Nei giorni scorsi due attiviste di estrema sinistra travestite da agenti di polizia hanno assalito, devastandolo a colpi di manganello, il grande presepe nella Gran Place di Bruxelles. In un istituto di Bergamo, invece, il presepe è stato direttamente vietato dal preside perché a suo dire discriminerebbe e ieri un giovanotto, noto come “il nazista dell’Illinois”, ha condiviso su facebook inviando i suoi seguaci a fare altrettanto fotografie di se stesso insieme ad una pornoattrice intenta a scimmiottare la Madonna. Mancano ancora più di due settimane al giorno di Natale, ma l’odio anticristiano è già protagonista indiscusso delle cronache, nazionali e non.
Naturalmente si può benissimo giocare la carta della minimizzazione, ma i fatti – per chiunque non abbia i paraocchi – parlano chiaro. E confermano che il sociologo Philip Jenkins ha ragione da vendere quando rileva che l’anticattolicesimo, ormai, è «l’ultimo pregiudizio accettabile»; non puoi muovere critiche all’immigrazione incontrollata che subito scatta l’accusa di razzismo, non puoi sollevare perplessità verso le rivendicazioni LGBT che c’è già lì, pronto ad aspettarti, il marchio infamante di omofobia. Però contro la Chiesa e i cattolici non solo tutto è permesso, ma financo la più escrementizia delle provocazioni viene elevata a gesto eroico, a solenne esercizio di critica.
E le responsabilità di tutto questo di chi sono? Di più d’uno, ovvio. Certo è che i diretti interessati, vale a dire i cristiani, da un po’ di tempo hanno smesso, per così dire, di fare il loro mestiere. Che non è quello di appiccare roghi o scatenare crociate, ma non è neppure quello di porgere a priori l’altra guancia o di ignorare quel vento preoccupante che oggi permea parlamenti e università, redazioni e scuole. Il livore anticristiano e contro il Natale, infatti, c’è ed è esibito sguaiatamente. Vogliamo dividerci sulla risposta da dare? Dividiamoci pure – anche se una strada non esclude l’altra – fra preghiera e reazione, fra silenzio e parola. Non facciamo però più finta di nulla; perché martiri sì, se tocca: ma fessi no.
Tutti quelli che odiano il Natale possono benissimo andare al lavoro il 25 Dicembre, cosi’ come i bambini che sono “offesi” dal presepe possono fare lezione disinteressandosi di quello che fanno gli altri.
Scrive bene Pietro: sarebbe un fatto di coerenza.
Beh, sulla falsariga del “chi non vuole lavorare neppure mangi” (san Paolo, mica Karl Marx) direi che sarebbe solo corretto che chi non vuole il Bambinello neppure facesse il ponticello. Ma di certo si troverebbe l’éscamotage: eliminiamo il Santo Natale e celebriamo il solstizio, o la festa delle luci o il Sol Invictus o l’omone della Coca Cola…