No, ieri non si è permessa alcuna adozione gay. Non formalmente, almeno. Ad essere precisi, infatti, la sentenza del Tribunale dei minorenni di Roma che sta facendo tanto discutere altro non è stata che l’esito (positivo) della procedura di adozione avanzata da una singola donna convivente con un’altra, la madre effettiva e legale della bambina. Si tratta dunque di una decisione che, come pure quella del novembre scorso – quando una bimba di tre anni, in Emilia Romagna, è stata data in affido temporaneo ad una coppia di uomini -, non equivale, in prospettiva giuridica, ad un’adozione gay. Questa doverosa precisazione, tuttavia, non ridimensiona la gravità di una sentenza critica su molteplici versanti: anzitutto quello giuridico – che ne è del fatto che, per il nostro ordinamento, «l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni» (L. 28 marzo 2001, n. 149)? -, quello politico – cosa si aspetta ad intervenire per arginare l’avvilente festival delle “sentenze creative”? – e quello mediatico – a che finalità risponde la scelta di falsificare una notizia se non a quella, ben poco nobile, della propaganda? Se però si solleva lo sguardo, ci si accorge che il vero scontro si sta consumando su un altro livello, decisivo rispetto a tutti gli altri: quello antropologico.
In gioco non c’è cioè una particolare concezione normativa o valoriale, bensì un dato fondamentale per la sopravvivenza stessa di ogni comunità. Un dato chiamato famiglia e che, nel nostro caso, solleva interrogativi semplici quanto prioritari: papà e mamma sono o no diritto inviolabile di ogni bambino? Possiamo sinceramente ritenere che l’amore – inteso come insieme di buone intenzioni – basti a pensionare la centralità educativa dell’istituto familiare? Attenzione: qui non si sta discutendo o negando a persone di tendenze non eterosessuali la possibilità di vivere sentimenti profondi e sinceri; evitiamo, se possibile, di arenarci sempre nell’assurdo accostamento fra difesa della famiglia e istigazione alla cosiddetta omofobia. Qui si sta ragionando su ben altro, vale a dire sul fatto che un uomo ed una donna – con il loro carico d’immensa diversità esistenziale e comportamentale, che le influenze culturali spiegano solo in minima parte – costituiscono un requisito inderogabile per la crescita equilibrata dei loro figli. E non perché lo dica la Costituzione X o lo prescriva la legge Y o lo abbia stabilito il Tribunale Z, ma perché trattasi di verità connaturata all’umanità ed avvertita trasversalmente.
Non è un caso che anche persone omosessuali – nonostante questo irriti non poco associazionismo LGBT e compagni, che per replicare da lato fanno finta di nulla e dall’altro agitano lo spauracchio dell’“omofobia interiorizzata” – si uniscano spontaneamente a quanti sostengono il diritto dei più piccoli ad avere un padre ed una madre. Poi è chiaro: ci sono giovani che, pur crescendo in famiglie formato Mulino Bianco, incontrano forti e in qualche caso drammatiche difficoltà esistenziali; neppure mancano bambini orfani che, una volta adulti, diventano persone pienamente realizzate. Ma non è l’eccezione che ora interessa, bensì la regola, tenendo presente che non basta avere un padre ed una madre per vivere felici e contenti, né alcuno l’afferma. Il punto, tornando agli interrogativi rammentati poc’anzi, è dunque chiedersi se siamo davvero disposti a ritenere la famiglia una sorta di fossile oppure se la crediamo ancora un istituto valido. In quel caso, se rimaniamo convinti dell’importanza di quella che un tempo si chiamava la “cellula della società”, non serve avviare alcun dibattito sulle adozioni gay. Perché, fortunatamente, abbiamo già la risposta. E dobbiamo scandirla e, soprattutto, ripeterla per far capire a chi seguita a dipingerci come pazzi fuori dal mondo che no, noi non taceremo.

Caro Guzzo, per commentare le sentenze bisogna prima leggerle. Lei cita la legge 149/2001, che all’art. 6 recita in effetti che «l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni». Se avesse avuto la pazienza di leggere la sentenza (o se avesse dato un’occhiata ai commenti più informati che stanno già apparendo qua e là) avrebbe appreso che i giudici hanno fatto riferimento all’art. 25, commi 1.d e 3 della medesima legge: «I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7 […] quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. […] Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, *anche a chi non è coniugato*». Dopo aver letto la sentenza lei forse avrà comunque da ridire sull’interpretazione della legge da parte dei giudici, ma almeno l’oggetto della sua critica sarà reale e non immaginario.
Caro Regalzi, La ringrazio per l’utile puntualizzazione, che però temo non depotenzi la gravità di un fatto che in realtà investe solo parzialmente il versante giuridico, avendo purtroppo- come ho cercato di mettere in luce – ben altre implicazioni. Grazie comunque per la precisazione e per l’attenzione.
La realtà odierna, purtroppo, è questa: i diritti fondamentali dei bambini non reggono più dinanzi alle pretese degli adulti. Siamo in presenza, infatti, di un processo di imbarbarimento della società.
Mi pare che l´argomento del diritto dei bambini ad un babbo ed una mamma sia debolissimo. Cosa facciamo con i vedovi?
L´altro problema dell´addozione da parte di copie omosessuali é che dopo la Chiesa battezza quei bambini, il che é un riconoscimento alla paternitá di quelle coppie.
Riporto una considerazione d’altri, non e’ farina del mio sacco. Ma non la penso in maniera molto diversa.
“[…] ma penso anche che generare un figlio privandolo, intenzionalmente, del padre o della madre, sia moralmente deprecabile. Certo, come dici tu, nei secoli di bambini nati da padre ignoto ce ne sono stati a bizzeffe…ma è questa la condizione ideale che io vorrei regalare a mio figlio ? Da sempre accade che i bambini nascano senza un padre o una madre….ma questa è una condizione auspicabile? Non è forse sempre fonte di una qualche forma di disagio? E perchè dovresti desiderare questo per tuo figlio, la creatura che dovresti amare sopra ogni cosa?”
Che sia una cosa desiderabile non lo transforma in un diritto.
Forse no. D’altra parte, nemmeno il desiderio di avere un bambino e’ automaticamente un diritto ad averlo.
Invece i bambini, esseri umani particolarmente vulnerabili, vanno messi nelle condizioni migliori. Toglierli – intenzionalmente – un padre ed una madre non credo che lo sia.