Massimo Cacciari, Stefano Feltri, Federico Rampini e quanti, con loro, hanno denunciato come inaccettabile l’oscuramento del presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, da Twitter e Facebook, non han capito nulla: quella mica è censura, bensì protezione della «società dall’uso eversivo dei social». Parola di Beppe Severgnini che sul Corriere di oggi, a pagina 15, ha illuminato tutti quanti con questa tesi, illustrando la quale ha precisato che «la democrazia va difesa». Ne consegue, continuando il ragionamento, come la permanenza sui social – che nessuno discute – di personaggi come il turco Recep Tayyip Erdoğan e il fatto che di questo strumento facciano uso disinvolto, come ampiamente provato, sia i fondamentalisti islamici sia gli scafisti, ecco ne consegue che tutto ciò rappresenti un fulgido presidio della democrazia. Ne prendiamo atto.

Allo stesso modo, sempre sulle orme del Severgnini pensiero, sarà senz’altro stato per difendere la democrazia che Facebook e Twitter, lo scorso ottobre, hanno censurato un reportage su presunte malefatte ucraine di Robert Hunter Biden, il figlio dell’allora candidato alla presidenza – le elezioni dovevano ancora tenersi – Joe Biden. Poco importa che quel servizio fosse del New York Post e non del Vernacoliere: non era basato su fonti attendibili, si sono precipitati come due implacabili giannizzeri a spiegare pure i nostri il Post e Wired.it, quindi andava fatto sparire. In realtà non era attendibile, anzi era una bufala colossale pure il Russiagate di cui si è parlato per anni, eppure non risulta che Facebook e Twitter, in quel caso, abbiano avuto da ridire. Pazienza. Stavano senza dubbio difendendo la «società dall’uso eversivo dei social» da qualche altra parte. Beninteso: questo Beppe Severgnini non l’ha scritto, lo deduciamo noi, folgorati dal suo intervento di oggi.

Allo stesso modo, deduciamo che è in omaggio alla democrazia che negli anni, sui social, fior di pagine cristiane sono state almeno bloccate. Si pensi alla sospensione, avvenuta su Facebook nel luglio 2017, di 25 pagine cattoliche in lingua inglese e portoghese, la gran parte delle quali create in Brasile, fra cui una dedicata a papa Francesco; oppure ad un post della Franciscan University di Steubenville riguardante una laurea in teologia cattolica, che non si sa perché è stato censurato. La cosa curiosa è che non lo sa manco Mark Zuckerberg, dato che quando un deputato del stato di Washington, Cathy McMorris Rodgers, gli ha domandato lumi sull’accaduto, il Nostro si è limitato a farfugliare qualcosa, in chiara difficoltà. E pensare che gli sarebbe bastato alzare il telefono, sentire Severgnini e farsi suggerire che quelle mica erano censure, macché, ma solo «difese della democrazia». Sarà la per la prossima volta. Magari nessuno ti crederebbe, Mark, ma un articolo sul Corriere per dirti che hai ragione non mancherà. Consideralo già scritto.

Giuliano Guzzo