Giusto quel minutino scarso per ricordare i lavoratori, una parentesi quasi di sfuggita, e più del doppio del tempo per spargere letame sulla Lega di Salvini, sui pro family e sui pro life. Il sermone del primo maggio di Fedez a me è sinceramente piaciuto. Di più: ritengo andrebbe studiato a Scienze politiche. Sì, perché fotografa meglio di tanti manuali e con nitore la parabola  – in realtà in corso da anni – della sinistra: il trasloco dai diritti sociali ai diritti civili, dagli operai sfruttati agli influencer miliardari, da Mirafiori a CityLife. Un’aristocratizzazione spietata, che a sua volta spiega l’avvento del sovranismo, rivolta di chi vorrebbe risposte sulla fine del mese più che alla fine delle stories.

Ancora, il sermone di Fedez è utile pure per capire il pensiero progressista: se chiedi ad un artista straricco che va sulla tv pagata dai contribuenti d’evitare comizi, allora è squallida censura; se però un cittadino qualunque – per affermare che il matrimonio è tra uomo e donna, che i bambini han bisogno di padre e madre e che l’utero in affitto è un crimine – rischia una denuncia per omofobia, beh: quella è sacrosanta lotta alle discriminazioni. Logica ferrea, non c’è che dire. Infine, lo show del marito di Chiara Ferragni è da incorniciare perché mostra come si possa parlar mesi d’una norma, il ddl Zan, senza mai mostrare d’averla letta, senza mai andare nel merito. Anche qui, la metamorfosi della sinistra è tristemente spettacolare: dagli intellettuali ai pappagalli.

Giuliano Guzzo

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