
Non ho ancora visto nulla, ovviamente, della nuova edizione di Sanremo – e nulla in realtà vedrò: questione di igiene mentale. Eppure, con una certa facilità, posso fin d’ora annunciare ciò che sarà la kermesse, ovvero il festival delle finte trasgressioni e del vero conformismo, del volgare spacciato per ribelle, delle solite lezioncine su antirazzismo e sessismo, delle canzoni ridotte a intervallo tra quelli che un tempo erano intervalli e che, invece, ora sono purtroppo il cuore dello show.
Se un giorno mi avessero raccontato che mi sarei ritrovato a rimpiangere Pippo Baudo e Mike Bongiorno, mi sarei fatto una risata: e pure bella grossa. Peccato che sia andata esattamente così e sia di fatto impossibile, ormai da tempo, ascoltare belle canzoni (ce ne sono ancora, fortunatamente) senza doversi sorbire predicozzi o esibizioni oscene come quella di Achille Lauro, che lo scorso anno si «autobattezzò», riportandomi alla mente una delle mie più grandi responsabilità, qualcosa di cui un giorno, lo sento, mi sarà senz’altro chiesto conto: il pagamento del canone Rai.
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