Lo scorso mese di agosto ci aveva spiegato che «le mafie finiranno quando finiranno le famiglie» caldeggiando «nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto», e ieri, sul Corriere della Sera, Roberto Saviano è tornato a picconare la famiglia. Lo scrittore ha infatti proposto ai suoi lettori una sorta di equazione tra monogamia e criminalità organizzata. «Se le mafie sono strutturate sempre intorno all’ossessione monogamica», ha scritto l’autore di Gomorra, «se i boss sentono il proprio potere vacillare quando la monogamia è violata, allora scegliere la vita, la sessualità libera di vincoli, un corpo non assoggettato dalla morsa della convenzione è un atto antimafia. Anzi: è l’atto antimafia». Queste le sue parole.

Ora, è evidente come una simile tesi sollevi notevoli problemi. Anzitutto perché dequalifica il valore della fedeltà coniugale. In secondo luogo, lascia intendere che un marito che non tradisce la moglie possa essere un potenziale picciotto. Inoltre, in generale, veicola l’idea che la monogamia sia criminogena, con il libertinaggio elevato a simbolo «antimafia», a primo e fondamentale requisito della legalità. Se solo quest’ultima questa affermazione fosse vera, dovremmo riscrivere in blocco la storia della lotta al crimine mettendo al posto dei giudici Falcone e Borsellino i grandi amatori –  per esempio Maurizio «Zanza» Zanfanti, il re dei vitelloni romagnoli, morto nel 2018 mentre era in compagnia di una ragazza -, ma è evidente che il ragionamento non sta in piedi. Non solo.

Risulta del tutto fallace pure la generale associazione tra monogamia e crimine. Grazie ad uno studio della  University of British Columbia sappiamo infatti che, nelle culture che consentono agli uomini di avere più mogli, ciò concorre a determinare livelli maggiori di criminalità, violenza, povertà e disuguaglianza di genere. Questo spiega, secondo gli accademici canadesi, come mai l’unione monogama istituzionalizzata, a livello globale, sta rapidamente sostituendo la poligamia: perché comporta meno criticità sociali. In altre parole, concorre al bene comune (cfr. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 2012). Senza dimenticare che la poligamia è associata a maggiori violenze e problemi di salute per le donne (cfr. Archives of Women’s Mental Health, 2021).

Insomma, se proprio di «atto antimafia» dobbiamo parlare, esso si trova più nel matrimonio più che altrove. Anche perché – altro aspetto che non convince dell’analisi di Saviano – se davvero le cose stessero come dice lui, con tutti i divorzi e le separazioni di questi anni, la criminalità organizzata, anche in Italia, si sarebbe dovuta estinguere da un pezzo. Invece sappiamo che non è così e che, a parte che una certa ostilità mafiosa al divorzio non è una novità essendo stata raccontata decenni or sono dal cinema (si pensi a Quei bravi ragazzi di Scorsese, dove uno dei protagonisti ad un certo punto dice: «Noi non divorziamo, siamo gente normale»), le cose stanno in modo diverso. Se infatti alcuni mafiosi professano certi valori, non è che sono tali per quei valori, ma nonostante essi. Non è difficile da capire, no?

Giuliano Guzzo

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