
E così era una solo una fake news, quella denunciata dall’avvocato Cathy la Torre – e prontamente ripresa dal Corriere e Repubblica – sulla ragazza di Piacenza con bisogni educativi speciali che, dopo un aborto, è stata accolta in classe da disegni di feti. Quelle immagini, contro cui la Torre aveva già annunciato una dura battaglia legale (salvo poi rimuovere ogni riferimento ad esposti in Procura), erano affisse da prima (due settimane) dell’aborto della giovane, e chi le ha realizzate non aveva alcuna finalità offensiva, tanto che costui e la ragazza pare abbiano già chiarito. Tutto bene, dunque? No. Perché l’episodio è solo l’ultimo di decenni di fake news abortiste.
Tutto, almeno in Italia, iniziò col disastro di Seveso del luglio 1976 e la nube di diossina che dallo stabilimento dell’azienda ICMESA si sparse nei dintorni. Sulle gestanti della zona si fece una campagna terroristica – «o aborto o mostro», recitavano i cartelli degli abortisti – e 42 donne abortirono. Peccato che dagli esami sui resti dei figli abortiti risultò che i 42 non presentavano malformazione alcuna. E Seveso fu l’inizio: poi venne la legge 194, approvata nel 1978, preceduta dai tamburi battenti di una stampa che, riprendendo senza fiatare quanto riportavano radicali e soci, assicuravano che per aborto clandestino morissero 25.000 donne ogni anno. Un numero davvero enorme: ma falso.
Dall’Annuario Statistico Istat del 1974 risulta infatti che le donne in età feconda decedute nel 1972, cioè prima della legge 194, furono in tutto 15.116. Anche ipotizzando che fossero morte tutte per aborto clandestino, non sarebbero neppure lontanamente state 25.000. In verità, i dati ufficiali dicono che quell’anno furono 409 le donne morte per gravidanza o parto; se ne ricava che le morte per aborto clandestino fossero al massimo alcune decine. Il numero di 25.000 vittime era dunque una balla colossale. E la politica e non solo, ahinoi, abboccava. La cosa impressionante è che sull’aborto le fake news son continuate pure dopo la legalizzazione, arrivando fino ai giorni nostri. E i giornaloni? Sempre al posto di combattimento, pronti a rilanciare panzane.
Si pensi a quanto accaduto nel marzo 2017, quando rimbalzò sui media nazionali la notizia di una signora padovana di 41 anni intenzionata ad abortire la quale, tempo prima, aveva tentato 23 volte di essere sottoposta all’intervento, vedendosi sempre sbattere la porta in faccia. Il motivo? Un eccesso di obiezione di coscienza. Ne parlò in prima pagina sul Corriere pure Massimo Gramellini. I fatti però erano pure in quel caso diversi, tanto che lo stesso Corriere della Sera, il 22 aprile 2017, fece dietrofront: “«Chiamai 23 ospedali per l’aborto». Inchiesta archiviata, era tutto falso”. La fake news della giovane di Piacenza perseguitata dai disegnini di feti non è insomma nulla di nuovo. Trattasi solo dell’ultima puntata di una serie ricca di colpi di scena e che prima poi Netflix dovrà decidersi a girare. Quella delle balle degli abortisti.
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“I testimoni dell’errore si contraddicono perfino quando mentono” (Joseph de Maistre)
L’ha ripubblicato su Organon.
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Articolo, interessante! Ma oggi si trovano in difficoltà molte copie.
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