Fate presto e preparatevi: manca poco. Ancora una manciata di ore e sarà Natale. Finalmente, penseranno sollevati tanti. In effetti, l’appuntamento è molto importante e carico di atmosfera. Peccato che, da ormai un po’ di tempo, il Natale non sia solo la nascita di Gesù e un modo per ritrovarsi pacificamente in famiglia. C’è infatti anche un altro lato – meno esaltante e meno sereno – delle feste natalizie. Un lato che potremmo definire impegnativo, tosto, per il quale è fondamentale – di qui l’invito di poc’anzi – prepararsi moralmente e psicologicamente al fine di potervi sopravvivere.
Certo, la parola “sopravvivenza”, quasi sempre, appare più idonea per fatti quali calamità naturali, gravi malattie ed eventi bellici. Mai la si penserebbe pertanto correlata ad una festa, men che meno a quella natalizia. Eppure vi sono fondate ragioni per ritenere che anche il Natale più memorabile esponga – sia pure indirettamente – a rischi, inconvenienti, disagi, insomma alla necessità, per l’appunto, di cautelarsi per ottenere la certezza di arrivare alla fine delle feste, e di tornare al lavoro il giorno seguente, tutti interi. Ecco allora una breve rassegna dei pericoli natalizi con particolare riferimento alle dinamiche domestiche e familiari, e qualche suggerimento su come evitarli.
Il primo fra tutti, manco a dirlo, è quello gastronomico: sotto le feste, infatti, si conta un numero imprecisato di intossicazioni alimentari che trasforma pranzi e cene in una vera e propria maratona a eliminazione: vince chi arriva fino in fondo ancora lucido, capace di intendere e di volere, chi riesce ad ingoiare l’ultima fetta di pandoro o panettone senza collassare malamente davanti al parentado. Inutile nasconderselo: la prova è oggettivamente tosta e non ci sono – ahinoi – suggerimenti o rimedi particolari se non quello, nel corso del pasto, di simulare atroci mal di pancia così da poter arrivare al brindisi finale in grado di potersi alzare dalla sedia con le proprie gambe.
Un secondo pericolo tipicamente natalizio e anch’esso legato ai pasti è quello che potremmo chiamare “del parente”, ossia di una persona che s’incontra non più di due volte l’anno – nonché uno dei pochi esseri viventi sulla terra di cui non possediamo, né ambiamo a possedere, il numero di cellulare – ma che spesso ha nei nostri confronti una curiosità mista ad esigenze narrative che lo porta, una volta al nostro fianco, a non darci più tregua. Il peggio viene quando costui, il parente, siede accanto a noi a tavola: in quel caso, effettivamente, non abbiamo scampo. L’unica è rassegnarsi ad annuire meccanicamente per due o tre ore nella speranza che la succitata intossicazione alimentare colpisca il torturatore inconsapevole mettendo fine al nostro supplizio. Tra tutte, questa è indubbiamente la prova natalizia più difficile.
Una terza insidia – stavolta tipicamente femminile – è quella dell’abbigliamento. Difatti, mentre i maschietti se la cavano con poco e puntando sui tradizionali camicia e maglione rosso, per le signore le festività dicembrine sono occasione di continue ed obbligate sfilate domestiche; roba che rende le faraoniche passerelle parigine, a confronto, ritrovi tra poveri orfanelli. L’incubo femminile, in questi casi, è sempre lo stesso: indossare involontariamente l’abito esibito in una precedente edizione dell’evento e imbattersi in una parente che, con più o meno perfidia, lo fa notare a tutti i presenti. Quest’ultima eventualità scatena una guerra di occhiate e malelingue che, se tutto va bene, durerà almeno fino al prossimo Natale. O meglio, alla prossima sfilata.
C’è poi la questione natalizia per eccellenza: quella dei regali. Col correlato rischio, come si sa, di ritrovarsi fra le mani qualcosa che non piace assolutamente. Qui la tecnica di sopravvivenza rimane quella classica: sorrisone a trentadue denti con l’immancabile, e questa volta convintissimo, «dai, non dovevi!», e la consolazione, tutta interiore, che in realtà non si tratti di un vero e proprio regalo, bensì di un “pensiero”, paravento lessicale dietro al quale siamo soliti nascondere la più cocente delusione; nonché la promessa, alla prossima occasione, di ricambiare l’autore di siffatta delusione con un regalo altrettanto insignificante che doneremo premettendo, molto educatamente, che si tratta, per l’appunto, di un semplice “pensiero”.
Altra fase assai delicata, tornando alle dinamiche da tavola, è quella del già citato brindisi finale. Di norma – dicevamo – vi si arriva in stato confusionale, sfiniti e con un approvvigionamento calorico che sfamerebbe i bisognosi per generazioni. Consumato con dello spumante italiano (lo Champagne è invece preferito, in genere, da soggetti con manie di protagonismo che, per suscitare invidie planetarie, caricano la fotografia della costosa bottiglia su facebook), il brindisi vede i parenti impegnati nel tentativo, non facile soprattutto dopo disinvolte bevute durante il pasto, di centrare il bicchiere altrui. A questo rito, se non si vuole passare per asociali, è impossibile sottrarsi. Poco dopo il brindisi e l’apertura dei regali, la scena si chiude col padrone di casa avanza un quesito che, in realtà, serve a contare i sopravvissuti: «Quanti caffè?».
Da ultimo, a Natale c’è il rischio, condiviso da entrambi i sessi, non di prendere qualche chilo, ma alcune taglie. C’è chi giura d’aver visto cari parenti, giorno dopo giorno, trasformarsi davanti al presepe. E la trasformazione è sempre la stessa: da persone normali, o addirittura atletiche, ad arrossati ed esplosivi sosia del Gabibbo o, tanto per restare in tema, di Babbo Natale. C’è chi cresce di più e chi cresce di meno, ma il problema è comune. E i rimedi sono sostanzialmente un paio. Il primo è procurarsi un abbonamento coi fiocchi alla più vicina palestra. Di quelli, per intenderci, da 24 ore su 24; un trasloco, in parole povere. Il secondo è sottomettersi a dieta ferrea: un pugno di riso in bianco ed acqua per mesi. Tuttavia, per essere efficaci, entrambe questi rimedi abbisognano di una condizione imprescindibile: che il prossimo Natale, benché atteso, non arrivi troppo presto.

E se fuggissimo a Graccio la notte del 24 Dicembre? Ci vediamo lì?
buona idea :-)
Per noi atei (la definizione è grossolana: preferisco quella più eleborata di “persone di buon senso non facenti parte di strutture gerarchicamente organizzate finalizzate alla gestione della superstizione”: penso alla mia famiglia e ad alcuni amici), questo articolo è totalmente insensato.
1. Pericolo gastronomico: inesistente. Il pranzo di Natale è solo un po’ più elaborato e abbondante del solito, perchè – vivendo in un Paese di tradizione cattolica (e di presente materialista e consumistico) – si usa così. Però noi si pranza a mezzogiorno e all’una la faccenda è chiusa. Caffè e sigaretta e pisolino/film/lettura.
2. Pericolo parentume: inesistente. Se non sono solito frequentare una persona nel corso dell’anno, non vedo perchè dovrei frequentarla a Natale: dove sta scritto? Al massimo una puntatina dai nonni, giusto perchè questi ultimi ci tengono e i figli vogliono bene ai nonni.
3. Pericolo abbigliamento: inesistente. Le donne che frequento – e mia moglia prima di tutte – se ne fregano del Natale e quindi si limitano a vestirsi civilmente. Io, poi, mi vesto di rosso esclusivamente tra febbraio e novembre, per evitare di essere scambiato per un fesso.
4. Pericolo regali: inesistente. I regali si fanno ai figli e loro sono contenti. Fine delle trasmissioni. A parte che non ho soldi da scialacquare in puttanate, che Natale sia la festa dei regali indiscriminati è un’invenzione dei bottegai.
5. Pericolo brindisi: inesistente. Io non bevo mai prima delle ore 19 e, come da punto 1, non corro nessun rischio.
6.: Pericolo aumento ponderale: inesistente (si veda supra, sub 1).
Quindi: ma chi ve lo fa fare? Almeno, non lamentatevi di quello che scegliete consapevolmente.
Buon Natale.
Manlio Pittori
Temo le sia sfuggita la vena squisitamente ironica dell’articolo. Ad ogni modo, Buon Natale a Lei.