Baby  (3-6 Months)

Quale che sia l’esito, quest’oggi, della votazione che si terrà al Parlamento europeo sulla risoluzione Tarabella in materia di libero accesso ad aborto e contraccezione, c’è un aspetto di assoluta importanza da tenere presente: il diritto all’aborto, anche se formalmente introdotto, rimarrebbe inesistente. A prescindere, cioè, dall’approvazione o meno di quel documento – posto che c’è da augurarsi senza esitazione alcuna la sua bocciatura -, e al di là dei possibili e a ben vedere molteplici profili di incompatibilità dello stesso col dettato degli ordinamenti interni degli Stati, Italia inclusa, il dato ineludibile per chiunque abbia a cuore il diritto alla vita rimane l’impossibilità di ammettere il diritto all’aborto non solo grazie alle leggi, qualora queste lo neghino, ma pure nonostante le leggi, nell’eventualità lo riconoscano.

A sottolineare detta impossibilità, sulla scia di una lunga tradizione di pensiero, è stato nel nostro tempo san Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale ha acutamente denunciato il rischio che persino sotto regimi democratici, a prima vista la massima garanzia istituzionale dei diritti umani, possano essere approvate leggi inumane e dunque, in definitiva, prive dei requisiti minimi di validità: «Tutto sembra avvenire nel più saldo rispetto della legalità, almeno quando le leggi che permettono l’aborto o l’eutanasia vengono votate secondo le cosiddette regole democratiche. In verità, siamo di fronte solo a una tragica parvenza di legalità e l’ideale democratico, che è davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana, è tradito nelle sue stesse basi» (Evangelium Vitae, n. 20).

Che neppure un collaudato e per certi versi esemplare sistema democratico basti, in quanto tale, ad assicurare il pieno rispetto dei diritti umani, d’altra parte, è anche lezione della storia se si considera che, allorquando la Germania nazista di Hitler nel ’33 adottò normative eugenetiche che autorizzavano sterilizzazione ed aborto obbligatorio, su questo specifico versante era già stata anticipata non da uno bensì da numerosi Stati americani, che avevano legiferato in tal senso. Il che conferma quanto saggiamente scriveva papa Wojtyla: attenzione a non illudersi che in democrazia certi errori e talvolta orrori non possano ripetersi, guai a sottovalutare il rischio del ritorno, pur con veste giuridica legittima, di provvedimenti iniqui, che avrebbero solamente «una tragica parvenza di legalità».

Un simile invito è giustificato dal fatto che – diversamente da quanto sostenuto da Hans Kelsen (1881–1973) con la sua celebre dottrina pura del diritto – arrestarsi alla verificata correttezza procedurale rifiutandosi «di valutare il diritto positivo», purtroppo non assicura alcun equilibrio e tenuta all’ordinamento giuridico, esponendo costantemente i consociati al concreto pericolo che possa essere approvato, venendo a noi, un provvedimento ingiusto quale sarebbe senza dubbio la risoluzione Tarabella, e quale è, restringendo lo sguardo all’Italia, l’intoccabile Legge 194/’78, che Giorgio La Pira (1904-1977) non aveva dubbi nel giudicare «integralmente iniqua», evidenziandone così da un lato, ed esplicitamente, i connotati di profonda ingiustizia e, dall’altro, implicitamente, la fortissima difficoltà, date le pessime premesse, a proporne miglioramenti.

Quale che sia il destino della risoluzione Tarabella, è dunque fondamentale che non si perda di vista la consapevolezza che senza l’incondizionata accoglienza di ogni vita umana, dal concepimento alla morte naturale, non solo non vi può essere alcun autentico «ideale democratico», ma si verifica il tradimento «nelle sue stesse basi»; non spetta pertanto ai soli cattolici né ai credenti in senso lato bensì a tutti l’obbligo di attivarsi, naturalmente sempre con modalità civili e pacifiche, affinché il diritto alla vita sia pienamente garantito. Fino al giorno in cui questo non accadrà, fino a quando sul figlio concepito graveranno i rischi del rifiuto, della provetta o della manipolazione a scopo di ricerca, la democrazia rimarrà un progetto incompiuto. Per questo, a prescindere da quanto accadrà al Parlamento europeo, conviene tenere lo sguardo fisso sulla via democratica da percorrere, che purtroppo è ancora molta.

(“La Croce”, 11/3/2015, p.3).