopo, spolette per missili, video pornografici, prodotti OGM, preservativi…
In ogni caso, la sterminata complessità della questione obiezione di coscienza non ha impedito a David Miller, a Josef Mayr-Nusser e a Luigi Tosti di fare quello che hanno fatto.
E non impedirà a lei e a me di opporci, nel modo che riterremo giusto, a quello che consideriamo ingiusto. Se attendiamo che il diritto disciplini con precisione una simile questione, attenderemo a lungo – e nel frattempo la nostra coscienza, probabilmente, non esisterà nemmeno più.
Un cordiale saluto.
“[…] ricordare la confusione che, spesso anche fra persone molto istruite, regna sull’indissolubilità matrimoniale, realtà umanamente non tangibile (cfr. Mt 19, 3-6), altro che annullabile.”
Esatto. Si puo’ *riconoscere* che la decisione di contrarre matrimonio era viziata e quindi nulla, secondo regole sensate. L’atto era nullo in partenza, noi lo riconosciamo soltanto. Ma se la decisione era presa senza vizi di sorta, non potrà essere riconosciuta nulla. Era valida prima, sara’ valida sempre, come dice Guzzo.
Se non sbaglio l’unico caso in cui il matrimonio puo’ essere veramente sciolto, anche se la decisione era valida, e’ quando esso e’ “rato e non consumato”.
D’altra parte, giudici della Rota spesso si trovano davanti casi come “mi sono sposato in chiesa solo per tradizione e/o perché cosi’ volevano i genitori, non perché credessi in Dio”. Un matrimonio religioso puo’ essere valido in condizioni del genere?
Gent. Sig. Pittori, mi scusi se con “tipi alla Pittori” sono stato impulsivo e irrispettoso.
Non era mia intenzione.
La ringrazio della risposta.
Edo