Nell’apprendere dell’esistenza di un ritratto “artistico” di Benedetto XVI fatto con migliaia di preservativi – circa 17.000 – e prossimamente esposto al museo di Milwaukee, negli Stati Uniti, mi sono rattristato. Per l’offesa verso la mia sensibilità religiosa, anzitutto. Ma anche perché non capita spesso di vedere condensate, tutte assieme, tre gravi incomprensioni: quella verso l’arte, quella verso un Papa e quella verso il Cristianesimo. Sulla prima sorvolerei, dato che è assai comune. Suscita invece una certa amarezza constatare come, a distanza di anni, si continui a ridurre il pensiero di un gigante della teologia e il Magistero di un gigante della Chiesa, peraltro col solito pretesto filantropico – richiamare l’attenzione sul problema dell’Aids in Africa -, ad una polemica che non ha alcun senso giacché Papa Benedetto su condom e Hiv non ha mai detto nulla di sbagliato, come Cesare Cavoni e il mio amico Renzo Puccetti hanno accuratamente dimostrato (cfr. Il Papa ha ragione! Fede & Cultura, 2012).
La ragione però per cui l’ultima, vergognosa offesa “artistica” Benedetto XVI mi rattrista di più è la consapevolezza che la cultura dominante – e quest’opera ne è la conferma – continua a considerare il Cristianesimo null’altro che una morale, peraltro giudicandola inaccettabile e sessuofoba. Naturalmente l’equivoco non è casuale e rispecchia il rifiuto non tanto e non solo di una verità antropologica, ma di una verità universale quale è quella incarnata da Gesù Cristo. Il vero motivo per cui politici, intellettuali e sedicenti artisti non perdono occasione per contestare la Chiesa non è cioè perché non condividono singoli dettami morali, ma perché temono un leale confronto col Colui che, duemila anni or sono, si fece condannare, crocifiggere per poi – ormai ad un passo dallo scomparire per sempre dal radar della storia – tornare e rivoluzionarla per sempre. In questo senso, la feroce insistenza su una morale sessuale giudicata superata altro non è, in definitiva, uno squallido trucco per piantare nuovi chiodi sul Crocifisso sperando non possa più attrarre nessuno.
Si è volutamente usata questa espressione – squallido trucco – non perché l’antropologia e l’etica cristiana non abbiano alcun fondamento, tutt’altro: ne hanno uno eccome, per di più non solo ragionevole ma pure limpidamente razionale. Il punto è che è molto più semplice combattere la Chiesa irridendo i suoi insegnamenti che misurandosi con la statura di Gesù, che così fortemente l’ha voluta. E’ molto più comodo sussurrare al prossimo, specie ai più giovani, la non praticabilità della purezza evangelica che provare a smentirla o anche solo a fissarla, senza rimanerne abbagliati. Questo perché, in effetti, non si può guardare la Chiesa, e trovarla interessante, se si ha la testa nel preservativo; ma col cuore nella Chiesa – e soprattutto in Gesù -, invece, gli orizzonti si allargano. Infinitamente. E la cosa procura gran fastidio a quella tentazione di banalità che, in fondo, alberga in ognuno di noi, quando preferiamo accontentarci del nostro più basso modo di vivere anziché alzare la testa; e riflettere. E misurarci col vertiginoso dubbio che la via, la verità e la vita che quell’Uomo, duemila anni fa, diceva di essere, possano essere proprio le nostre.
Ancora una volta si mostra l’amore del padre che é Benedetto XVI; a costo di essere irriso e sbeffeggiato, come in questo caso da un pseudo e acrimoso artista, usa di tutte le possibilità perchè i figli “vedendo” riflettano è chiedano perdono per il male commesso, anche come Comunità.
Tutto questa dolorosa e penosa confusione non è iniziata quando la Comunità cristiana mise alla berlina Paolo VI per Humanae vitae?
Senza ricognizione del nostro male non c’è possibilità di cambiamento. MRP