Capisce poco perfino di criminalità organizzata. Nonostante m’imponga di evitare giudizi tranchant, questo è il primo commento che mi è venuto in mente dopo aver letto l’ultimo post di Roberto Saviano, indicante nel superamento non già delle famiglie mafiose, bensì delle famiglie tout court, l’antidoto alle mafie. Queste, per l’esattezza, le parole dell’autore di Gomorra: «Quando mi chiedono quando finiranno le mafie rispondo quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite».

Ora, il mancato riferimento sia alle famiglie mafiose – o clan -, sia a Napoli o al Sud Italia in favore del più vasto concetto di «umanità», non lascia spazio a dubbi: per Saviano è proprio la famiglia il nocciolo della criminalità organizzata. Sfortunatamente per lo scrittore napoletano questa del familismo amorale non è affatto una novità. Ne scrisse già sul finire degli anni ’50, peraltro dopo una ricerca sul campo condotta proprio nel meridione italiano – per la precisione in Basilicata – lo studioso Edward C. Banfield, riportando le sue conclusioni nel testo, divenuto un classico, The moral basis of a backward society (Free Press, Usa).

L’idea di fondo è che un attaccamento fortissimo se non patologico alla famiglia porti non solo a disinteressarsi del resto della società – all’insegna della contrapposizione tra noi e loro -, ma pure a non farsi problemi, per aiutare e onorare la famiglia, a compiere crimini. Di qui l’auspicio di Saviano verso «nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite». C’è però un piccolo problema, in questa tesi rilanciata dallo scrittore preferito da Fabio Fazio, ospite del quale, come noto, è solito esibirsi in interventi televisivi oracolari – sempre senza contraddittorio -, e cioè che è falsa. Non lo dico io, l’hanno già provato fior di studiosi.

Il bello è che non solo si è visto che la forza dei legami familiari non è predittiva di devianza (The Economic Journal, 2016; Journal of Regional Science, 2021), ma si è registrato l’opposto: dove la famiglia è in crisi, là prospera il crimine. Sappiamo infatti che esiste un legame negativo tra matrimonio e crimine (Crime and Justice, 2005), osservato pure sul versante della recidiva (Journal of Marriage and Family, 2015). Ciò per limitarsi alla sola dimensione di coppia. Se infatti si vanno a guardare i legami intergenerazionali le cose si accentuano ancora, con oltre il 70% dei giovani a rischio criminalità o già delinquente che sconta l’assenza del padre (Vulnerable Adolescents Thematic Review, 2019).

Morale della favola, quando ci si augura un’umanità segnata da «nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite» – anziché della famiglia o dalle famiglie -, non solo non si sta combattendo la criminalità organizzata, ma la si sta aiutando. Rispetto a questo, meno cinematografia e più letteratura sociologica e criminologica (possibilmente non di 100 anni fa), possono tornare utili. Dicendo questo, si badi, non si vuole certo sminuire il valore letterario dell’opera di Roberto Saviano, ma solo evidenziare che, allorquando egli si avventura in certi giudizi – come fa non di rado -, più che di Camorra sembra un esperto di fantascienza.

Giuliano Guzzo

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