
Le reazioni alla decisione, da parte della Corte costituzionale, di dichiarare illegittime tutte le norme che fino ad oggi hanno attribuito automaticamente il cognome paterno ai figli – decisione subito salutata come «storica» da più parti – sono per lo più festanti. È come se il verdetto della Consulta avesse inflitto un colpo mortale al patriarcato, strappando l’Italia dalle tenebre dov’era immersa per catapultarla nel futuro più radioso.
Appare quindi forte la tentazione di unirsi ai festeggiamenti, ma sfortunatamente diversi aspetti lo impediscono. Anzitutto, viene da chiedersi se lo scardinamento di un sistema di riconoscimento dell’identità personale che sussiste da decenni sarà, alla prova dei fatti, così privo effetti negativi; l’entusiasmo di queste ore, va da sé, porta ad escluderlo, ma l’esperienza insegna che le conseguenze di molte decisioni non vengono mai colte appieno; non immediatamente, almeno.
In seconda battuta, sorge spontaneo un dubbio: quale è esattamente il patriarcato del quale oggi si sarebbe sancita la definitiva sconfitta? Quello che, con la legge 194/’78, sottrae al padre (che non concordasse con la madre) ogni facoltà per impedire che suo figlio possa essere abortito? Oppure quello di un sistema sociale che, da anni, ha reso i padri separati come «nuovi poveri»? Senza polemica, di questi aspetti bisognerebbe forse tener conto.
Anche perché l’Italia, spesso definita oscurantista e «in ritardo sui diritti», è lo stesso Paese che, per esempio, presenta un tasso di femminicidi – con 0,36 donne uccise ogni 100.000 abitanti – più basso, se non molto più basso, di quelli di Olanda (0,48), Svezia (0,49), Norvegia (0,61), Germania (0,66) e Francia (0,82). Ancora, l’Italia mostra uno dei divari retributivi di genere più contenuti d’Europa. Con tutto ciò il cognome paterno non c’entra, ovvio. Ma se oggi se va in pensione, ecco, non si può dire che lasci in eredità tutta questa arretratezza.
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ma c’è una statistica analoga a quella del link
https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/Eurostat-femminicidi-in-Ue-uno-ogni-6-ore-1656f27a-0647-4544-8bb1-2861fda9b2cf.html
per gli omicidi volontari di maschi?
Giusto per un confronto…
Aggiungerei che in Italia, ma forse anche in altri paesi, le donne vanno in pensione prima dei colleghi uomini grazie ad incentivi come la “opzione donna”; che amministrazioni (consigli, cda, comuni, governi etc.) composte da tutte donne sono lodate come “virtuose, promettenti, positive, moderne”, mentre quelle composte da tutti uomini o con poche donne sono etichettate come esempio di patriarcato.
In ultimo – ma questo negherò di averlo detto – una donna deve essere “libera”, può fare tutto quello che vuole con il suo corpo, mostrare tette e culo, la società deve accettarla per quello che si sente di essere e di esprimere “a prescindere”.
Se un uomo facesse altrettanto, sarebbe invece uno schifoso maschio alfa socialmente pericoloso da evirare al più presto.
Penso che questa lotta tra generi ci stia rovinando.
Ci stiamo facendo togliere anche la dignità grammaticale: una volta una donna era amica di se stessa, di un’altra donna, di un uomo e della vita; adesso è solo amic*.
Idem per l’uomo.
Apprezzo molto quello che scrive Giuliano Guzzo. Temo che quello dell’insignificanza dei padri sarà ben presto un problema diffuso. L’unità della famiglia – con un solo cognome – il pensiero che essa andrà avanti anche dopo di noi, è un qualcosa che ci spinge al sacrificio dell’oggi, a comportarci bene, a non sentirci delle meteore che da bambini sfruttano – per la necessità della natura, come tutti gli altri animali – i genitori, per poi abbandonarli, o per poi – a proprio insindacabile e arbitrario gusto – promuoverli o bocciarli aggiungendo o togliendo il cognome di uno dei due.
Era proprio l’automatismo del cognome paterno (del soggetto più debole della coppia, perché non procrea) una garanzia di serenità ed unità della famiglia, proprio perché automatico e non frutto di scelte, ossia di prove di forza fra i due genitori.
Ancora una volta, una pacifica tradizione millenaria cade vittima di una stolta e inutile battaglia contro il corpo esanime di un “patriarcato” fantasma, vivo solo nell’immaginario collettivo di certa intellighenzia mainstream.
Stolta perché, all’arrivo di un figlio, si aggiunge un nuovo contenzioso all’interno degli odierni rapporti di coppia sempre più fragili e critici.
Inutile perché, il cognome non è una bandiera o un marchio di fabbrica che si imprime sulla pelle dei figli per rivendicarne la proprietà.
Purtroppo per le società occidentali, il patriarcato è stato affossato mezzo secolo fa, ed oggi ne vediamo le nefaste conseguenze. Il tentativo di abolire l’automatica trasmissione del cognome paterno ai figli è uno degli ultimi atti di vera e propria guerra all’uomo, nella fattispecie quello di razza bianca e religione cristiana. Una guerra ordita dai poteri occulti massonici che odiano l’Europa di razza bianca, cultura greco-romana e religione cristiana, da mezzo secolo infetta dal morbo del marxismo culturale francofortista degli Adorno, dei Marcuse e degli Horkheimer, e perciò destinata al tramonto come previsto da Spengler negli anni venti del XX secolo.
La trasmissione patrilineare del cognome è una questione di ordine e di stabilità nell’identificativo di una stirpe. Sovvertire questa consuetudine genera solo caos.
La trasmissione patrilineare… ordine . stabilità..insomma tutti quei concetti sponsorizzati dai quei maschi che non avendo gli attributi per imporsi con i propri modi ed intelligenza ed alla capacità di creare la stima del resto della famiglia devono far ricorso all’aiuto delle regole…
Come è evidente ormai da tempo, nella guerra contro il buon senso, l’ideologia può perdere qualche battaglia, ma alla fine vince sempre.
Così, davanti alla dura e incontrovertibile realtà che, mentre la maternità si manifesta da sola e coram populo per un lungo lasso di tempo (con la gravidanza e poi col parto), la paternità non può manifestarsi (da sola e pubblicamente) se non con l’atto formale dell’attribuzione del cognome paterno, si preferisce ignorare ogni asimmetria e andare avanti con nuove regole e diritti sostitutivi.
Si preferisce l’ideologia; a spese dei figli, delle famiglie e della pace sociale.