C’erano una volta due influencer, marito e moglie, che, già popolari nei rami della moda e della musica, deciserodi buttarsi in quello della morte. Un giorno, chi lo sa, magari racconteranno così la svolta bioetica di Chiara Ferragni e Fedez i quali, da qualche tempo, hanno scelto di prestare la loro visibilità al servizio di battaglie etiche quanto meno opinabili. Lui infatti è oramai spalla fissa di Alessandro Zan, primo firmatario della controversa legge contro l’omobitransfobia, mentre lei, nelle scorse ore, ha deciso di tirare la volata alla campagna referendaria per l’eutanasia legale, proponendola ai suoi oltre 24 milioni di seguaci.

Beninteso, la battaglia per la “dolce morte” era già stata appoggiata dal marito, ma il fatto che la Ferragni abbia scelto a sua volta di rilanciara, fa senz’altro fare alla campagna un salto di qualità e, purtroppo, di gravità. La gravità consiste nel fatto che se, da un lato la reginetta dei social ha definitivamente esposto il suo pensiero sui temi etici («l’influencer non ha paura di mostrare al mondo le sue idee», ha subito titolato Cosmopolitan), dall’altro si tratta d’un pensiero della cui solidità ci permettiamo di dubitare. D’altra parte, è normale sia così. Non si può pretendere da chi nella vita fa tutt’altro una piena consapevolezza di argomenti complessi.

Il punto è che esortare 24 milioni di persone a sostenere l’eutanasia legale significa fare un’opera propagandistica di grande effetto, certo, ma fuorviante. Tanti, infatti, sono sul tema gli aspetti cruciali che a moltitudini follower rischiano di sfuggire. Ne riassumiamo solo un paio. Il primo è che non è vero che l’eutanasia legale – diversamente da quanto affermano i radicali, storici sponsor della battaglia oggi sposata dai Ferragnez – non toglierebbe nulla a nessuno, aggiungendo «solamente diritti di libertà». É invece vero l’opposto: l’eutanasia di Stato favorisce un clima in cui non chi soffre, ma solo chi è malato, dopo un po’, si sente invitato a togliersi di mezzo; sempre che non siano i medici a prendere direttamente l’iniziativa.

La prova? La grande impennata di morti on demand in tutti quei Paesi dove la “dolce morte” è diventata legale. Si prendano le morti assistite in Olanda: da 1.882 che erano nel 2002, nel 2019 sono risultata essere 6.361: più 238%. Un aumento così sconvolgente che, negli anni, ha portato alle dimissioni di vari medici, anche favorevoli all’eutanasia ma stanchi degli abusi cui assistevano. Per esempio, Berna van Baarsen, medico e bioeticista, dopo ben dieci anni d’onorato servizio non se l’è più sentita di continuare a far parte di un comitato regionale del suo Paese, l’Olanda appunto; ad indurre la dottoressa a lasciare è stato in particolare un fatto, e cioè l’eutanasia pratica sulle persone malate di mente.

Certo, si può pensare che quello olandese sia stato un esperimento sfortunato. Peccato che pure in Belgio sia accaduto lo stesso: i 235 casi del 2003 nel 2019 erano diventati 2.655: più 1030%. E pure qui, accanto ai numeri – già catastrofici –, non sono mancate storie da film horror. Come la vicenda della signora Godelieva De Troyer, soppressa appunto in Belgio nell’aprile 2012 con l’eutanasia all’età di 65 anni solo perché «depressa non trattabile»: e per di più all’insaputa dei familiari, che infatti hanno adito le vie legali. Il fatto è l’onda mortifera abbattutasi in Olanda e in Belgio si è verificata ovunque l’eutanasia legale sia stata introdotta; in altre parole, non si tratta di un’ipotesi sfortunata, bensì di una assoluta certezza.

Arriviamo così al secondo e ultimo nodo da chiarire, e cioè che non serve esser cattolici – per la verità, manco credenti – per considerare l’eutanasia legale per ciò che è davvero, ossia un orrore. Lo provano le parole, con cui scegliamo di congedarci, d’una grande giornalista che era sia laica sia molto malata, Oriana Fallaci, la quale tuttavia non ebbe paura di dichiarare il proprio sentimento di rigetto verso la “dolce morte”. «La parola eutanasia», disse infatti l’autrice fiorentina, «è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte è morte e basta». Ecco, anziché pender dalle labbra dei giovani e belli Ferragnez, sull’eutanasia sarebbe più utile riflettere sulle parole della laica e malata Fallaci.

Giuliano Guzzo

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