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In occasione della festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, torna a Messa una delle letture più problematiche, per usare un eufemismo, di tutto il Nuovo Testamento. Dice san Paolo: «Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino» (Col 3,18-21). Ora, che queste parole – in particolare il passaggio sulle mogli e sui mariti -, siano tremendamente ostili al politically correct, è spesso testimoniato dalle stesse omelie. Non è infatti raro che i sacerdoti, quando non scelgono di fare direttamente finta di nulla per evitare lo scandalo fra i fedeli (già in chiesa oggigiorno vengono  in pochi – è il pensiero di alcuni pastori non troppo coraggiosi -, se poi ci mettiamo a dire pure tutta la verità, nuda e cruda, siamo spacciati), arrivino o a dare a Paolo di Tarso del maschilista ante litteram oppure ad affermare che lui, l’apostolo delle genti, voleva sostenere altro ma, poveretto, si è espresso male.

La realtà è invece diversa e, piaccia o meno, scomoda. Prigioniero a Roma, san Paolo infatti scrisse proprio così: «Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza». Costanza Miriano, moglie e madre, ha provato recentemente a farlo presente nei propri libri ed è stata attaccata da laici che le rimproverano di essere troppo cattolica e, talvolta, da cattolici che le rimproverano di essere troppo semplicistica. Lungi dal fare l’avvocato della Miriano – che non ne ha bisogno -, mi limito a ribadire quanto sottolineavo poc’anzi, e cioè che san Paolo, quelle benedette parole, le effettivamente ha scritte. E confesso che vedere criticata già allora la mentalità dominante odierna, e vedere anticipato di millenni parte di quel che Pascal Bruckner – laureatosi con una tesi sulla liberazione sessuale e ora assertore dell’inevitabile fallimento del matrimonio romantico, retto dall’amore senza responsabilità, dal sentimento individuale senza sopportazione reciproca (Cfr. Le mariage d’amour a-t-il échoué?, Grasset, 2010) – dice oggi, mi fa pensare che Paolo sapesse fin troppo bene quel che scriveva.