Come non di rado accade, alle rivoluzioni fasulle – complici i mass media – badano tutti, mentre quelle autentiche, e magari discutibili, passano sotto silenzio. E’ il caso, con riferimento a quanto annunciato ieri dal premier Enrico Letta, dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e alla cancellazione delle differenze tra figli naturali e figli legittimi: il primo provvedimento, benché parziale e non in vigore effettivo da oggi (saranno aboliti i finanziamenti diretti e solo dal 2017) ha rubato la scena al secondo, definitivo e con effetti immediati.
Che significa cancellazione delle differenze tra figli naturali e figli legittimi? Significa eguaglianza giuridica fra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Così – ha precisato fieramente Letta – si «toglie dal codice civile qualunque aggettivazione alla parola figli: da adesso in poi saranno tutti figli e basta». Apparentemente, si tratta di una innovazione positiva come positiva, oggi, è automaticamente ritenuta qualsivoglia misura accompagnata dalla sigla, eufonica e rassicurante, “parità dei diritti”. Solo apparentemente però. Infatti, basta una breve riflessione per capire che questa misura è l’esatto contrario di ciò che sembra.
Vediamo perché precisando subito, a scanso d’equivoci, che quello annunciato dal premier va solo a completare quanto già disposto dalla Ln. 10/12/2012 n. 219, e comunque – questo è il punto – una differenza fra figli naturali e figli legittimi non comportava che ai primi fossero negati diritti fondamentali. Chi asserisce il contrario, se non è poco informato, mente sapendo di mentire giacché il nostro ordinamento, da sempre, riconosce anche ai figli nati fuori dal matrimonio i diritti fondamentali (alla vita, alla salute, all’educazione) che riconosce a quelli legittimi. Una crudele discriminazione, insomma, non è mai esistita. Ciò detto, delle differenze di trattamento, effettivamente, erano previste tra figli legittimi e figli naturali.
Perché? Per quale ragione? Forse i venerati Padri Costituenti, in cuor loro, erano ostili al principio di uguaglianza? Certo che no. Anzi, vi credevano fermamente. E il principio di eguaglianza – posto che ad ogni persona, lo ribadiamo, vanno riconosciuti a prescindere i diritti fondamentali – stabilisce che non vi debbano essere discriminazioni e che a casistiche identiche spetti, di conseguenza, il medesimo trattamento. Ma è proprio questo il punto: i figli nati fuori dal matrimonio si trovano nella stessa condizione degli altri? Purtroppo no, una differenza c’è; e nessuna legge, piaccia o meno, potrà negarla,
Una differenza oggettiva che il nostro ordinamento non solo non negava ma sottolineava su più versanti – alimenti, mantenimento, successione, donazioni, ecc. – non già per il gusto di accanirsi contro dei figli ai quali comunque, insistiamo, ha sempre riconosciuto i diritti fondamentali, ma per una funzione ben precisa, e cioè quella di orientare i consociati alla consapevolezza che il solo luogo idoneo alla nascita (e, va da sé, all’educazione) di un figlio fosse, per l’appunto, il matrimonio. La presunta discriminazione – che poi discriminazione non era in quanto rimarcava per legge differenze di fatto che di fatto anche oggi rimangono – non era dunque casuale ma voluta.
Umberto Merlin (1885 – 1964) in seno all’Assemblea Costituente ebbe modo di sottolinearlo spiegando l’importanza di tutelare solo la famiglia legittima non per danneggiare i figli, ma per il loro bene: «La famiglia legittima – disse – è soltanto quella costituita dal padre, dalla madre e dai figli che sono nati da loro. Se elevassimo i figli illegittimi alla parità, noi abbasseremmo i legittimi, e questo non si può fare se non a patto di danneggiare la difesa della famiglia legittima, l’unica che deve essere riconosciuta» (15/4/47). Il ragionamento – che oggi sarebbe apostrofato come retrivo e conservatore – non fa una grinza.
Viceversa, con la parificazione totale fra figli legittimi e figli naturali si stabilisce il principio per cui una coppia non deve nemmeno porsi il problema, prima di mettere al mondo un figlio, di sposarsi: deve farlo e basta. Ed anche se l’ordinamento, matrimonio o meno, tutelerà nella stessa misura tutti i figli a prescindere, questi – se nati e cresciuti fuori dal vincolo coniugale – non saranno di fatto tutelati giacché, rispetto agli altri, correranno in media più rischi in ordine ad alfabetizzazione [1], povertà [2], violenza domestica [3], crimini violenti [4], problemi comportamentali [5], perfino obesità [6]. Questo significa che uno Stato che non fa nulla per promuovere il matrimonio come luogo di formazione della famiglia legittima, non è uno Stato per i figli ma contro i figli. E meraviglia che in molti, sedotti dalle sirene della “parità dei diritti”, non se ne accorgano.
Note: [1] Cfr. AA. VV. Two, one or no parents? (2013) «World Family Map Project», pp. 1-72; Amato P.R. (2005) The impact of family formation change on the cognitive, social, and emotional well-being of the next generation. «Future Child»;15(2):75-96;[2] Cfr. Rector R. (2012) Marriage: America’s Greatest Weapon Against Child Poverty. «Special Report from Domestic Policy Studies»; 1-15; [3] Cfr. Ardèvol J. (2013) La ecuación áurea: Una verificación empírica de la función económica de la familia. «Institut del Capital Social. Universitat Abat Oliba CEU»; 1-9; [4] Cfr. White N. –Lauritsen J.L. (2012) Violent Crime Against Youth, 1994–2010. «Bureau of Justice Statistics»; NCJ 240106; [5] Cfr. Moore K.A. –Kinghorn A. – Bandy T. (2011) Parental relationship quality and child outcomes across subgroups. «Child Trends»; 13: 1-11; [6] Cfr. Augustine J. – Kimbro R. T. (2013) Family Structure and Obesity Among U.S. Children. «Journal of Applied Research on Children: Informing Policy for Children at Risk»;4,(1).

Ciao Giuliano, come sempre io e te siamo in disaccordo.
Innanzi tutto, come ben sai, la differenziazione sussistente fra i figli nati in costanza di matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio non affonda le sue radici nel testo costituzionale, bensì nel codice civile del ’42. La Costituzione come ben sai all’art 30, porta una grande tutela ai figli nati fuori dal matrimonio e cito “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”(30, comma1) e “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”(30, comma 3). La disparità di trattamento risale ahimè al 20ennio fascista ed è un residuato di quel tipo di società, che mirava a tutelare non già gli interessi dei figli, bensì l’interesse della stirpe, nella misura in cui non obbligava il capofamiglia ad impiegare sostanze familiari nel mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, e nella misura in cui non erano riconosciuti taluni diritti successori. Rileva, sicuramente, che il nostro ordinamento di certo conferisce una maggiore tutela alla famiglia, società naturale fondata sul matrimonio, ma non è vero che questa posizione vada interpretata nel senso che prima di fare un figlio bisogna pensare a sposarsi(parafrasando quello che tu hai detto, ben più elegantemente), anche perchè il figlio nato fuori dal matrimonio, quando i genitori si uniscono in matrimonio, viene legittimato al pari di quelli nati in costanza del legame di coniugio. E concludo, che questo processo di avvicinamento,fra le situazioni dei figli è nato prima che nelle aule del parlamento, nella corti. Questa mossa pubblicitaria di espungere dall’ordinamento l’aggettivo, altro non è che la conclusione di 40 anni di evoluzione del diritto di famiglia,una mossa che di certo non muta alcuna situazione, ma non credo che debba essere trattata con i toni apocalittici che hai usato tu.
Un abbraccio
Francesco Barone
Caro Francesco, ringraziandoTi per la risposta pacata, precisa e ben argomentata (magari fossero tutte così!), mi limito a due rapide osservazioni. La prima: l’incoraggiamento a sposarsi prima di procreare può, come dici, non essere esplicito ma proprio il fatto – da Te giustamente ricordato – che anche «il figlio nato fuori dal matrimonio, quando i genitori si uniscono in matrimonio, viene legittimato al pari di quelli nati in costanza del legame di coniugio», a mio avviso attestava l’importanza riservata dall’ordinamento al matrimonio (importanza che ora viene annullata con la mancata distinzione fra naturali e legittimi) e pertanto l’idea che fosse bene, per una compiuta tutela giuridica del figlio, sposarsi, ne era fino a ieri un cristallino riflesso. Sono pienamente d’accordo con Te, infine, sul fatto che il provvedimento del Governo si collochi a «conclusione di 40 anni di evoluzione del diritto di famiglia»: il punto è di quale «evoluzione» si tratti. Anche tralasciando la dimensione valoriale, i responsi demografici, sociologi e psicologici, in proposito, sono purtroppo molto chiari. Ti ringrazio ancora, un abbraccio.
Giuliano
Solitamente sono d’accordo con lei, ma in questo caso dissento: é vero che le differenze erano marginali e che non si trattava di diritti fondamentali ma credo che comunque fossero i figli a fare le spese di questa, seppur limitata, disparità e non penso che sia giusto che i figli subiscano le conseguenze delle scelte dei genitori. È sicuramente necessario promuovere la famiglia ma in altro modo.
Sono d’accordo con l’idea che i figli non devono subire discriminazione, perche’ non e’ certo colpa loro se i genitori non erano sposati.
Quello che forse si potrebbe fare e’ riconoscere dei diritti in piu’ ai genitori uniti in matrimonio rispetto a coloro i quali non lo fanno, per esempio proprio in materia di prole. Le persone che si sposano si prendono delle responsabilita’ davanti alla Legge; non ritengo sia allora sbagliato che abbiano anche piu’ diritti.
“i figli – se nati e cresciuti fuori dal vincolo coniugale – non saranno di fatto tutelati giacché, rispetto agli altri, correranno in media più rischi in ordine ad alfabetizzazione, povertà, violenza domestica, crimini violenti, problemi comportamentali, perfino obesità.”
Ne consegue che è sufficiente che i genitori si sposino perché i figli corrano meno rischi in ordine ad alfabetizzazione, povertà, violenza domestica, crimini violenti, problemi comportamentali, perfino obesità?
O non c’è invece qualche correlazione tra situazione socio-economica dei genitori e situazione sociale e comportamentale dei figli, che non sarebbe eliminata dal matrimonio dei genitori?
I figli di due genitori poveri e analfabeti, non sposati, rimangono figli di genitori poveri e analfabeti anche se questi ultimi due si sposano: o no?
“Ne consegue che E’ SUFFICIENTE che i genitori si sposino perché i figli corrano meno rischi in ordine ad alfabetizzazione, povertà, violenza domestica, crimini violenti, problemi comportamentali, perfino obesità?”. Mai insinuato nulla di simile. Molto semplicemente, il matrimonio assicura una stabilità affettiva che, come tale, produce frutti ben diversi del precariato affettivo, che è quasi sempre voluto giacché – come i nostri nonni e bisnonni ci insegnano – il matrimonio non è roba da ricchi, ma da uomini. Saluti.