Attribuire al Santo Padre espressioni e prese di posizione non sue è un trucco già impiegato per deformare il pensiero di più pontefici, ma l’accostamento di Papa Francesco ad un intellettuale comunista quale fu Antonio Gramsci (1891–1937), fino a definirlo il «Papa partigiano», è un’acrobazia intellettuale mai vista, che merita di essere commentata. Autore del paragone è il sociologo Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera contro le mafie in Sicilia e collaboratore de L’Huffington Post, sul cui portale ha proposto questa originalissima tesi [1].
Una tesi che possiamo riassumere nella considerazione secondo cui la denuncia della «globalizzazione dell’indifferenza» operata con forza dal Papa rappresenterebbe una «frase che assume una portata storica poiché definisce, come diceva Gramsci […] l’indifferenza come peso morto della Storia. Perché in fin dei conti l’abulia ed il parassitismo sono vigliaccheria e quindi rifiuto del senso autentico della vita. Parole partigiane quelle di Papa Francesco che, sconvolgendo ogni protocollo, ha scelto di essere ultimo tra gli ultimi» [2].
Come molti avranno già intuito, trattasi di accostamento assai forzato, indebito e fuorviante. Per più ragioni. La prima, la più evidente, riguarda il fatto che Papa Francesco critica l’indifferenza mentre Gramsci, a partire da analoga critica, giungeva ben presto – come recita un suo celebre scritto del 1917 ripubblicato anche recentemente [3] – ad odiare gli indifferenti. Bergoglio invece non solo ovviamente non prova odio per alcuno, ma nella sua già celebre omelia pronunciata a Lampedusa, come dimostra un rapido esame delle 1,027 parole del testo, neppure nomina il sentimento dell’odio.
Ma, prima di questo, c’è un equivoco ancora più allarmante che deve essere superato: l’indifferenza contro cui si scaglia Francesco non è la stessa lamentata dal pensatore comunista. Infatti, mentre quest’ultimo si muoveva su un terreno culturale e politico, il secondo si pronuncia a livello antropologico e religioso; semplificando potremmo dire che mentre Gramsci attaccava l’indifferenza come passività [4] e assenza di impegno, Papa Francesco la prende di mira quale assenza di amore, che peraltro può essere superata solo domandando «al Signore la grazia». Siamo perciò su piani completamente diversi.
Verificata la debolezza della tesi di Di Maggio, l’occasione è propizia anche per un altro chiarimento: a Lampedusa il Romano pontefice non ha formulato, diversamente forse da taluni auspici, alcuna critica né ha richiesto alcuna modifica alla legislazione italiana in materia di immigrazione [5]. Prova ne è che si è limitato a riferirsi a quanti prendono «decisioni a livello mondiale», senza mai soffermarsi sul contesto nazionale. Non solo: ha esplicitamente preso di mira, nella critica all’indifferenza, l’«anestesia del cuore» che tocca tutti e non solo alcuni e che, come tale, deve essere affrontata senza interpretazioni partigiane o, peggio ancora, progressiste.
Anche perché la posizione della Chiesa in materia di immigrazione, centrata sul dovere dell’accoglienza ma anche sui «doveri dei migranti» verso il «paese che li accoglie» [6], non è certo cambiata con Lampedusa. Del resto sarebbe stato difficile per il Papa chiedere, come qualcuno auspicava [7], l’abolizione del reato di clandestinità tout court dopo che il Vaticano, fino a pochi anni fa, chiedeva a coloro che vi accedevano senza esserne cittadini d’essere muniti «di un permesso, secondo un modulo, da stabilirsi con provvedimento del Governatore, che, previo accertamento dell’identità personale, è rilasciato dai funzionari od agenti incaricati della custodia degli ingressi» [8], e a tutt’oggi non prevede alcuna forma, neppure temperata, di ius soli [9].
Per concludere, tralasciando letture forzate e paragoni quanto meno impropri, è bene che si mediti a lungo su quel che Papa Francesco – con una visita sicuramente importante e destinata a rimanere nella storia – ha detto a ciascuno di noi, in particolare laddove ci ha indicato quell’enorme pericolo di «pensare a noi stessi» che «ci rende insensibili alle grida degli altri» e «ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri». E’ bene meditare, dunque; però senza strumentalizzare queste parole, che tutto sono e vogliono essere fuorché un programma di partito.
Note: [1] Cfr. Di Maggio U. Il Papa partigiano. «L’Huffington Post», 9/7/2013; [2] Ibidem; [3] Gramsci A. Odio gli indifferenti, Chiarelettere, Milano 2011; [4] Cfr. Rossi P. Gramsci e la cultura contemporanea: atti, Volume 2, Editori riuniti, 1975,p. 135; [5] Cfr. Introvigne M. Lampedusa, quando l’uomo si crede Dio. «La Bussola Quotidiana», 9.7.2013; [6] «Doveri dei cittadini», Catechismo della Chiesa Cattolica, 2241; [7] Cfr. Staderini M. Immigrazione, la politica impari da Papa Francesco, «Radicali.it», 2.7.2013; [8] Legge sulla cittadinanza ed il soggiorno. 7 giugno 1929, «Acta Apostolicae Sedis», Supp. 1929, p. 14; [9] Cfr. Cittadinanza vaticana, «Vatican.va», Aggiornamento: 31.12.2001.
Si, il discorso di Francesco é ortodosso e non gramsciano, ma per capirlo ci vogliono spiegazione ortodosse piú lingo del discorso stesso. Mi domando, scrive i discosrsi col bisgno dell´interpretazione apposta? Anche lui sará d´accordo con le interpretazioni ortodosse?
Il presente articolo credo che esemplifichi in modo abbastanza inequivocabile il pacchiano tentativo, l’impellente urgenza direi, di ripristinare una pretesa e doverosa distanza (e superiorità) intellettuale tra le parole del Santo Padre e quelle di Antonio Gramsci. La mediocrità di tale tentativo ed il suo carattere dilettantistico è dato dal fatto che il confronto tra i due pensieri si fonda sulla circoscrizione dell’ analisi al solo “differenziale semantico” di termini o stralci di argomentazioni selezionati ad hoc. 1) Il “Papa pensiero” non può essere ricavato dall’esegesi del discorso di Lampedusa. Saggio sarebbe ampliare il riferimento a gesti, azioni e contenuti altri;
2) Chi ha scritto il presente articolo non ha mai letto (o, almeno, non in maniera diretta) l’intera opera di Gramsci; se ha letto qualcosa, lo ha interpretato adeguandolo al proprio pensiero socio-politico;
3) L’autore dell’articolo non riconosce (o, almeno, cerca di negare) un medesimo denominatore comune tra i due pensieri, che sono diversi ma affini: la filantropia che soggiace ad entrambi.
Caro Roberto, preciso che: a) non ho mai detto d’aver letto l'”intera opera di Gramsci”, dunque va a confutare, contento lei, un pensiero mai formulato; b) Dato che il “Papa pensiero” interpretato da Di Maggio si basa su quanto detto da Papa Francesco a Lampedusa, era il discorso di Lampedusa – e non un altro – quello da considerare; c) la presunta filantropia che accomunerebbe i pensieri di Papa Francesco e Antonio Gramsci – e che io non riconoscerei – non è dimostrata da alcuno. Tanto meno dal suo commento, che invece trasuda gratuita sentenziosità. La saluto.