
Si può ancora sorridere del brigatismo e dell’uccisione di Aldo Moro? A quanto pare sì. Apprendo infatti dal Corriere della Sera – non da qualche oscura testata nostalgica del Ventennio -, che sul proprio profilo Instagram tale Agnese Tumicelli, 21 anni, presidente del Consiglio studentesco nonché componente del Consiglio di amministrazione dell’Ateneo trentino avrebbe condiviso numerosi post che vorrebbero ironizzare, appunto, proprio sul brigatismo. Gli screenshot dei post in oggetto, in effetti, paiono più che inequivocabili: ritraggono una maglietta con una «Barbie brigatista» e perfino una ricostruzione – che dovrebbe far sorridere, evidentemente – di come Aldo Moro venne ritrovato cadavere il 9 maggio 1978, all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma.
Il caso è già arrivato in Parlamento, con la denuncia del deputato di Fdi, Alessandro Urzì, e non intendo fare alcuna valutazione politica. Mi limito a registrare, anche per prevenire risposte su vere o presunte “bravate” di altri studenti «di destra» (che l’imbecillità, come dire, metta radici ovunque è noto), che l’accaduto è doppiamente grave, in questo caso, per dov’è avvenuto: e cioè all’Università di Trento. Che, per quanto la studentessa in questione sia iscritta a giurisprudenza – e non a sociologia -, resta comunque l’ateneo dove l’embrione del brigatismo venne concepito. Me l’ha confermato in un’intervista il decano dei giornalisti trentini, Luigi Sardi – uno che del mitico ’68 a Trento (in realtà detonato già nel 1966) è stato, da cronista, testimone diretto -, raccontandomi dei fatali legami che, nella prima facoltà trentina, quella di sociologia, vennero ad instaurarsi tra Renato Curcio, Mara Cagol e Marco Pisetta.
Legami, quelli tra gli allora futuri brigatisti, che destano un imbarazzo tale cui, ancora oggi, molti a Trento tengono a sottolineare come le Brigate Rosse si siano costituite in quel di Milano. Vero. Tuttavia, anche se formatesi altrove è a Trento, mi ha spiegato Sardi, «che le Br hanno avuto mentalmente, psicologicamente e culturalmente il loro principio. Sempre che di cultura si possa parlare, per una banda di assassini». Ecco, è per questo che i post Instagram in questione – che sarebbero indecenti e vergognosi per qualunque studente universitario, anche privo di qualsivoglia titolo di rappresentanza – rappresentano uno scavo nell’abisso: perché fanno riaffiorare, sia pure sotto forma di (molto) presunta ironia, una certa simbologia proprio là dove ci si augurava di non vederla mai più. Ma purtroppo la storia, lo sappiamo, è destinata a ripetersi.
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