Il 2015 inizia con la scoperta del secolo: a Roma, la sera di Capodanno, una misteriosa epidemia, sarebbe quasi il caso di parlare di ecatombe, ha costretto a letto oltre l’83% dei vigili urbani. Davvero strano dato che il 31 dicembre la tentazione di mettersi al lavoro è notoriamente incontenibile e c’è chi si attiva mesi prima pur di assicurarsi il privilegio. Scherzi a parte, il profilo più singolare della vicenda – più ancora della precarissima salute dei vigili – sono state le reazioni, politiche e non solo, che ne sono scaturite: tutti a chiedere subito maggiori controlli, a caldeggiare riforme del pubblico impiego. Come se fino al 31 dicembre 2014 nessuno sapesse del problema; come se questo fosse proprio solamente del Comune di Roma, ed il resto del Paese esempio di chiara virtù; come se l’inasprimento delle regole non fosse la classica, effimera promessa per calmare l’opinione pubblica.
Intendiamoci: la politica può e deve far la propria parte – a quando, fra le altre cose, un contrasto all’assenteismo parlamentare, magari a suon di decurtazioni dallo stipendio? -, però c’è un problema nel problema con il quale, forse per rassegnazione, si stenta a confrontarsi. Il problema è che, per quanto sia doveroso punire chi spacciandosi per indisposto truffa lo Stato e, in definitiva, tutti i contribuenti, la mancanza di senso del dovere (e conseguentemente, il dilagare della corruzione) è un guaio serio, che interessa la morale individuale di ciascuno e non colmabile – temo – neppure dalla migliore delle riforme; non in Italia, almeno. Dove ai cittadini lo Stato appare, e non da oggi, mastodontico ma inefficiente ed incredibilmente costoso rispetto alla qualità dei servizi che offre. Insistere su questo, è vero, potrebbe suonare ripetitivo, scontato o perfino inutile.
Eppure il cuore della questione, al di là delle polemiche romane, è tutto qui. Vogliamo cioè uno Stato i cui dipendenti siano assenti quando effettivamente malati e effettivamente attivi quando presenti? Vogliamo uno Stato dove nessuno evada il fisco? Vogliamo questo? Benissimo: iniziamo a farlo dimagrire, questo Stato; a partire dagli sprechi più clamorosi, ovviamente, fino ad un più stretto monitoraggio di spese, decisioni e consulenze. Ed in corrispondenza all’inizio della “dieta”, due novità immediate: l’abbassamento della pressione fiscale e un non più annunciato ma concreto irrigidimento di sanzioni e controlli. Decenni di malcostume non potranno certo essere eliminati nel giro di qualche settimana; ma si dovrà pur iniziare. Lo si deve fare per quanti – ed è la stragrande maggioranza – hanno il diritto di essere fieri dell’Italia; a partire da quel 17% di vigili, che l’ultimo dell’anno il proprio dovere l’ha fatto fino in fondo.
E in Italia paghiamo un’enormità di tasse per finanziare sprechi, inefficienze e mangiatoie varie, e ciò avverrà sempre finché noi cittadini (tutti) non tiriamo fuori gli attributi e facciamo un vero e proprio sciopero fiscale.
Pagare le tasse é un dovere per noi contribuenti e su questo non ci piove, ma noi contribuenti abbiamo il diritto di avere restituito in servizi pubblici efficienti (sanità, istruzione, giustizia, sicurezza su tutti) ciò che paghiamo di tasse, ma da questi politici criminali e ladri che ci governano, tale diritto non ci viene minimamente riconosciuto.
Il riconoscimento dei diritti passa sempre attraverso l’adempimento dei doveri, peccato che questa regola non valga per i contribuenti italiani, i cittadini europei più tartassati in assoluto.
Indubbiamente, sui dipendenti pubblici é necessario mettere regole, e togliere loro questo privilegio di illicenziabilità rispetto a quelli privati, anche se fannulloni.