In Emilia Romagna, sia che la spunti Stefano Bonaccini sia che – con una vittoria storica – si imponga Lucia Borgonzoni, il dato politico è uno ed già assai evidente: la sconfitta del Pd. Una forza che il segretario Nicola Zingaretti ha annunciato di voler riformare – «non un nuovo partito, ma un partito nuovo», ha dichiarato sulla scia di una vecchia pubblicità di pennelli – e che, soprattutto, è stata assente due volte in campagna elettorale. Infatti, Bonaccini ha impostato la sua corsa alla rielezione tutta su sé stesso, lasciando ben da parte il simbolo di partito.

Non solo. Pure i big democratici – verosimilmente su richiesta di Bonaccini stesso – si sono tenuti al largo dall’Emilia Romagna, che pure si contende con la Toscana lo scettro di roccaforte rossa. Ancora, che cos’è stato – e che cos’è – il fenomeno delle Sardine, se non un lifting mediatico per il Pd, tornato in piazza sotto falso nome? La sensazione è insomma che non solo il partito progressista italiano sia per molti aspetti quasi impresentabile – specie dopo il matrimonio contro natura coi 5 Stelle -, ma che i suoi stessi militanti ed esponenti di punta sian ormai giunti a detta conclusione.

Naturalmente, in caso oggi la spuntasse Bonaccini tutto ciò verrà minimizzato; anzi, conoscendo la faccia tosta di certo establishment giornalistico, si arriverà perfino a dipingere l’Emilia Romagna rimasta rossa come uno spettacolare trionfo. Tuttavia, non le congetture ma l’evidenza – poc’anzi riassunta per sommi capi – dice altro. E segnala che il partito gradito alle élite (chiedersi come mai Soros si sia fatto ricevere a Palazzo Chigi proprio quando il premier era il piddino Gentiloni) è sempre meno gradito ad un elettorato che, per quanto spaesato e privo di certezze, pare aver quanto meno capito una cosa: quello che non vuole.

Giuliano Guzzo