Benvenuti nell’epoca del lessico zuccheroso, del detto ma soprattutto del non detto, della velatura preventiva verso ogni espressione che odori anche solo lontanamente – orrore – di verità. Benvenuti, insomma, nell’epoca del politicamente corretto, delle menti obbedienti a leggi non scritte ma osservate, ahinoi, da quasi tutti. Leggi accomunate dal paradigma onnicomprensivo dell’opportunità, per il quale non esistono più il buono o il cattivo, ma solo ciò che è conveniente e ciò che non lo è. Accade così che alcune parole – ritenute inopportune a priori, per quel che dicono e quel che sottendono – subiscano una censura progressiva fino ad essere, ormai, pressoché definitiva. Quali sono queste parole? L’elenco sarebbe lungo, ma è importante tenerne a mente almeno una decina, il salvagente più affidabile per fare sempre – sia che si stia discutendo con un collega, un amico o col vicino di casa – la figura della persona perbene e al passo coi tempi. E’ altresì fondamentale capire come queste parole siano, di fatto, la sostituzione di altre ritenute superate, o addirittura pericolose.
Da Dio a io
La prima parola è io, da sostituire il più possibile alla parola Dio: conviene non parlare troppo e meglio ancora non parlare mai – raccomanda il bon ton politically correct – di Dio, mentre è sempre opportuno parlare di sé, dei propri desideri e sogni: dal teocentrismo all’egocentrismo, sempre e comunque. E se proprio si vuole parlare di Dio, è opportuno farlo specificando che si tratta del “mio” Dio, in quanto frutto della mia immaginazione o comunque, anche se reale, subordinato alla mia esistenza e non io alla Sua. Nell’epoca delle parole sussurrate, Dio è dannatamente ingombrante, impegnativo, ben oltre i limiti della buona educazione. La musica cambia, invece, quando si parla di sé. E’ cioè sempre bello confrontarsi su cosa si intenda realizzare nella propria vita, mentre è sconsigliabile fare altrettanto sul dopo, tanto più se questo implica l’ipotesi di essere sottoposti ad un qualche giudizio divino. Tesi inconcepibile, per il politically correct.
Da doveri a diritti
E’ poi bene, se si vuole apparire impegnati, soffermarsi il più possibile, e alla prima occasione, sul tema dei diritti tralasciando il più possibile quello dei doveri: esiste il diritto a fare questo, ad ottenere quello, ma nessun dovere sul quale valga la pena riflettere: bene la conquista di nuovi diritti, male la salvaguardia di antichi doveri. Ne consegue che se un tempo i figli venivano cresciuti con i genitori intenti a trasmettere loro anzitutto il senso del dovere, oggi è importante che tutti sappiano che non solo – come pare sacrosanto – ciascuno ha dei diritti, ma ognuno è titolato ad inventarsene sempre di nuovi. Guai, invece, a ricordare che vi sarebbero tutta una serie di doveri: se lo si fa, si cessa immediatamente di essere persone stimate e ci si sente ricordare, qualunque cosa questa espressione significhi, “che siamo nel 2018”.
Dal giudizio all’opinione
E vediamo ora un passaggio chiave dei nostri giorni: l’abolizione del giudizio, di ogni giudizio, in favore dell’opinione. Nulla e nessuno è giudicabile. Non si può infatti giudicare nessuna azione in quanto sempre determinata, insegna il politicamente corretto, da cause esterne se non perfino accidentali. Non si può giudicare il furto (se uno ruba, è colpa di chi lo ha messo in condizioni di dover rubare), non si può giudicare il divorzio (se fra due l’amore finisce, non è colpa di nessuno), non si può giudicare l’aborto (se una donna non vuole tenere suo figlio, è libera di farlo e guai a chi fiata), non si può giudicare più quasi nulla. Nemmeno se si precisa che il giudizio è sull’azione prima che sulla persona: nulla da fare. Al massimo, se proprio si desidera intervenire, è doveroso precisare che s’intende esprimere “solo un’opinione”.
Dalla tradizione al cambiamento
Altro passaggio fondamentale è quello che impone di soffermarsi sempre, a priori, sul cambiamento in antitesi a tutto ciò che sia, anche lontanamente, riconducibile alla tradizione. Nella mentalità dominante il cambiamento viene difatti percepito quasi sempre come positivo – è buono cambiare partner, bello cambiare città, giusto cambiare aria, utile cambiare amici, possibile cambiare sesso – mentre la tradizione evoca immediatamente scenari polverosi, cupi, funerei o, bene che vada, meccanici e rituali. Per questo, se ci tenete rimanere al passo coi tempi, parlate sempre di cosa intendete cambiare e poco, pochissimo, di ciò che avete ereditato (si tratti di valori, di insegnamenti o di oggetti non fa differenza) da chi vi ha preceduto e siete intenzionati a conservare.
Dalla patria al mondo
Se col processo di globalizzazione la patria di ciascuno è diventata – o sta diventando – il mondo, grazie al nostro politically correct ci resta solo più il mondo senza più patria: da cittadini locali ad apolidi globali. E per chi osasse evocare l’importanza di avere – e magari pure di difendere – una patria, si solleva subito, quando va bene, l’accusa di essere un nostalgico del fascismo che non comprende il già citato ed entusiasmante cambiamento; come se la terra dei padri fosse invenzione mussoliniana o comunque di provenienza esclusiva di una certa fazione politica. Conseguenza rilevante di questa impostazione culturale è – insieme a quella di “cittadino” – l’estinzione del concetto di “straniero”, il cui impiego attira l’immediato sospetto di essere adepti di Mario Borghezio.
Dal progetto ai viaggi
Senza patria e con la necessità di cambiare (non vorrai forse restare indietro!), l’uomo contemporaneo si trova evidentemente impossibilitato a predisporre, per la propria vita, qualsivoglia progetto, mentre è incentivato a imbarcarsi continuamente in nuovi viaggi. Che siano viaggi turistici, viaggi studio, viaggi di lavoro o viaggi nei paradisi artificiali delle droghe, alla fine, conta relativamente: l’imperativo è viaggiare. A prescindere. Non viaggi? Non sai cosa ti perdi, è l’ammonimento che il politically correct lancia verso chiunque osi ricordare che la vita, prima che sulla trasferta esotica, si basa su un progetto; non sull’aeroporto più vicino ma su un orizzonte più ampio; sulle fondamenta di una casa e non sulla stanza di un albergo sempre occasionale e diverso dal precedente.
Dall’Amore al feeling
Diretto effetto di una concezione effimera della propria terra e della propria vita è, in salsa politicamente corretta, un forte ridimensionamento anche dell’Amore, parola – come “Dio” – troppo impegnativa da utilizzare e dunque da vivere. Nel tempo del cambiamento e dei viaggi continui com’è infatti possibile soffermarsi sul quello che, fra tutti, è il progetto per eccellenza nonché quello che fonde l’io col “noi”? E’ impossibile. Per questo, il politicamente corretto, nel costruire delle relazioni, ci suggerisce di dare più importanza al feeling, ossia alle sensazioni e al benessere, che diventano così i soli metri di valutazione. Viceversa, chi tentasse di vivere o addirittura di parlare con altri dell’Amore passerebbe come minimo per tardivo esemplare di figlio dei fiori. Non conviene.
Dalla famiglia alla coppia
L’opportunità di non parlare o di non interrogarsi troppo dell’Amore privilegiando il feeling, è seguita da quella di mettere il più possibile in secondo piano la famiglia in favore della coppia. Si tratta di un’eclissi – anche in questo caso – terminologica e culturale insieme: “farsi una famiglia” è difatti soppiantata, come espressione, dalla più agile “essere in coppia”. Questo principalmente per ragioni di maggiore inclusione: la famiglia definisce l’unione di un marito, una moglie ed eventuali figli, mentre sotto l’etichetta della “coppia” può essere ricompresa, all’insegna della citata legge del feeling, qualsiasi forma di unione: uomo e donna, uomo e uomo, donna e donna, uomo e bambino – come si augurano i sostenitori della legalizzazione della pedofilia – e via di questo passo. Ulteriore superamento della famiglia è poi l’impego del termine, decisamente rassicurante e politicamente corretto, di “famiglie”.
Dal sesso al genere
Inevitabile conseguenza del sentirsi continuamente in viaggio e quindi in mutamento, è la necessità di sostituire la categoria del sesso, notoriamente binaria e definitiva, con quella ben più varia e provvisoria del “genere”. Detta sostituzione si sta verificando anche grazie all’alleanza fra la teoria del gender – che in chiave materialista sostiene la derivazione di ogni umana natura dalla cultura (uomini e donne non si nasce, ma si diventa) – e il nostro politically correct, che provvede a neutralizzare qualsivoglia forma di obiezione alla cultura gender attraverso la sempre efficace accusa di fondamentalismo religioso. Come se il fatto di essere maschio o femmina fosse artefatto confessionale e non, come invece è, un dato di realtà come tale verificabile da chiunque osi discutere i dettami della cultura dominante.
Dalla verità alla libertà
Ultimo e fondamentale concetto da tenere a mente per diventare affidabili esponenti del politicamente corretto e, dunque, persone di un certo livello, è quello che concerne la rimozione della verità in favore della libertà. Già accennato nell’avvicendamento dal giudizio all’opinione, questo aspetto configura l’atteggiamento che un buon seguace del politically correct non dovrebbe mai perdere di vista, ossia quello di mettere sempre in discussione l’idea di verità generale e di non discutere mai quella di libertà individuale; più che un criterio o di una sostituzione terminologica simile alle precedenti, siamo qui in presenza di un dogma. Perché nel tempo del politicamente corretto, anche grazie alle grandi possibilità comunicative, ciascuno è libero di dire qualsiasi cosa. Purché non pretenda di avere ragione o di affermare che la libertà di ognuno, anche nei confronti di se stesso, debba essere limitata. Sarebbe davvero qualcosa di politicamente scorrettissimo.
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Premesso che condivido nella sostanza l’articolo e che plaudo al genio di Guzzo che lo ha ideato e scritto, rilevo tuttavia una contraddizione – ma sarebbe meglio definirla una forzatura teorica – sul finire del testo.
A mio giudizio, infatti, contrapporre verità a libertà presenta non poche complicazioni che scendendo sul piano pratico appariranno più chiaramente.
Ad esempio, per molti secoli la “verità” desunta dai testi biblici è stata che la terra fosse piatta e al centro dell’universo, secondo la nota cosmogonia che prevedeva anche i sette cieli ove risiedeva il buon Dio. Non era possibile dire qualcosa di diverso da questa “verità” pena il castigo; quindi, la libertà era compromessa da una presunta verità assolutizzata (come ci insegna la vicenda, ad esempio, di Galileo).
Oggi la situazione si è esattamente rovesciata, sicché chiunque parli di “legge naturale” o di ordine naturale – contrapposti all’idea costruttivista e culturalista – viene automaticamente tacciato di determinismo quando, non più direttamente, di oscurantismo.
Il problema, io credo, è che tanto il concetto di verità quanto quello di libertà devono trovare ancora una loro definizione conclusiva che, però, è forse impossibile da raggiungersi senza prendere una scelta di campo per l’una o per l’altra.
Insomma, detta altrimenti, verità e libertà non sono sempre conciliabili tra loro.
E questo mi sembra una gran problema per tutti…
Ti invito ad informarti meglio su quello che si credeva nel medioevo e in particolare sulla vicenda Galileo. Tanto per fare un esempio, quello che ci viene ripetuto dalle elementari è che gli ignorantoni che hanno popolato quell’epoca oscura credevano che la terra fosse piatta, come tu stesso hai detto, e che veniva mandato al rogo chiunque dimostrasse scientificamente che la terra fosse in realtà una sfera. Questa è una credenza ormai confutata ad esempio dall’iconografia: ci sono quadri del 300 d. C. che rappresentano Gesù Bambino con un globo in mano. Inoltre già prima di Cristo i greci avevano calcolato la circonferenza della terra.
Affinché Verità e libertà siano conciliabili, credo che basti definire: Verità=Dio=Sommo Bene e libertà=”essere liberi di fare il bene”. La libertà è al servizio della Verità.
Nell’articolo, Guzzo intende libertà come “essere liberi di fare il bene e il male” ma l’inganno in cui oggi cade il mondo è proprio che non esiste questa libertà, perché fare quello che vogliamo vuol dire essere schiavi del male. Questo è inconciliabile con la verità.
d esempio, per molti secoli la “verità” desunta dai testi biblici è stata che la terra fosse piatta e al centro dell’universo, secondo la nota cosmogonia che prevedeva anche i sette cieli ove risiedeva il buon Dio. Non era possibile dire qualcosa di diverso da questa “verità” pena il castigo; quindi, la libertà era compromessa da una presunta verità assolutizzata (come ci insegna la vicenda, ad esempio, di Galileo).
Questa e’ una BALLA, anzi due, azni ancora tre. Il cristianesimo “eredito'” per cosi’ dire la fisica aristotelica, perche’ all’epoca era il massimo sapere scientifico.
Quindi l’appunto che si potrebbe fare alla Chiesa di allora e’ di essersi fidata troppo della scienza dell’epoca.
E’ falso che si credeva che la terra fosse piatta, gia’ in epoche molto antiche.
E infine falso che Galileo fu condannato perche’ diceva che la Terra girava intorno al Sole. Non aveva le prove, all’epoca.
D’accordo, però non puoi giustificare la sua condanna e la fine che gli fecero fare! Mi pare infatti che sia scritto, da millenni, “non uccidere” e di certo non ci sono giustificazione per applicare questa pena di morte ad una persona. Piuttosto, meglio avere l’umiltà di ammettere che putroppo nella chiesa (istituzione, intendo) ci furono e tuttora ci sono persone che tutto sono fuori che veri cristiani, perché sono diventati fanatici oppure sono corrotti, e non mi pare di dire alcunché di nuovo, dato che il cuore di ogni uomo è corruttibile e a volte si lascia corrompere. Ecco dunque la grande necessità che la chiesa ha di purificazione, perché “chi è sporco non può evangelizzare” e lo Spirito non abita un animo corrotto. Poi va da sé che, in questi tempi contemporanei, grandissimo spazio va dato all’opera dei cristiani laici, padri e madri di famiglia, giovani coppie, giovani in ricerca disposti ad accogliere la volontà e la possibilità che sempre lo Spirito di Dio ci offre, di essere rinnovati in Lui.
D’accordo, però non puoi giustificare la sua condanna e la fine che gli fecero fare! Mi pare infatti che sia scritto, da millenni, “non uccidere” e di certo non ci sono giustificazione per applicare questa pena di morte ad una persona.
Perche’, mi vuoi far credere che Galileo sarebbe stato condannato a morte?
Ti informo che Galileo e’ morto nel SUO letto.
E ha “villeggiato” per anni nella villa del cardinale.
La sua “condanna” e’ stata recitare i Salmi una volta la settimana, “condanna” che passo’ prontamente a sua figlia suora (che ebbe mi sembra con una serva).
RingraziandoLa per l’attenzione, caro Gibbì, mi limito a precisare – posto che condivido la difficoltà di definizioni conclusive – che il mio riferimento era alla verità morale, che deve valorialmente precedere, in quanto tale, quello di libertà. Tutto qua. Grazie per la stima.
Ecco che siamo finalmente al punto.
Non verità astratta e generica – concetto vuoto, mutevole e fuorviante – ma verità morale.
Che, a sua volta, precede e limita la libertà in un orizzonte definito di scopi e quindi di senso.
Non potrei essere più d’accordo di così.
Epperò certe precisazioni mi sembrano quanto mai opportune, anche in considerazione dello stato confusionale nel quale versano in molti quando si tratta di verità e di libertà.
Il tema, insomma, mi sembra delicato.
Grazie a lei per la risposta.
Non sono uno storico, né tantomeno un filologo.
Credo tuttavia che non ci sia bisogno di così ampie e specifiche competenze per sostenere che le obiezioni mosse da Stefano e Piero siano completamente fuori bersaglio.
Ed il motivo è semplice: qualunque cosa si sapesse nelle epoche medievali – o, meglio, qualunque cosa si credesse “vera” secondo i paradigmi del tempo (che erano sostanzialmente religiosi, va detto) – era per ciò stesso intangibile. Poco importa che le teorie di Keplero e Galileo avessero evidenza scientifica comprovata o meno, il fatto è che erano proibite ed era proibito parlarne, punto e basta. E’ molto diverso dai miti oscurantisti propagandati dagli anticlericali di ogni tempo, però si chiama comunque censura, anche se può dolere ammetterlo oggi.
Inoltre, ho citato Galileo e la scienza astronomica laddove avrei potuto menzionare, altro esempio, il darwinismo contrapposto al creazionismo biblico: restando fermo che rimangono entrambe professioni di fede, in ultima analisi, ancora oggi.
Non cadete, pertanto, nello sciocco vizio degli anticlericali, che è il manicheismo pregiudiziale.
Infine, per Stefano: dire che la verità corrisponde a Dio ed al Bene e che la libertà corrisponde ad uniformarsi a questa Fede è assai discutibile come argomento razionale, è un po’ come dire che è buono ciò che è buono e bello ciò che è bello.
La libertà, a quanto ne so io, è ciò che ci fa discernere il Bene dal male – dandoci la responsabilità del nostro agire, senza accampare scuse esterne – e che in dottrina mi sembra si chiami “libero arbitrio”.
Se noi avessimo una Verità già data, a cui basti uniformarsi senza riflettere, il libero arbitrio cascherebbe per terra come strumento inutile e vuoto.
E non mi sembra sia il caso di spingersi tanto oltre.
Rendersi conto della complessità dell’argomento mi sembra sia un bagno d’umiltà necessario, un po’ per tutti.
Qual’è, secondo lei, la massima misura della libertà? Pensa che sia possibile usare la libertà nel mondo del falso? Se una città non esiste, io sono libero di andarci? No, perché non ci riuscirei mai! La verità, dunque, non limita la libertà ma soltanto ne rende evidenti le dimensioni reali. Non c’è conflitto fra verità e libertà, se con il primo termine intendiamo qualcosa di oggettivo, assoluto.
Lei, invece, nel parlare della vicenda di Galileo, sembra dare un significato relativo alla verità, riferendosi con questo termine ad un’opinione della Chiesa di allora che, secondo la sua ricostruzione, veniva imposta come verità. Il fatto che quell’opinione fosse stata imposta non ci autorizza, oggi, a chiamarla verità. La verità è una lettura fedele e obbiettiva della realtà. Poco importa se qualcuno la conosce o se è sconosciuta a chiunque. Ciò che è cambiato, dopo la riabilitazione di Galileo, non è la verità ma le opinioni su di essa. Cristo è sempre stato Verità, sia prima che dopo quel momento. Solo che noi umani, per la nostra limitatezza, non siamo in grado di comprendere bene il creato.
Caro amico, fatico e non poco a comprendere anche le sue argomentazioni.
Non è la mia ricostruzione a dire che la Chiesa abbia imposto a Galileo le proprie “verità” – che lei oggi chiama, stranamente, opinioni (ma guarda la confusione) – bensì le evidenze storiche.
Il fatto che quella convinzione fosse stata imposta, allora, ci autorizza, eccome, oggi, a sostenere che chi la proponeva la intendesse come “verità” e non come libera opinione tra altre libere opinioni.
La libertà non prevede abiure, né carcerazioni, per quanto morbide e poco afflittive possano essere.
Non raccontiamoci favole che neanche il buon Dio prenderebbe sul serio.
Non esiste una “lettura fedele ed obiettiva della realtà”, purtroppo, neanche seguendo il più rigoroso metodo scientifico.
Esiste, non a caso, la Fede che compensa tutte queste carenze di certezze consolidate (che solo qui si trovano preformate e a buon mercato).
Il rapporto tra Fede e Ragione è un po’ più complicato delle semplificazioni approssimate che ho letto in questa sede, io ritengo.
Ma – questa sì – è solo la mia opinione….
Scusi ma devo metterla al corrente del fatto che il dibattito attuale, quello all’avanguardia, ha da tempo superato il dualismo del secolo scorso, retaggio ottocentesco, al quale lei fa riferimento.
Gli ambienti più aperti ed ispirati tanto della comunità scientifica laica che del cristianesimo razionale e anche scientificamente impegnato nella ricerca non contrappongono più il darwinismo con il creazionismo, ma superano entrambi alla luce delle istanze, da un lato, delle scoperte in ambito genetico, biologico, archeologico, e dall’altro dell’esegesi delle Scritture e della filologia, le traduzioni dei testi biblici ecc.
Per quanto riguarda il caso di Galileo, trovo strano francamente che lei affronti il discorso in questi termini, visto che poi Einstein propose una teoria che supera, anche qui, il dualismo interpretativo in ambito astronomico (geocentrismo VS eliocentrismo).
Non mi resta che pensare che, quando non c’è adeguato aggiornamento, anche i migliori rimangono prigionieri di una mentalità dualistica come quella cui lei fa riferimento.
Le scritture introducono piuttosto concetti di tipo evoluzionistico per le specie, ma non darwinista per come è intesa la teoria di Darwin, scienziato che visse nell’ottocento, che quindi non disponeva degli odierni strumenti di indagine scientifica, che si diceva credente o comunque agnostico e non intendeva negare alcunché di “rivelato”.
Alla teoria di Darwin mancano diversi tasselli, che la rendono incompleta ed inefficace a dare una spiegazione plausibile dell’origine umana, la quale però non può essere ricercata se non sulla Terra e dalla Terra, e questo le scritture lo palesano definendo l’uomo un essere terrestre, fatto “dal fango” (nelle nuove traduzioni si propone piuttosto “dagli elementi”, il che rende maggiormente l’idea del cambiamento o meglio delle trasformazioni che avvengono nella materia densa).
Il problema è piuttosto l’interpretazione, tanto delle scritture quando dei reperti, il modello di indagine e il fatto di sbarazzarci del retaggio di contrapposizioni dualistiche che non sono né fideistiche né razionali.
Chi alimenta il dualismo di pensiero alimenta la divisione. La parola “diavolo” ha la stessa etimologia della parola “divisore”. E quando l’umanità è divisa e conflittuale, la ricerca e la scienza, quelle buone, non proseguono e non prosegue neppure la ricerca metafisica, filosofica e spirituale.
Sì certo, da un lato ci vuole umiltà, dall’altro intelligenza, ispirazione, capacità di sganciarsi da mentalità errate tanto in ambito scientifico quanto in ambito spirituale, cioè di interpretazioni errate delle scritture.
Ci fu una mistica, Maria Valtorta, che visse nel ventesimo secolo ma che sosteneva di avere ricevuto ispirazioni anche circa l’origine umana, qualcuno ha letto qualcosa? Vogliamo considerare e valutare anche queste voci o vi è chiusura a priori?
Scusa Gibbi, fammi capire, due persone ti precisano poca precisione delle tue osservazioni in forma anche bonaria oserei dire e tu l’inviti a fare un bagno d’umiltà?
Galileo scavalcò le sue competenze entrando in argomenti che non gli competevano come scienziato che c’entra la censura?
L’inconciliabilità tra Verità e Liberta non è un problema per tutti come Stefano ha cercato di dirti, capisco le tue riflessioni sull’ultima parte dell’articolo ma non generalizzerei, parlerei di esperienza personale.
Scusami tu, Giovanni, ma Galileo è stato punito e “rieducato” (come usa dire oggi) o no? Lo è stato per problemi di metodo scientifico o per problemi di incompatibilità tra le sue teorie e quelle ufficiali? E’ stato invitato a studiare meglio o è stato costretto all’abiura?
Non la vuoi chiamare censura? Allora come la chiami, di grazia?
Qui non è un problema di precisione ma di aderenza alla realtà dei fatti e di onestà intellettuale.
Per quanto attiene alla tua ultima esortazione, non vedo cosa c’entri l’esperienza personale con tematiche riguardanti la libertà e la verità.
Io preferisco trattarli come concetti oggettivi, non soggettivi (anche perché quello si chiama relativismo, se non sbaglio).
Perdonami, ma il bagno d’umiltà continua a sembrarmi necessario.
Beh… comincia ad andare avanti tu che per me l’acqua e’ ancora fredda… 😀
Galileo ha sbagliato completamente, sia dal punto di vista scientifico che teologico.
Quelli che negano il global warning causato dall’uomo, come credi che siano trattati?
Che nel Medioevo ci sia stata la credenza che la Terra fosse piatta, e’ una balla pazzesca, basterebbe aver studiato Dante al liceo, invece che fumare canne e fare okkupazioni (non riferito a te), per saperlo.
Gli studiosi seri non hanno mai basato i loro convincimenti scientifici sulle Sacre Scritture, ma hanno apprezzato l’Ordine del Cosmo come Dono di Dio.
CHe facendo la rotazione delle coltivazioni si avesse un raccolto piu’ abbondante, non l’hanno preso dalle Scritture.
Che costruire delle macchine che aiutassero il lavoro dell’Uomo, non l’hanno preso dalle Scritture.
Tu che giudizio daresti ad uno che dice che il Sole esce di notte, che le piante crescono verso il centro della terra e che noi mangiamo le radici, che il giuramento non vale (in quel periodo storico che si FONDAVA sul giuramento), ecc ecc?
L’ha ribloggato su "Noverim me, noverim Te.".
Vabbé Piero, constato che nel tuo caso – ma in piccola parte anche negli altri – non ci sono argomenti razionali ma reazioni da tifoso ultras.
Il che non giova né a te, né alla causa che sostieni.
Negare che la Chiesa romana abbia adottato la censura nei secoli passati – l’indice dei libri proibiti, tanto per citare un altro dei numerosi esempi storici – è una forma di cieco fanatismo contrario ai dati di realtà.
Se lo stesso Giovanni Paolo II° ha ripetutamente chiesto perdono al mondo per gli errori passati della Chiesa, trovare chi li nega per spirito di fazione è un modo di essere più realisti del re abbastanza comico.
Mi spiace che simili atteggiamenti abbiano luogo in un blog così interessante – per altri motivi – e che Giuliano Guzzo non abbia nulla da dire al riguardo.
Del resto ognuno risponde per sé stesso, com’è giusto che sia.
Ma quale ultras…
Non mi sembra corretto basare i propri ragionamenti su premesse FALSE.
Perche’ e’ FALSO che nel Medioevo si credesse che la terra fosse piatta (e men che meno che la Chiesa condannasse al rogo chi pensasse che fosse tonda).
E’ FALSO che la Chiesa, o chiunque altro di sano intelletto, basasse le sue conoscenze scientifiche sull’intepretazione delle Sacre Scritture.
E’ FALSO che Galileo fu condannato per aver affermato che la tera e’ tonda, o che gira intorno al Sole.
Scusa Piero, penso che a noi convenga agire al presente, con quello di cui disponiamo, e pregare di “fare meglio di quelli che ci hanno preceduto” tanto dal punto di vista scientifico che morale.
Non ha senso questa tua apologia… la chiesa, o meglio, non la chiesa ma alcuni uomini che si dicevano “di chiesa” ne ha fatte di aberrazioni, ma di che ti meravigli, di dodici apostoli che Gesù chiamò, uno lo rinnegò e un altro lo tradì, e allora vuoi giustificare anche questo?!
Basta apologie, l’errore è errore, punto e basta. Non mi dilungo sul tuo discorso di cosa ritenevano o non ritenevano nel Medioevo, non è questo il nodo della questione, può darsi che tu abbia ragione e infatti ci sono molte idee distorte sul Medioevo, considerato “epoca buia” quando non lo era affatto, ma per il resto, ma chissenefrega dell’apologia della chiesa, la Chiesa, quella vera, è giustificata in Cristo, il resto non dobbiamo difenderlo, altrimenti tanto vale andare a “benedire il diavolo”, come si suol dire (è un detto popolare). E poi CHI è la Chiesa? siamo noi la Chiesa! Il resto, i corrotti, i violenti, i fanatici, si dicono chiesa ma non sono chiesa, sono come mele marce, ok? E non li puoi “scusare”, se qualcosa è sbagliato, lo è e basta, sia un prete o uno scienziato o un poveraccio a farlo, l’errore è errore.
Rispondo a Gibbi, solo per chiarire il pensiero che avevo espresso, considerando che la mia incomprensibilità dipendeva da differenze fra il mio concetto di verità e il suo.
Su Galileo non avevo alcuna intenzione di mettere in dubbio la ricostruzione dei fatti, perché ciò non era rilevante per il mio discorso: mi interessava solo sottolineare che l’idea di terra piatta, oggi, non ha più i requisiti per poter essere chiamata verità. A quei tempi fu chiamata “verità” solo per errore, ma non lo era.
Secondo me, ciò che l’uomo chiama “verità” è una scadente interpretazione di ciò che è Verità assoluta, pur nell’intenzione di rimanervi fedele. La Verità è talmente complessa che può uscire solo in piccola parte dalla bocca degli uomini. Essa stessa si rivela agli uomini, affiorando attraverso fatti e situazioni, ma essi continuano a fraintenderla.
Quella mancata libertà di cui lei parla (abiure, carcerazioni…) la intendo appunto come un atteggiamento poco accogliente verso la verità. Ritengo che, da allora, tale atteggiamento sia stato ampiamente superato: ne sono prova le recenti encicliche “Fides et Ratio” e “Caritas in Veritate”.
Mi scusi le involontarie semplificazioni, spero che almeno l’essenza del concetto che esprimo sia corretta.
PS: Vorrei incoraggiarla (se l’autore dell’articolo mi permette questo breve off-topic) a riaprire il suo blog: lei trattava argomenti che tuttoggi considero di estrema importanza.
La ringrazio per i chiarimenti e anche per l’incoraggiamento personale.
Ma devo aggiungere – se l’ottimo Giuliano Guzzo tollererà ancora per un attimo l’off topic – che quegli sforzi non hanno portato a risultati apprezzabili.
Per limiti probabilmente miei.
Pingback: Bignami del politicamente corretto
Ama il prossimo tuo come te stesso e basta! In altre parole: non fare ad altri quello che non vuoi sia fatto a te. Credo che possa valere come regola universale. Troppo elementare?
Perfetto Talin. sarebbe ampiamente sufficiente non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te.
Amare il prossimo tuo come te stesso, che sarebe l’ottimo, è troppo difficile: bisognerebbe essere dei santi. Vorrebbe dire comportarsi come Madre Teresa di Calcutta. E chi ce la fa?
E gli “altri”, non va inteso solo come singoli, ma anche come collettività. Pensa se i politici smettessero di rubare alla collettività…..
Dalla prima frase, per esempio, derivano automaticamente i diritti ed i doveri: se non vuoi essere derubato (diritto), non rubare (dovere).
E così per tutto il resto.