Condividere contenuti, mettere “mi piace”, chiedere l’amicizia. Solo a nominarle, le funzioni principali di Facebook, il re dei social network, evocano un clima di prossimità, di armonia, quasi di affetto. Purtroppo però, tra come il mondo social e in generale della Rete dovrebbe essere, e come poi è in realtà, si scava quotidianamente un divario, un vulcano eruttante irrisione, cinismo, spesso malvagità vera e propria. E la triste vicenda di Tiziana Cantone – la ragazza di Napoli che si è tolta la vita in seguito alla diffusione virale di una serie di suoi video hard che lei, del tutto ingenuamente, aveva inviato a cinque suoi contatti – è in buona parte espressione proprio di questo: di mancanza di sensibilità, di egoismo, d’incapacità di interrogarsi sull’origine dei quei video. Da questo punto di vista, le responsabilità sono certamente anche dei media e dei giornalisti.
Ha scritto Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it: «Ilfattoquotidiano.it, al pari di molte altre testate e siti online, si è comportato in maniera gravemente negligente sul caso di Tiziana Cantone […] Un articolo che dava conto del fenomeno esploso intorno al suo nome. Nel pezzo si raccontava come venissero vendute magliette che riportavano una frase da lei pronunciata, si parlava dei gruppi Facebook a lei dedicati, delle parodie e dei tanti video satirici che spopolavano su YouTube. Sbagliando avevamo trattato la cosa come una sorta di fenomeno di costume […] L’errore commesso è evidente e innegabile. Non eravamo davanti a un caso di costume, ma un caso di cronaca che come tale andava trattato e approfondito per poi avere in mano elementi sufficienti per decidere se pubblicare o meno». Sarebbe tuttavia molto semplicistico fermarsi qui.
I giornalisti, i social network e il web hanno difatti una responsabilità limitata su una vicenda che è stata anche giudiziaria (la donna si era vista riconoscere il diritto all’oblio, salvo poi essere condannata a pagare le spese giudiziarie perché “consenziente”) e riflettendo sulla quale mi è tornata in mente una frase letta anni fa. Diceva più o meno così: appena navigate su internet, attenti a non incontrare brutta gente; dopo un po’, attenti a non diventare brutta gente. Ora, non per esagerare in sintesi ma ritengo che queste parole, che vanno al di là del mero cyberbullismo, dicano molto sia della Rete, spesso canale di narcisismo estremo, odio e indifferenza, sia di noi, frequentatori di una “realtà virtuale” che non esiste non perché immaginaria, ma perché estensione della reale. Certo, sul web è assai più semplice celarsi, mentire, spacciarsi per qualcun altro; ma la cattiveria e il cinismo che ci portiamo dentro no, quelli restano.
Ecco perché, se da un lato c’è da augurarsi che la giustizia faccia il suo corso sulla tristissima vicenda che ha avuto come protagonista-vittima Tiziana, la quale ingenuamente ignorava con quanta rapidità una telecamera possa trasformarsi in un patibolo dove vieni privato della dignità, dall’altro faremmo bene, noi tutti spettatori di questa storia, a non fingerci estranei e a ricordarci, qualora ci venisse in mente di condividere video, articoli o fotografie di un certo tipo, che dietro un volto o un corpo c’è sempre e comunque una persona, un vissuto, un’anima soprattutto. Perché il vero guaio della Rete, nel momento in cui – come si diceva poc’anzi – distrae dalla consapevolezza di essere espressione della realtà, è di liberare gli istinti peggiori facendoci dimenticare che ogni click è un’azione. E, parafrasando quanto si sente spesso dire nei film americani, tutto ciò che clicchiamo potrà essere usato contro di noi.
Affinché questa tragedia possa insegnare qualcosa, senza sprofondare presto nella cronaca passata, è dunque il caso di farsi – tutti – un serio esame di coscienza. Lo dobbiamo certamente alla memoria di Tiziana, spinta nel vuoto dall’ingannevole e illusoria ricerca di apprezzamento che può procurare il sapersi vista e apprezzata, ma lo dobbiamo anche a noi stessi, che a differenza sua abbiamo ancora la possibilità di vivere e di lottare con lo straordinario potere di navigare nella vita di tutti i giorni, dentro e fuori la Rete, rendendoci testimoni di speranza e ambasciatori del buonumore. Perché non c’è davvero nessun modo migliore per cambiare le cose, in questa nostra babelica e tormentata epoca, che diventare noi per primi la persona pulita che vorremmo incontrare, il collega leale che sogniamo di trovarci nell’ufficio accanto, colui che vorremmo che ci chiedesse l’Amicizia dimostrando, nei fatti, di saperla onorare.
“E la triste vicenda di Tiziana Cantone – la ragazza di Napoli che si è tolta la vita in seguito alla diffusione virale di una serie di suoi video hard che lei, del tutto ingenuamente, aveva inviato a cinque suoi contatti – è in buona parte espressione proprio di questo: di mancanza di sensibilità, di egoismo, d’incapacità di interrogarsi sull’origine dei quei video.”
E di nuovo:
“…tristissima vicenda che ha avuto come protagonista-vittima Tiziana, la quale ingenuamente ignorava con quanta rapidità una telecamera possa trasformarsi in un patibolo dove vieni privato della dignità”
Mi spiace dirlo, ma leggo una spalmata di mieloso pietismo sull’analisi di questa vicenda…
Parole come “ingenuamente” ripetuto due volte, e la parola “dignità” di cui sarebbe stata privata, mi paiono del tutto fuori luogo, mosse forse da una pietà comunque sempre dovuta alla persona che fa una scelta disperata e disgraziata come quella di togliesi la vita.
Ma “ingenuamente”?
E’ forse una azione “ingenua” filmarsi nella propria intimità per poi “distribuire” questo video ad altri? (hard è un eufemismo per pornografia o cosa?).
5, 50, 100 persone, fa tanta differenza?
E’ azione ingenua 31 anni (mi pare) al giorno d’oggi? O a essere buoni stupida e sprovveduta per non dire una sicura stoltezza?
Quindi dove starebbe la “privazione della dignità”, di chi ha scelto di privarsene già prima condividendo la propria “intimità più intima” con chicchessia?
Ora chi vuol fraintendere ciò che scrivo, dirà che giudico – sia ma i fatti non la persona! – che sono insensibile – che starei in buona sostanza affermando che “se l’è cercata…”
Niente di più FALSO ed errato.
Sto solo cercando di andare all’origine del problema, o per lo meno a quell’origine di problema che ci espone può esporre a tutto quello che ne consegue (amici-iene | social-gogna | web-trappola) dove poi possiamo anche cercare singole responsabilità e altrettanti comportamenti devianti e deviati.
Parlo di una sessualità ormai mercificata da noi stessi in prima persona (attori-vittime) che si crede ormai essere completamente libera e liberalizzata, per poi accorgersi che ancora (e meno male) è capace di ferirci nell’anima.
Parlo dell’inganno dell’avere il proprio “momento di gloria” e “visibilità” – vogliamo ricordare anche chi mette in scena e in rete anche il suo ultimo istante di vita, preannunciandolo per poter fare il conto dei followers (e sono tutti giovani) – che poi immancabilmente ti si ritorce contro, quando è cercato ad ogni costo… appunto qual è il costo, quale il conto che ti viene chiesto di pagare?
E spiritualmente parlando, chi viene a batter cassa e a chiederti di “pagare il conto”?
Spero sul chi, non vi siano fraintendimenti … l’Accusatore, menzognero e omicida da sempre.
Lei non aveva mai incontrato l’Amore, il solo Amico che non tradisce e – grazie al quale, grazie alla sua Presenza – non ti senti costretto a cercare altrove un’amicizia, qualcuno o qualcosa che riempia quel vuoto di Amore che senti dentro.
Gli altri, forse anche noi, non abbiamo mai incontrato l’Amore, quel solo Amico che non tradisce e ti rispetta, anzi ti ama follemente, e ti insegna a fare altrettanto con il tuo prossimo, infondendoti, poco a poco, il Suo Spirito
Che ti insegna anche a rispettare te stesso…
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Non mi capacito come ancora non si sia arrivati al divieto di utilizzare i social (fb,whatsapp non internet in sè) ai minori di 18 (anche se vedendo che nemmeno a 31 anni ci si arriva…).
Sono invece i genitori i primi a inviare senza freni i figli all’uso spasmodico di internet iniziando a pochi mesi del pargolo e pubblicando il bimbetto santo e totalmente nudo che fa il bagnetto e l’ultima cosa che gli insegnano è fare una ricerca come si conviene! Peggio degli adolescenti al telefono sono i 40enni al telefono…
Tecnicamente come dovrebbe funzionare il divieto ai non diciottenni?
Carica la tua carta d’identità?
O con la ridicola domandina “hai più di 18 anni? SI / NO
Poi i social no e l’accesso alla rete si? O nulla di nulla?
E infine compiuti i 18 via libera ad ogni demenza…
Si è vergognata perché le sue “intimità” sono andate a finire sul Web, ma il suo precedente profilo esistenziale non sembra affatto essere stato esemplare in termini di morale cristiana. Tutt’altro