Parzialmente nascosta sotto un grande cappello nero, con il volto coperto dalla mascherina, a distanza daiparenti nella cappella di St George, nel castello di Windsor, la regina Elisabetta ieri non ha trattenuto le lacrime durante esequie del marito, il principe Filippo, con cui ha vissuto per 73 anni. Una commozione umanissima e al tempo stesso emblematica, perché ha ricordato al mondo che pure i sovrani sono vulnerabili, che sotto la corona siamo tutti uguali, che le regole della vita son assai più rigide di quelle di corte.

Tuttavia, nell’interesse suscitato da questi funerali c’è una lezione anche per i sudditi e per genti di altri Paesi, insomma per noi. La lezione è che in un’epoca che ci bombarda di stimoli e novità, ciò che continua a suscitare fascino son i valori antichi: la nobiltà, il rigore, la fedeltà coniugale, la famiglia, il dolore di un addio. Questo perché, mentre ci rifilano i travestimenti à la Achille Lauro, noi, in realtà, rimpiangiamo lo stile del duca di Edimburgo; mentre ci raccontano dell’ultimo flirt del nuovo fenomeno del calcio, quel che ci interessa non è l’amore di un’estate, ma quello di una vita.

Ci fan credere che sia di tendenza pitturarsi sulle mani il supporto al ddl Zan, ma sappiamo che le tendenze passano e ciò che conta è aver scritto nel cuore il nome d’una persona, la sola legge, quella sì, da rispettare sempre. Perché quando quella persona se ne va, chioserebbe Montale, «è il vuoto ad ogni gradino». Insomma, nella curiosità e nella compassione che tanti hanno provato ieri vedendo l’anziana regina d’Inghilterra sola e triste c’è molto più d’un gossipparo “fascino della corona”. C’è la comune nostalgia per ideali duri come rocce e per amori da favola e da castelli, quelli veri, non quelli di sabbia con cui tentano di sistemarci.

Giuliano Guzzo

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